Nei libri piove. Christian Bobin e l’elogio della semplicità.

È venuto purtroppo a mancare oggi, 25 novembre 2022, lo scrittore e poeta Christian Bobin, all’età di 71 anni. Una grande perdita per la letteratura francese. Vi riproponiamo un articolo del 2018.

Christian Bobin è in Francia un vero e proprio autore di culto pubblicato da Gallimard. In Italia è pressoché misconosciuto, pubblicato da ‘Anima Mundi’, una piccola casa editrice di Otranto, più per “fame dei libri di Bobin”, che per una vera esigenza di mercato. Eppure la sua poetica è estremamente vicina al lettore, all’uomo. Della sua intensa semplicità ci parla Roberto Concu, poeta e grande estimatore di Bobin.

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Nei libri piove. Christian Bobin e l’elogio della semplicità.

Ci sono autori, come Christian Bobin, impossibili da definire e tanto meno da classificare. Autori che più si rileggono più ci mostrano nuove profondità. Autori che parlano della sacralità della parola e della purezza della vita, senza la pretesa di rivelare chissà quale mistero, né proporre ricette per la felicità. Autori che celebrano il silenzio e amano la solitudine più di una donna. E per questo se ne stanno appartati, lontano da ribalte mediatiche nonostante i riconoscimenti. Christian Bobin, ben noto in Francia, dove è nato e vive, è un vero e proprio autore di culto.
Misconosciuto in Italia al punto che in Italia i suoi testi più recenti sono stati pubblicati da una piccolissima casa editrice musicale di Otranto, AnimaMundi, solo per “fame dei libri di Bobin”, come mi ha scritto il fondatore, Giuseppe Conoci.

“Ci sono autori nei confronti dei quali leggerli è quasi un offenderli, uno sporcarli. C’è una purezza che ad accostarla troppo ti fa sentire indegno”: scrive Gianfranco Bertagni nella prefazione a ‘La vita e nient’altro’. Parole che sono prossime alla mitizzazione, che rischiano di trasformare Bobin in un maestro di vita e di allontanarlo dal lettore. Nulla è più estraneo a Bobin.

Libri come ‘La vita e nient’altro’, ‘Sovranità del vuoto’, ‘Mozart e la pioggia’, ‘Il distacco dal mondo’, ‘Louise Amour’, viene difficile considerarli raccolte poetiche, romanzi o saggi. Tutti, certamente, sono ricerca poetica.

“Scrivere è un modo di rispondere alla vita. Abbiamo sempre bisogno di rispondere a un dono con un altro dono, non per sdebitarci, ma per continuare a donare e ricevere, senza fine”.
Così scrive Bobin in ‘Mozart e la pioggia‘. Ma riconoscere nella vita un dono incessante non significa negarne l’irrimediabile dualità: “il fondo della vita è terrificante e bello, le due cose allo stesso tempo”, le due cose simultaneamente. Bobin non è affatto incline al buonismo, anzi afferma che non crede ai buoni sentimenti ma: “mi fido solo dell’amore”. Allo stesso modo, riconoscere nella scrittura un dono è riaffermare l’ambiguità della parola e assumersene la responsabilità. In questo l’autore francese è senz’altro poeta. Egli sa che nell’ambiguità sta la debolezza e la ricchezza della scrittura, quella molteplicità di significato che rende lo sguardo dello scrittore com-passionevole verso il mondo perché nulla può essere detto in maniera definitiva. Neppure dal Dio cui Bobin s’accosta silenziosamente, rispettosamente. È un Dio che non sa nulla, un po’ folle, un po’ strano, che ha dimenticato anche il suo nome perché il suo nome è migliaia di nomi: silenzio, aurora, nessuno, lillà.

Un Dio che non sa, cosa mai potrà dire all’uomo che lo interroga? Se ne sta in silenzio, tace per rendere possibile il dialogo con l’uomo, dell’uomo con se stesso e con la vita. Bobin si fida solo dell’amore che, in quanto dimensione di apertura totale alla vita, rende possibile il dialogo. Per lui la scrittura è dialogo con un Tu. E questo Tu può essere una persona reale – come la Nella di La vita e nient’altro – o un Tu senza nome, impersonale, che potrebbe essere il lettore, o la vita stessa. Quella vita che per Bobin è fonte di inesauribile contemplazione. Per contemplarla e viverla pienamente Bobin sta in silenzio, in solitudine, osserva più che scrivere, ascolta più che leggere. Ama la solitudine più di una donna, confessa.

E guarda alla vita nelle cose essenziali, nella loro nudità. Il suo è un elogio della semplicità.

Non occorre inseguire chimere di gloria, né idealismi o sentimentalismi. Basta stare a osservare la pioggia che scivola sui vetri perché “non c’è altra leggerezza/se non quella dei gesti che liberano la vita quotidiana/senza pretese senza porsi domande.

In una intervista pubblicata dall’Avvenire il 30 aprile 2013, Bobin definisce la scrittura come una lotta prima con se stesso e poi col mondo, o meglio con ciò che del mondo vi è in lui. Lotta contro gli addormentamenti della mente che ci rendono morti in vita, contro le rinunce e gli abdicamenti di fronte a uno stato di cose barbaro. “Contro il nostro violento rifiuto di essere meravigliati dal solo fatto di vivere”.

Attraverso la scrittura Bobin cerca di ritrovare la purezza interiore del neonato, lo sguardo nudo, sgombro da conoscenze e pregiudizi. È lo sguardo proprio della nuova creatura che, in qualche modo, appartiene anche a coloro che s’avvicinano alla morte. In questa ricerca lo scrittore resuscita ogni giorno a nuova vita. E a questo chiama anche il lettore. Non esiste più alcuna differenza tra scrittore e lettore: questi legge con lo stesso atteggiamento col quale l’altro scrive. Legge non per conoscere ma per dimenticare, non per acquisire e accumulare ma per perdere e perdersi – Sovranità del vuoto – lasciandosi carezzare il cuore dalla pioggia che è nei libri. Perché nei libri piove, dice Bobin: “una pioggia sottile scivola sulle pagine, scende sul cuore”.

I libri – ecco un’altra entità vitale – tracciano coordinate, disegnano mappe per guidare il lettore verso se stesso, verso la sorgente d’acqua che risveglia la sua anima intorpidita dalle convenzioni, da tutto ciò che lo ha allontanato dalla purezza. Il lettore è come un bambino mentre “gli scrittori sono dei rabdomanti”. La loro mano magnetica si posa sul cuore nudo del lettore, riassorbe la febbre, tramuta il sangue in acqua. Contemplando il mondo nella sua semplice presenza anche un volto, una pietra, un fiore possono apparire come libri liberamente donati. Eppure il libro – la scrittura – ha una debolezza irrimediabile: quella di essere così vicino al silenzio, alla morte che tutto semplifica al pari dell’amore.

Perché, dunque, i libri di Bobin sono cosi poco conosciuti in Italia?

Domanda tanto interessante quanto difficile. Le ragioni sono diverse. La principale è legata all’editoria in Italia, molto diversa da quella estera, in particolare francese. Non è un caso che i libri di Bobin siano pubblicati da una piccola casa discografica pugliese il cui fondatore è appassionato delle opere di Bobin. E che in questi vede, a ragione, un maestro e non solo uno scrittore. Questo significa che in Italia l’editoria mainstream non ha né l’interesse né la sensibilità ad andare alla ricerca di autori nuovi. E per nuovi intendo non solo inediti ma che propongano testi fuori dai soliti schemi di genere, capaci di sollecitare la mente del lettore e non siano puri libri di intrattenimento. A maggior ragione quando si tratta di un autore come Bobin impossibile da collocare in un genere ben definito. Tant’è vero che, nonostante la pubblicazione in Italia e l’ammirazione da parte di poeti come Chandra Livia Candiani e Franco Arminio, nessuna casa editrice mainstream ne ha ripubblicato i testi. Per fare un altro esempio illuminante in tal senso, un altro autore francese, Éric Chevillard, considerato in patria l’erede di Queneau e Jonesco è stato pubblicato sempre da una casa editrice piccola come Del Vecchio. Forse la sua prosa irriverente e surreale abbinata a tematiche delicate come esclusione, diversità e accoglienza non piace ai lettori italiani.

I lettori, appunto. E veniamo a un’altra ragione del fatto che Bobin sia scarsamente conosciuto in Italia. I lettori hanno una loro responsabilità. Anche perché oggi dispongono di strumenti come blog e social quali mezzi di divulgazione e di pressione sufficientemente potenti da decretare il successo di autori per lo più sconosciuti. Ma credo che dal punto di visto dei lettori valga quanto espresso sopra per gli editori e che possiamo riassumere nello Zeitgeist (così cito un altro autore francese a me caro, Edgar Morin).

Bobin è uno scrittore che impegna il lettore. Lo chiama a una lettura attiva a tal punto da invitarlo alla vera lettura: “chiudi il libro e siediti all’ombra di un albero, goditi il silenzio della natura, il profumo delle rose, lascia andare la morte”.

Voglio dire che, al di là della semplicità, Bobin rimette continuamente in discussione le false certezze proprie e del lettore. Rompe gli schemi e i modelli culturali consueti. Uno che scrive che non si legge per conoscere ma per dimenticare, non per acquisire ma per perdere, pone il lettore di fronte a un mistero. Inoltre Bobin parla sempre della morte come se essa non fosse una cessazione, dell’amore che sopravvive al di là dell’amata senza scadere nel platonico, della violenza che è parte dell’essere.

Soprattutto richiama il lettore a riscoprire l’atteggiamento puro del bambino che guarda alla vita così com’è. Ma per comprendere questo invito occorre attenzione, cura, meraviglia, visione. Quali e quanti lettori sono disposti a seguire questo invito?

Roberto Concu

 

Christian Bobin è nato nel 1951 a Creusot, luogo in cui tuttora vive. Ha studiato filosofia ed ha lavorato prima presso la biblioteca municipale d’Autun poi nell’Ecomuseo di Creusot. Le sue prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni ’70. Il successo, però, arriva solo nel 1991 grazie a “Une petite robe de fête”. Ma ancora più clamore suscita un libro pubblicato l’anno dopo, si tratta di “Le Très-Bas”, dedicato a Francesco d’Assisi e vincitore di alcuni premi letterari. Christian Bobin è letterato, poeta, saggista. Numerose sue opere sono state tradotte anche in italiano, tra esse possiamo ricordare: “Francesco e l’infinitamente piccolo”, versione italiana di “Le Très-Bas”; “L’uomo che cammina”; “Geai” ; “Elogio del nulla”; “Resuscitare” ; “Il distacco dal mondo”; “Consumazione. Un temporale” ; “La parte mancante” ; “Mille candele danzanti” ; “Più viva che mai. Una storia d’amore dura per sempre »; “Autoritratto al radiatore” ; “Una biblioteca di nuvole”; “Folli i miei passi” ; “Louise Amour” ; “La vita e nient’altro”.

Articolo pubblicato il 12 agosto 2018 e in parte già apparso in Cronache Letterarie

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