In questi giorni, sento due frasi ricorrenti a commento degli orrori del terrorismo islamico. “Il jihādismo non ha niente a che vedere con il vero Islam”, e “la libertà di espressione è sacra”. Contengono una parte di verità. Ma, secondo me, solo una parte. Il terrorismo islamista non ha “niente a che vedere con il vero Islam?”. D’accordo, chi sostiene che i musulmani siano tutti terroristi, o loro complici, è un cretino. Fosse vero, direi che le cose si metterebbero malino (i musulmani, anche se ammetto di non averli contati tutti, sono un paio di miliardi). Ma c’è un ma.
Rossana Rossanda, nel 1978, coniò la celebre espressione dell’“album di famiglia”. I brigatisti rossi (diceva lei) non sono “fascisti”, “agenti al servizio della reazione”; fanno invece parte dell’album di famiglia della sinistra. Aveva visto giusto. I brigatisti erano parte del nostro stesso mondo. Certo portato all’estremo, piegato alla logica di “redenzione” forzata dell’altro, che, come dice Amos Oz, è propria del fanatismo. E la linea di confine che ci separava non era netta. C’era una “zona grigia”: quelli che al bar dicevano “le BR hanno ragione”, i fiancheggiatori, gli intellettuali “cattivi maestri”. Così (credo) è oggi per l’Islam.
Chi vede in ogni musulmano un seguace del jihadismo è un povero scemo. Ma il radicalismo fa parte dell’“album di famiglia” di quel mondo. In cui esiste (anche in paesi ritenuti moderati, come Marocco e Tunisia) un enorme problema di cultura patriarcale, esasperato comunitarismo, autoritarismo, intolleranza.
Una mia amica, insegnante universitaria ad Algeri, mi diceva di come le cose siano cambiate dopo la rivoluzione in Iran del 1979. Prima di allora lei, giovane insegnante, camminava ad Algeri non solo senza velare il capo, ma libera di non portare il reggiseno. Adesso, nella sua facoltà, ha colleghi che la rimproverano perché non porta il velo, e studenti ventenni (figli della borghesia cittadina) che le contestano l’insegnamento di Joyce. Da loro ritenuto immorale, pornografico. Nelle periferie francesi ci sono situazioni familiari tremende, di cui sono vittime soprattutto le donne. I fanatici sono una minoranza, ma nuotano in un mare che è vasto, fatto di tradizionalismo deteriore, maschilista, retrogrado. Non è vero che i terroristi jihadisti non abbiano “niente a che vedere con il vero Islam”. Sono semmai la pagina mostruosa di quell’album di famiglia. Se qualcuno nel mondo musulmano se ne rende conto, invece di cercare alibi, sarà un bel passo avanti.
La seconda frase fatta è “la libertà di espressione è sacra”. È chiaro come il sole che Charlie Hebdo ha libertà di pubblicare ciò che vuole; ognuno decide se farselo piacere o meno. Ma in assoluto, non è vero che la nostra cultura consideri “sacra” la libertà di espressione. Molti amano ripetere la frase attribuita a Voltaire (in realtà di una sua curatrice inglese), “detesto ciò che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Bella frase. Ma non corrispondente alla realtà. Qualche esempio.
Negli ultimi anni, il cosiddetto “politicamente corretto” (riedizione in salsa progressista del perbenismo) cerca sempre più di normare l’uso del linguaggio, e una parola sbagliata, in certi ambienti, può costare cara. Come nel libro di Philiph Roth “La macchia umana”. In cui un professore universitario usa la parola “spooks” (spettri, ma anche vecchio termine dispregiativo per persone di colore), e da lì comincia la sua discesa agli inferi. Il comico francese Dieudonné (vicino ad ambienti ferocemente antisemiti) ha usato nei suoi spettacoli e sulle reti sociali toni odiosi nei confronti della Shoah. Gli sono valsi l’interdizione su Facebook e proteste vibranti. In Italia, tra le persone che citano lo pseudo-Voltaire ve ne sono molte che, in altre circostanze, di fronte a manifestazioni della destra radicale, usano l’espressione “il fascismo non è un’opinione, è un reato”. In Italia, negli anni Ottanta, un cantante (Leopoldo Mastelloni) fu bandito dai programmi televisivi per una bestemmia in diretta. Insomma, se la libertà di espressione è “sacra”, lo è solo per il perimetro dei valori dominanti. Cessa di esserlo (talvolta anche giustamente, come nel caso degli orribili propositi antisemiti di Dieudonné) se si esce da quel perimetro.
Ovviamente censurare le vignette di Charlie Hebdo, sperando di placare il radicalismo, sarebbe non solo inaccettabile, vigliacco e ipocrita, ma anche ingenuo e inutile (è evidente che le vignette sono un pretesto e le cause del terrorismo altre, ben più profonde). Ma non dovrebbe sorprenderci che quelle vignette urtino una sensibilità che non è la nostra. Evidentemente (e collettivamente) siamo pronti a mobilitarci perché non si usi la parola “negri”, o “froci”, mentre non lo siamo per valori di tipo religioso e comunitario. Questione di egemonia culturale. Tutto lì. Però smettiamola di dire che la “libertà di espressione è sacra”, quando noi stessi proviamo il contrario in mille occasioni.
E infine, ci si può chiedere un’altra cosa. I musulmani in Francia sono una minoranza. Che vive spesso in situazioni marginali e difficili. Ci si può chiedere se non sia lecito (lo è), ma se sia intelligente continuare a sfottere valori per noi di poco conto, ma importanti per quella minoranza, non solo per la sua parte più retriva e fanatica.
E allora mi permetto un consiglio (i consigli, diceva La Rochefoucauld ripreso poi da De André, si danno quando non si può dare cattivo esempio). Charlie Hebdo potrebbe, che ne so, esercitare la sua ironia anche verso il proprio ceto sociale di riferimento. Quella parte di società francese progressista a parole (conservatrice nei fatti). La cui unica fede sembra essere quella del “bien profiter” del suo status privilegiato, delle prossime vacanze, dei viaggi esotici, quella che in piena crisi del Covid-19, in dispregio di ogni spirito civico, e con la benedizione di Libération, si scaraventa a prendere “un dernier verre en terrasse” fino all’ultimo minuto prima del confinement. Quella che invoca égalité e si scanna per far accedere i figli alle scuole più esclusive. Materiale ce n’è. E per una volta a offendersi sarebbero dei ricchi istruiti e chic, non dei poveri disgraziati: sarebbe una novità.
Maurizio Puppo
[n.d.r. Commenti come per ogni articolo in fondo alla pagina]
Egregio Signor Puppo,
Dopo la lettura del Suo articolo, « Musulmani e libertà di espressione », mi sento di dirLe quanto segue.
Non posso ammettere che sottintenda, come lo fa, che i Musulmani in Francia sono lasciati vivere « in situazioni marginali e difficili ». I Musulmani, come gli altri Francesi, vivono in condizioni varie. Se sono in situazioni sociali difficili, anche loro, come gran parte dei Francesi « modesti » hanno diritto a : Sécurité sociale, APL, HLM, borse di studio, scuola gratuita, mensa scolastica a basso prezzo, ecc. Tutte cose che hanno permesso a mio marito, figlio di semplice operaio di accedere à l’Ecole Normale Supérieure. E a me, emigrata italiana nel ’51, di entrare all’Università.
La controparte è che bisognerebbe cercare di capire (e per i ragazzi, questo è il compito della Scuola e dei professori) un certo stile di vita, certi valori del paese nel quale si è scelto di vivere : liberté, égalité, fraternité, laïcité ; capire cosa sia una caricatura, una satira.
Capire anche che con la caricatura Charlie Hebdo non mira a criticare soltanto i Musulmani ma anche i Cristiani (ricordo certe vignette poco rispettose per Papa Giovanni Paolo II quasi in agonia o il Cristo in croce), gli Ebrei, i politici, il presidente Macron, ecc. Perché non accettare ? Tanto più che qualche volta una caricatura può anche aprire gli occhi su certe anomalie, certe ingiustizie e far evolvere le cose. D’altra parte nessuno ti impedisce di chiudere gli occhi o di guardare altrove. Questo bisogna capire, questa è la liberté.
E poi, come non capire che certi imam, certi responsabili di associazioni, certi uomini politici come Erdogan o Ramzan Kadyrov, presidente della Cecenia (guarda caso !), soffiano sulle braci a piacere ?
Infine, cosa c’entra la storia del « dernier verre en terrasse » ? I cretini ci sono in tutte le classi sociali, in tutte le occasioni, non conoscono frontiere né religioni. Cosa c’entra con Charlie Hebdo ? Vogliamo proprio fargliela pagare ancora più cara ?
Buongiorno, grazie per il suo commento.
Se lei ci fa caso, nella prima parte del mio pezzo dico che c’è un problema « grosso come una casa » nel mondo musulmano. Che i cittadini delle comunità musulmane godano dei servizi pubblici, è logico, ed è vero. Come è anche vero che vivono spesso in condizioni non facili: quartieri degradati, periferie spoglie e abbandonate. Le due cose non sono quindi incompatibili.
Nella seconda parte, io scrivo che certamente c’è il diritto di satira, e ci mancherebbe altro. Ma che noi stessi, per valori che oggi ci sono più cari, abbiamo difficoltà ad accettarla. Una satira pesante su valori che alla società secolarizzata paiono magari di nessuna importanza, ma che restano invece importanti per altre comunità, è certamente lecita, ma finisce forse per fare il gioco dei fondamentalisti. Il cui scopo è dimostrare che non è possibile per chi crede nei valori dell’Islam convivere pacificamente con altre comunità laiche o religiose.
L’ultima sua osservazione non l’ho capita. La mia era una piccola provocazione. Come dice lei stessa: è utile « capire cosa sia una caricatura, una satira ». Ecco, il mio finale lo era. Un cordiale saluto, Maurizio Puppo
D’accordo, mi sembra che l’autore nella parte finale, quella in cui parla dei consigli da dare, parli dei signori del PD ai Parioli.
Finalmente una voce discordante e pacata al tempo stesso. Sono d’accordo da A a Z e posso finalmente dirlo, visto che la libertà di espressione, in Francia, su questo argomento è molto relativa ed ogni opinione che non sia strettamente conforme alla doxa laicista viene sistematicamente riprovata e tacitata.
Cara Giovanna, grazie. Maurizio