Nel ricordo del Maestro Ennio Morricone. Premiazione dei Nastri d’Argento 2020.

 “…con la sua musica Morricone esprimeva l’ineffabile e l’invisibile,
 che sono l’anima della religione.
La musica è per certi aspetti il linguaggio della trascendenza,
 il linguaggio che racconta il mistero.
Anche quando parla laicamente, la sua bellezza è
qualche cosa che ci conduce di gradino in gradino verso l’eterno e l’infinito”.
(Mons. G.Ravasi)

Dedicata al grande Ennio Morricone, appena scomparso all’età di 91 anni, la serata di premiazione della 74a edizione dei Nastri d’Argento, che si è tenuta, a differenza degli altri anni, al Museo MAXXI a Roma e non nella ‘solita’ stupenda cornice dell’antico teatro greco-romano di Taormina.

Il malefico Covid ha colpito anche in questo senso, ma la meravigliosa ed intelligente tenacia della Presidente del SNGCI (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani), Laura Delli Colli che insieme con Anna Ferzetti, compagna di Pierfrancesco Favino ha presentato la serata, ha fatto sì che quest’edizione fosse ‘distante ma pur vicina’, un qualcosa di buon augurio per il futuro del nostro cinema, delle nostre maestranze – in ogni senso – e del nostro Paese in generale.
Lo ha fatto anche citando le parole con le quali Morricone concluse lo scorso 11 gennaio la cerimonia per il premio alla carriera ricevuto in Senato: “Io credo che la prossima stagione sarà bellissima”.
Parole ancor più in questa stagione e per questa serata migliore augurio per il Cinema Italiano.

Sei Nastri sono andati al più votato, Pinocchio, premiati anche per la regia di Matteo Garrone e lo splendido Geppetto di Roberto Benigni, ma è Favolacce dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, la vera sorpresa di quest’edizione dei Nastri d’Argento, miglior film della stagione, che vince 5 Nastri su 9 candidature ed è premiato dai Giornalisti Cinematografici.

Sei dunque i Nastri per Pinocchio che vince per il miglior attore non protagonista con il premio Oscar Roberto Benigni, grandissimo Geppetto, per la scenografia (Dimitri Capuani), il montaggio (Marco Spoletini), il sonoro (Maricetta Lombardo) ed i costumi di Massimo Cantini Parrini che riceve il premio anche per Favolacce. Il film scritto e diretto dagli stessi D’Innocenzo è davvero la rivelazione dell’anno: è stato premiato anche a Berlino con l’Orso d’Argento ed i 5 Nastri, oltre al miglior film, son stati per la sceneggiatura, degli stessi D’Innocenzo, per il produttore (Pepito con Rai Cinema, premiati anche per Hammamet), la fotografia (Paolo Carnera) e, come già detto, per i costumi di Cantini Parrini.

Fa il bis Pierfrancesco Favino che per il secondo anno consecutivo, dopo Il Traditore nel 2019 – ritira il Nastro come miglior attore protagonista per Hammamet, in cui sfodera ancora una volta nel ruolo di Craxi la sua straordinarie capacità mimetiche ed interpretative.  Il voto dei Giornalisti Cinematografici ha poi premiato il talento di Jasmine Trinca, migliore attrice protagonista (La Dea Fortuna di Ferzan Özpetek che ha ottenuto 3 Nastri ed è anche premiato per il ‘cameo dell’anno’ all’ineffabile Barbara Alberti – io, attrice a quest’età con un piede nella fossa – ha scherzosamente auto-ironizzato, al premio) e di Valeria Golino migliore attrice non protagonista (5 è il numero perfetto film d’esordio di Igort e Ritratto della giovane in fiamme di Cèline Sciamma).

Nell’ambito della commedia, è risultato Figli di Giuseppe Bonito il film dell’anno con riconoscimenti anche per i protagonisti: Paola Cortellesi (miglior attrice  di commedia) al suo terzo Nastro consecutivo – dopo Come un gatto in tangenziale nel 2018 e Ma cosa ci dice il cervello, nel 2019 –  e Valerio Mastandrea (miglior attore di commedia). Un tris di premi nel ricordo del grande talento dello scomparso sceneggiatore Mattia Torre, autore del monologo da cui è tratto il film.

Molti gli altri premi della 74a edizione  – per  cui rimandiamo al sito del SNGCI – e molti i premi che Ennio Morricone meritò nel corso di una carriera lunga più di mezzo secolo ed iniziata già durante il suo frequentare il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, la sua città, sulle orme di un padre trombettista in un’orchestra di musica leggera – anche lui si diplomò in tromba –  per divenire, nel tempo di portata nazionale e poi internazionale.

MORRICONE – Oscar 2016 per The Hateful Eight con la moglie Maria

 

Vinse l’Oscar alla carriera ‘per i suoi eccezionali contributi nell’arte della musica per film’ nel 2007, dopo cinque candidature, e poi nel 2016 per la Miglior Colonna sonora per The Hateful Eight di Quentin Tarantino.
Suona vagamente grottesco quest’ultimo premio: nel corso di un’intervista ebbe a dichiarare che se lo sarebbe aspettato ( e desiderato fortemente) per Mission di Roland Joffé che aveva conquistato, nel 1986, la Palma d’Oro al 39° Festival di Cannes, e la cosa ancora molto gli ‘bruciava’.
Ed è indubbio: molte e davvero meravigliose le colonne sonore che avrebbero potuto dargli questa grande soddisfazione e ben più di una volta.

Qualcuno ha detto, in questi giorni di rimembranza, che Morricone stava a Sergio Leone  – con cui aveva creato un sodalizio cine-artistico-musicale e, soprattutto, umano che era iniziato sui banchi di scuola, per continuare con le musiche per gli spaghetti-western fino all’ultimo capolavoro di Leone, C’era una volta in America, nel 1984 – come Bernard Herrmann stava ad Hitchcock o come John Williams stava a Spielberg.

Vinse, infatti, il primo dei suoi 11 Nastri D’Argento, più il prestigioso Nastro d’Oro alla carriera, nel 1965, proprio con Per un pugno di dollari di Sergio Leone.
Ed innumerevoli i premi anche internazionali conquistati nel corso della sua carriera – fra cui 3 Golden Globes, 6 Bafta, 10 David di Donatello – e nel 1995 il Leone d’Oro alla Carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Ma, forse, è ancor più vero ciò che, commosso, ha twittato Hans Zimmer, tedesco, magnifico musicista e cine-compositore di penultima generazione (Il Re LeoneInterstellar, Il Gladiatore):
Ennio.
La prima nota delle sue che abbia mai sentito mi ha afferrato e non mi ha mai più lasciato andare. Non ho mai deciso di diventare un compositore di colonne sonore. Lo hanno fatto Ennio e Sergio Leone, permettendomi di vivere la loro magia. Ennio mi ha insegnato che la melodia più semplice, pura e onesta è la più difficile da scrivere. Che non è scontato che sia facile, che la nostra è una missione profonda, dobbiamo prenderla seriamente e con umiltà, quando scriviamo musica. E che il nostro lavoro è essere il migliore amico del regista e ispirarlo.
Un buon direttore respira insieme all’orchestra, come fossero una cosa sola.
Ora, quando sentirete un suo brano, sentirete ancora il suo respiro. Potreste non vederlo, ma lo sentirete sempre…
Ciao, Maestro!

E la sua carriera, si diceva, era iniziata quasi in sordina, dal basso. Grande gavetta, per poi raggiungere altissime e meritate vette.
Lui stesso lo raccontava con orgoglio: il suo primo lavoro fu come arrangiatore.
E se si ripercorre, brano a brano, passo passo questo suo dire lo si ritrova nei loci musicali più inaspettati, dal dirigere il Paul Anka e Roby Ferrante di Ogni volta al Festival di Sanremo del 1964 agli arrangiamenti per le canzoni di Massimo Ranieri (Io e te), di Gianni Morandi, Se perdo anche te, di Gino Paoli (Sapore di sale), di Jimmy Fontana (Il mondo), di Rita Pavone (Pel di carota), di Mina e della sua stupenda Se telefonando
Eran gli anni anche di lavoro con la RCA Italiana, la prestigiosa casa discografica produttrice dei grandi di cui sopra, branca nazionale della statunitense e storico-gloriosa RCA VICTOR.

In seguito, quando la sua carriera iniziò a decollare, lui poté contare su di un proprio arrangiatore, il maestro Bruno Nicolai, dimenticato dai più, vero peccato!
Quelli erano gli anni di colonne sonore – basterebbe riguardare i titoli di testa e di coda – di Metti una sera a cena, del 1969, di Addio fratello crudele, 1971, tratto dal dramma cinquecentesco inglese di J. Ford, entrambi di Peppino Patroni Griffi, de La Califfa, di Alberto Bevilacqua, del 1970, con un’indimenticabile Romy Schneider – che già sapevano di eternità.
Notevolissime quelle del sodalizio con Gillo Pontecorvo:  La battaglia di Algeri (1966), Queimada (1969) ed Ogro (1979).
E l’Uccello dalle piume di cristallo, opera prima di Dario Argento, sempre del 1970.

Sempre la sua Italia nel cuore, ma l’incredibile ‘volo’ dell’Ulisse della musica italiana, allievo di Goffredo Petrassi, mai scordò la musica colta, né religiosa, spirituale, lui credente convinto, né, tantomeno, come posson testimoniare i moderni complessi quella popolare, la pop, esattamente come avevano fatto, a suo tempo, Bach – uno dei suoi più amati – Brahms, Tchaikowski o Verdi o Puccini.
E neppure la sperimentazione, qualsiasi tipo, un po’ alla maniera di John Cage, tra jazz e magari musica dodecafonica, furon mai ‘fuori da lui’.

Il rumore è una risorsa per la musica – ebbe a dire. Nei western misi colpi di frusta, di martello, di campane. E poi la voce umana, ma usata come uno strumento che canta, fischia, si schiarisce la gola, schiocca la lingua…perfino dei colpi di tosse…”.
Con molta umiltà – l’arte è puro talento, l’ispirazione  non esiste – diceva – l’idea per un pezzo può arrivare dal pagamento di una bolletta in posta od aprendo il frigo per un bicchier di latte, alla mattina – lui ricercava, continuamente, sperimentava e lavorava, tantissimo.

Non si è mai lasciato fermare dal tempo che passava: è stato la colonna sonora del nostro recente isolamento e distanziamento per Covid: le sue note risuonavano continuamente da Nuovo Cinema Paradiso Suite al tema di C’era una volta il West, ripercorse sui tetti di Roma, a quelle di Mission eseguite sul Canal Grande di Venezia.
Vere serenate per l’Italia, firmate dal Maestro.

Tralasciamo di citare la sua internazionalità fatta di nomi, oltre agli amatissimi ed immensi italiani quali Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, l’affezionato Peppino Tornatore – per non citarne che altri tre – riportando solo alcuni fuori dai confini nazionali come Brian De Palma, Oliver Stone, Pedro Almodovar, Warren Beatty, John Carpenter, notizie facilmente recuperabili.

Solo un ultimo cenno va fatto, parlando della sua grande arte e del suo grande cuore: ci lascia, sua ultima partitura, Tante pietre a ricordare, un brano per orchestra, coro e voce bianca composto da Morricone in memoria delle vittime  del crollo del Ponte Morandi, a Genova.
Fa parte del concerto che l’Orchestra Carlo Felice di Genova terrà la sera prima dell’inaugurazione del nuovo ponte progettato da Renzo Piano. Un brano inedito, scritto ad hoc, della durata di 4 minuti, che aveva accettato con gioia ed entusiasmo di comporre.

Ma c’è un ulteriore – se si passa il calembour –  ultimo segno che il Maestro ha lasciato anche nel mondo dello sport firmando prima l’inno del Mondiale di Calcio del 1978 in Argentina, e lo scorso anno, insieme al paroliere Mogol, l’inno da inserire nel contesto dei due filmati di presentazione della candidatura di Milano – Cortina 2026 per la regia di Marco Balich.
Un video che ha rilanciato la grande bellezza di Milano, con i suoi grattacieli, i monumenti e i luoghi della cultura, ma anche l’Albero della vita ed i padiglioni che hanno segnato il successo di Expo. E poi Venezia, una fra le città più belle al mondo, le montagne ed i paesaggi invernali, lo sport, l’eccellenza del cibo italiano e della moda e, soprattutto, la passione.
Una candidatura dimostratasi vincente e che ha portato all’assegnazione dei Giochi Olimpici invernali all’Italia, sconfiggendo la svedese Stoccolma-Are, e che ha avuto anche in Morricone uno degli artefici grazie a quella musica che resterà per sempre nella memoria di tutti.

Grazie, Maestro, la tua musica ci commuoverà sempre, come sempre ha commosso te!!

Maria Cristina Nascosi Sandri (SNGCI)

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Maria Cristina Nascosi Sandri
Di Ferrara, giornalista pubblicista, critico letterario, cinematografico ed artistico. Collabora da parecchi anni con quotidiani nazionali, periodici specialistici e non, su carta e on line, anche esteri come Altritaliani. Dopo la laurea in Lettere Moderne, conseguita presso l’Università degli Studi di Ferrara, si è dedicata per un po’ alla scuola dove ha svolto attività anche come traduttrice, oltreché docente. Da anni si dedica con passione allo studio, alla ricerca ed alla conservazione della lingua, della cultura e della civiltà dialettale di Ferrara, mantenendo lo stesso interesse per quelle italiana, latina ed inglese, già approfondito dai tempi dell’università, insieme con quello per l’arte, il teatro ed il cinema. Al suo attivo centinaia di articoli e recensioni, e qualche decina di libri sulle discipline di cui sopra, tra cui un'intera collana multilingue sulla propria lingua materna.

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