Nel libro “Le nuove elegie. Poesie per argomenti” che presentiamo in questo nuovo articolo di Missione poesia, ecco un autore che non risulta mai banale, mai generico, che mai utilizza un metalinguaggio fine a se stesso, per affrontare con questa modalità – che a volte scantona quasi nella levità di una sottile ironia di sottofondo – i quotidiani problemi del vivere umano, del resistere alle paure, del porsi domande sul mistero della vita, sui grandi temi sociali, sul passato e sul futuro, in un presente fatto non più di meraviglia ma di calma contemplazione.
Paolo Senni Guidotti Magnani è nato nel 1944 a San Giovanni in Persiceto e vive a Zola Predosa; è stato insegnante, tecnico ricercatore presso l’IRRSAE Emilia Romagna e dirigente scolastico in un istituto comprensivo.
Oltre ad alcuni lavori relativi alla ricerca didattica, ha pubblicato le raccolte di poesie Parolediparole, Pendragon 2005; Navigare a vista, Pendragon 2007; SPE Sonetti Preghiere Elegie, Edizioni del Leone 2010; Le nuove elegie, Pendragon 2015 e la raccolta di racconti Oreste, Bohumil, 2011. Sue poesie e racconti sono apparsi inoltre su diverse riviste.
Conosco Paolo Senni da tantissimi anni. Vive vicino a Bologna e spesso abbiamo frequentato, e frequentiamo tuttora, gli stessi ambienti culturali e poetici della città e della provincia. Tre dei suoi libri sono stati pubblicati dalla Casa Editrice Pendragon, nella collana di poesia contemporanea da me curata. La prima volta che l’ho ascoltato mi è sembrato subito uno straordinario personaggio sui generis, forse un po’ retrò per l’accanimento contro la poesia di maniera, l’uso degli strumenti poetici – metrica, retorica, che in realtà conosce molto bene -insomma, un autore certamente interessante. Il suo percorso di scrittura rinnega quasi completamente la tradizione lirica in senso stretto per accogliere, nel contesto di una produzione che propone comunque gli schemi classici – dal sonetto, all’elegia, alla preghiera -, rivisitazioni e soluzioni in chiave quasi avanguardistica sia per tematiche che per linguaggio. In una continua ricerca di equilibrio, dunque, tra conservazione e innovazione, mescolando gli stili e nel tentativo di cucirsene uno addosso, riconoscibile – che possiamo dire piuttosto riuscito – Senni si presenta ai lettori col suo ultimo libro – Le nuove elegie – utilizzando la forma elegiaca (già in parte usata anche nel precedente libro) che si accaparra di diritto il privilegio di predominare (questa volta) buona parte del lavoro. Approfondiamo dunque l’analisi di questo testo.
LE NUOVE ELEGIE. POESIE PER ARGOMENTI
L’elegia è un genere letterario, utilizzato per componimenti sin dalla poesia greca, caratterizzato dalla forma metrica specifica dei distici (esametro + pentametro) e dalla trattazione di argomenti di tono meditativo e malinconico. In epoca più recente, nell’ambito della poesia europea, l’elegia abbandona il metro classico e si lega solo alla riproduzione di tematiche narrative e autobiografiche, principalmente sempre dal tono malinconico.
Il libro di Senni, identificandosi sin dal titolo con questo genere letterario nella sua accezione più moderna – abbiamo detto tra l’altro che non è autore da aderire a gabbie metriche predefinite -, se pure nella seconda parte troviamo anche componimenti di altro genere, si apre dunque a una poetica di tipo esistenzialista e autobiografico, nel senso che diventa portatrice di profonde riflessioni sull’essere sé stessi e sull’essere in generale, su ciò che prova il poeta – che vive, che pensa, che immagina, che ricorda – e su ciò che tali sentimenti provocano nel lettore, non preoccupandosi minimamente di ripudiare – questa volta no – l’uso dell’Io poetico, additato come uno dei maggiori nemici della poesia vera e propria, da molti critici contemporanei.
Mai banale, mai generico, mai utilizzando un metalinguaggio fine a se stesso, l’autore affronta con questa modalità – che a volte scantona quasi nella levità di una sottile ironia di sottofondo – i quotidiani problemi del vivere umano, del resistere alle paure, del porsi domande sul mistero della vita, sui grandi temi sociali, sul passato e sul futuro, in un presente fatto non più di meraviglia ma di calma contemplazione.
Un proseguire senza indugio sul farsi di una strada già percorsa per due terzi – come il sigaro che il poeta sta fumando da solo e che vorrebbe condividere con i figli lontani – sulle memorie di un passato formativo, le radici familiari e storiche, le occasioni di scambio e conoscenza, i pensieri che sembrano rimasti gli unici consolatori momenti a cui affidarsi, per far volare alte le parole scritte nel divenire incessante dei giorni.
Della seconda parte del libro colpiscono per l’intensità evocativa i testi della sezione Famiglia laddove la nipote, i figli, il padre diventano l’emblema di una dimensione radicata nella componente costruttiva, nel senso di continuità e di lascito tra generazioni, nel passaggio di testimone dove i figli assomigliano ai padri e i padri accolgono – e cercano di contenere – la malattia nostalgica dell’abbandono, simulando accettazione del passare del tempo…
Nell’introduzione in forma di pseudoelegia, il cantautore Francesco Guccini ricorda un passaggio della poesia di Senni: io le elegie, queste elegie, le respiro nell’aria,/le bevo nell’aria/io non predico, cerco di sollevarmi/un poco da terra… ed è un passaggio che, in effetti, colpisce per la leggerezza con cui, nonostante tutto, il poeta cerca di rendere giustizia alla modalità utilizzata per scrivere questo libro, e per aver provato affrontare tematiche esistenziali – come detto – così complesse. Anna Bonora, invece, nella post fazione fa presente come, tra l’altro, la frequentazione di argomentazioni filosofiche per Senni si mantiene sul piano della concretezza, attraverso fatti, cose, personaggi: il tutto tangibilissimo e raggiungibile.
Per concludere, non sfugge il continuo interrogarsi del poeta attraverso un’idea che probabilmente fa parte del suo bagaglio culturale, un’idea di poesia che porti luce sulla verità, che provi a dare certezze laddove non ve ne sono e qui sta, certo, l’interrogativo più grande e insoluto di Senni: l’impossibilità di arrivare a comprendere il mistero che ci circonda, se non accontentandosi di mezze verità: mi chiedo se torto o ragione esistano ancora/ […]/ è difficile dire come o cosa penso che sia la verità o, almeno, cercare di avvicinarsi ad essa…
Alcuni testi da: Le nuove elegie. Poesie per argomenti
SOLILOQUIO?
ieri pensavo tra me e me
(come sempre più spesso mi capita)
pensavo che mi mancano le discussioni
sì, sento il bisogno di una discussione, di una discussione a due o tre
non ricordo l’ultima
ora quando siamo in gruppo taccio
mi chiedo se torto e ragione esistono ancora
la discussione che mi manca è come l’amore
è difficile dire come o cosa sia
penso che sia la verità o, almeno, cercare di avvicinarsi ad essa
non difendere o argomentare una tesi
speculare camminando sotto una volta di una romana basilica
parlare da soli in un prato
scrivere un’elegia è come una discussione da soli
dico elegia come queste che ora scrivo
ho contraddetto persone importanti
amicizie sono finite
non voglio lamentarmi e dare colpe
cerco di capire
spesso interrompo – quando credo di aver capito quello che le persone stanno per dire –
incalzo il loro col mio pensiero
probabilmente produco silenzio
ho assistito a discussioni per me noiose
erano due poeti disquisivano sul consenso dei loro lettori
ci sono più libri di poesie che lettori
la poesia è come una biscia?
odio la retorica naturalmente di un odio grazioso
lui che è figlio e nipote di partigiani
non ha dubbi a narrare la storia
io sono frivolo
amo scrivere di nullità
sfiorarla di traverso la vita
non farsi poi prendere troppo da nessuna questione
per questo solo sfiorare le cose
non sono nato nella paglia
mia madre era ricca
sono nato nel feudo campestre
li ha affrontati ubriachi che lo cercavano
io le ero nel grembo giugno o luglio del ‘44
questa sera è successa una cosa strana
è nata, sì è nata, è nata una discussione
eravamo in tre
moglie, figlio e il “sottoscritto”
mi sembrava ci fosse odio di classe giovani – non giovani
stavo attento a non essere troppo logico
cercavo di aprire porte ed ascoltare
mi sono messo a guardare il film
avevamo discusso forse una mezz’ora
non male direi
*****
A ME PIACE PENSARE
A me piace pensare
appoggiarmi sui pensieri
come fossero poltrone
oppure schivarli come fossero birilli.
A volte i pensieri, perlopiù mattutini, li subisco.
È uno strano dormiveglia come se fossi in un drive-in a mangiare patatine e pollo fritto.
Spesso mi chiedo dove sto andando.
Forse c’è stata una svolta.
Prima vivevo guardando avanti, la vita avanti, i progetti.
Ora vivo guardando indietro, i ricordi.
Guardo ancora avanti, faccio ancora progetti, temo la malattia mia e sua, penso spesso ai luoghi del dopo.
Quando è avvenuta questa svolta?
Non capisco bene di cosa si tratti.
Mi sembra che mi manchi qualcosa, di essere incompleto, inadatto, precario, emigrante…
anche se so di non esserlo.
Come fanno gli altri a vivere, a provarci, a crederci?
Cerco di carpire i segreti di vita, respirarli, farmi contaminare.
Il resto continua come sempre: occhio all’orologio e al conto in banca,
resistere ai mali che arrivano grandi e piccoli,
preoccuparsi per le nuove nidiate dislocate altrove.
Io spero che loro non siano come me,
cosa gli lascerò?
Cosa gli lasceremo? Gli basterà?
Questo è stato un inverno duro
ora c’è la primavera
devo pensare al prato, all’erba che cresce nella ghiaia
devo pensare alle potature
mentre i picchi fanno il nido.
Quando c’era la neve lei metteva briciole sul davanzale.
La sera chiudevamo vetri e scuri
la casa dentro era tutta buia e noi ben chiusi
l’unica finestra rimasta aperta la tv.
Tv e vita la stessa domanda:
esistono? sono vere? c’è da fidarsi?
Quello, quella, quelle, quelli che sento amiche e amici mi conoscono?
Cosa so io di loro? Cosa sanno loro di me? Di noi?
Andare a Messa o pregare mi piace.
Soprattutto alla Messa feriale di buon mattino quando siamo pochi al chiesolino
come l’aria fresca delle sette che mi fa ricordare treni, autobus, corse a piedi e in bicicletta
Io sono un garantito, almeno fino ad ora,
mi chiedo come fanno tanti, che vedo, a mangiare tutti i giorni.
Spesso ho mal di stomaco quando ci penso e le vertigini.
Mi sento impotente, ma riesco a cacciarli i pensieri che non voglio,
che tornano come talpe.
A me piace pensare
mi fa sentire diverso.
Voglio essere diverso.
Credo di essere molto individualista.
Non mi pace che di certe cose non si possa parlare religione e fede per esempio.
Non mi piace che si debba tenere nascosta la propria fede.
La fede penso che non sia l’ideologia:
difendere la Chiesa sull’ICI e sull’IMU, per esempio.
La fede ci fa uguali o disuguali?
Oltre a essere un “dato sensibile” è qualcosa che sta dietro, sotto, in filigrana?
L’ho sempre saputo: parlare e pronunciare è come urtare, toccare, assaggiare.
Eravamo in sei seduti a pranzo in una tavola quadrata
persone alto borghesi di sinistra
si parlava di scuole dell’infanzia e elementari buone qui da noi in Emilia.
Ho detto: “Qui da noi subito dopo la guerra il partito comunista ha fatto la scelta…”
imbarazzo e gelo
“comunista”, “morte”, “tumore”, “preghiera” “vagina”, “gay”, “fascista” …”cazzo” no cazzo si può dire e anche culo
penso che la materialità e la concretezza delle parole sia aumentata
forse perché è aumentata la capacita di immaginare, ricostruire e si ha paura di quello che c’è dietro le parole.
Ho letto negli sguardi: Ah lui le dice? E chi è per dirle? Chi si crede di essere?
Parlar corretto, politically correct è la dura legge della convivenza
A me piace pensare
di tante cose, di mille cose.
faccio meno fatica a pensare che a parlare.
Chiudo gli occhi e lui va dove vuole.
dal capo che della guglia è vis à vis
*****
ELEGIA DELLA FINE DEL TEMPO DELLE FOTO
non è più il tempo delle foto
intendo vedere e scrivere
(un neoromanticismo adolescenziale
tu che ti guardi che osservi e inventi l’empatia
vedere ad esempio due signore con la borsa della spesa
pensare e scrivere che siano quelle narrate da Terenzio rientranti dal teatro con gli occhi bistrati)
non è più il tempo di quelle istantanee auto-assolutorie
(guardavi e sentivi SENTIVI il sangue nelle vene tu solo esclusivo interprete poeta)
non è più il tempo di foto-poesie monotematiche che non siano un pastiche che a te tanto piace
(chiudere gli occhi e creare l’emozione)
non è più il tempo di foto, istantanee, foto-poesie
non sai perché
ti chiedi: di cosa è il tempo adesso?
come si costruiscono le storie?
sostituire film alle foto?
ti rispondi di si, ma con un distinguo:
per film intendo elegie e sussurri
(movimenti di pensiero, ragionamenti, sequenze, atti unic,
grovigli o matasse un po’ per volta sbrogliati, ricerche del vero, soliloqui,
dialoghi con l’autore (tu), piccole sconfitte, dolcezze amare)
a me piace pensare
a me piace descrivere il pensiero
ora fatico a pensare
mi interrogo sulla vecchiaia
ti passa la voglia
siedi al giardinetto
guardi la vita degli altri
è come un torpore quello che ti avvolge
aspetti la neve che non viene
cerchi nebbia nei dintorni
ti chiedi la differenza che c’è fra matrimonio e matrimonio
cristiano cattolico romano
a me piace scrivere
intendo scrivere come scavare
non mi viene subito scrivere
è come rompere un vetro
il piacere è farsi un poco di male
intendo scavare dentro
lo so tu mi diresti che questa poesia non è bella
che non ti piace
che è troppo discorsiva
io non so risponderti
io non voglio risponderti
io amo chiudere la giornata
calare la serranda
la mattina sono più attivo
io non so se è una questione di età
oggi ho invitato Luvigi
domani compie novant’anni
“Luvigi ho da più di un mese una cesta da darti,
lo zampone scade
dai prendi il treno e scendi a valle,
vengo a prenderti alla stazione a Casalecchio
veniamo qui a Lavino a casa nostra
mangiamo insieme
festeggiamo i novant’anni
poi riprendi il treno e torni nella tua Porretta.”
a me piace pensare e ripensare
a me piace pensare non speculare
intendo quel pensiero che la vita sostituisce
intendo quei pensieri che ti vengono all’alba nel primo dormi-veglia
credo di sapere che sono pensieri tremebondi per lo più
pensieri che nascono da dentro e da fuori
pensieri che gli piacerebbe scappare e andarsene lontano
elegia film sussurrato al posto di foto
storie scavate
dopo il male ti danno la pace
Cinzia Demi
Bologna, novembre 2016