Odo nelle cronache di questi giorni parole certo non nuove ma che assumono un particolare valore, come un potente richiamo: «ultimi».
“Il Papa degli ultimi“ e al richiamo folle grandiose si mobilitano, tanti si riconoscono in questa categoria e si sentono cardine dell’umanità.

Non dovrebbero esserci ultimi nella scala sociale.
È uno dei moniti della rivoluzione francese, disatteso, égalité (uguaglianza).
Ma chi sono gli ultimi?
Il termine ultimo è stato edulcorato nella letteratura e travestito con altri termini più accettabili come umili, vinti, malheureux.
Di umili si parla per Manzoni.
C’è un saggio di Zottoli dal titolo Umili e potenti nella poetica del Manzoni e, in effetti, nel romanzo manzonianio si contrappongono i potenti alla cui balia vengono abbandonati gli umili.
Il peso della responsabilità ed il giudizio della storia gravano su di loro.
Ma gli umili non sono gli ultimi.
Umili è categoria religiosa oltre che sociale. Allude ad una virtù, l’umiltà appunto.
E poi ci sono i vinti.
Qui non c’è nessuna aura religiosa. Evoca immediatamente I Malavoglia verghiani, Mastro don Gesualdo, la sorte, il fato.
L’ombra del mondo classico si addensa inesorabile e cancella ogni loro sforzo, li obbliga ad una condizione di emarginazione.
Infine, i malheureux.
Sono i protagonisti di una categoria politica. Qui si rintraccia la necessità di un riscatto sociale. Sono la puissance de la terre.
Si può amministrare il potere in loro nome, possono fornire la delega del potere, coprire il vuoto di poteri tradizionali, legittimare i mutamenti.
Gli ultimi, numerosissimi, che abbiamo visto sfilare davanti alla Basilica di San Pietro e al feretro di chi li ha chiamati ad essere protagonisti assoluti, prolungano questo elemento, varcano la soglia della modernità.
Ci raggiungono.
La parola diviene nuova, si rinnova, acquista un nuovo vigore, è capace di emozionare, di interferire con la realtà, di spingere le folle.
Carmelina Sicari



































