Vulture, Basilicata. Bentornate antiche Mura di Sant’Ippolito, o Santapolito, come si dice in gergo. Sono ritornate alla fruizione pubblica dopo lustri di abbandono e di restauri infiniti (grazie alla Soprintendenza). Dopo anni di degrado, talvolta persino alloggio di spontanei campi nomadi, dopo lo scempio della Strada Statale che le ha violate per decenni, nonostante le nostre minuscole ma vibranti battaglie stampa (persino Bell’Italia di Mondadori ci diede ampio spazio e risonanza), ora le Mura di Sant’Ippolito sull’istmo dei due Laghi vulcanici di Monticchio riprendono vita, per ospitare (un nostro antico capriccio) spettacoli e momenti di cultura. La loro vocazione è questa!
Il bacino lacustre di Monticchio conserva questo patrimonio monumentale e naturalistico di incomparabile valore: Sant’Ippolito, il cui insediamento risale alla presenza dei monaci basiliani ben prima dell’Anno Mille. A picco sul Lago Piccolo insiste, stagliata nella roccia, la Badia di San Michele: il culto giunse proprio da oriente, con i monaci che si insediarono negli eremi a picco sul lago. Oggi vi si riflette la maestosa abbazia, realizzata nel 1700, che contiene l’edicola rupestre dell’Arcangelo, con affreschi di ascendenza bizantina, consacrata da papa Nicola II il 13 agosto del 1059, presente a Melfi per il Concilio Vaticano.
Padre Carlo Palestina, francescano ed ostinato storico da quasi mezzo secolo, ha dato alla luce una enorme mole di testi e riviste (Radici – Conoscere il Vulture) che conservano una assoluta valenza accademica. Su una delle ultime dal titolo “Monticchio: il Cenobio la Badia il Convento” (ed.STES) Padre Carlo approfondisce in maniera snella e corredata di foto a colori, gli aspetti storico-religiosi alla base della floridezza e quindi del declino dei diversi Ordini avvicendatisi nel territorio, in particolare nel convento di Sant’Ippolito e di San Michele. Ma non si sottrae dall’evidenziare un certo disinteresse pubblico verso tali siti che un enorme valore storico hanno rappresentato per le comunità locali e per il Mezzogiorno.
Scrive in epilogo: “Se può servire a risvegliare l’interesse per la “Svizzera” di Basilicata, è bene riportare alla memoria dei pochi che non lo sanno che, a conclusione della Conferenza internazionale tenutasi a Merano, nel lontano 12 gennaio 1932, il nome di Monticchio è stato iscritto nell’Albo d’oro delle zone turistiche internazionali”.
Il 1932, dunque: una data che ci porta lontani nel tempo, quando cioè, pur in clima di regime e nella imminenza di una devastante guerra, ci si riuniva a livello europeo per decretare il futuro di località ritenute – già allora – di indiscutibili risorse culturali e naturalistiche. In piccolo, probabilmente, una sorta di UNESCO di oggi. Ed invece, quel luogo così ammirato da cultori e intellettuali dell’epoca, è stato nei decenni a venire scarsamente considerato. Basti pensare che si realizzò la strada statale che conduce in Irpinia proprio sopra le millenarie Mura. Solo da una ventina di anni, quello scempio è stato troncato, grazie anche ad una azione di giornalisti e scrittori sensibili a tale vistosissima deturpazione.
Ma cosa rappresentano quelle Mura, sono una ennesima Pompei dell’oblio? L’importanza di questo luogo edificato sull’istmo dei laghi vulcanici, ben prima dell’anno Mille, si inquadra in quei secoli nei quali le lotte interreligiose e politiche si consumavano fra chiesa d’oriente (con i Basiliani) e quella latina d’occidente (con i Benedettini). Periodi floridi e travagliati, lotte politiche fra Costantinopoli e Roma che si ripercuotevano anche nel Mezzogiorno d’Italia. Dominazioni bizantine e poi normanne, sveve ed ancora angioine; insediamenti monacali fra culti e pellegrinaggi, e poi le presenze mistiche nel Vulture di santi come San Vitale e San Guglielmo da Vercelli.
Intanto, il culto di San Michele dagli eremi si era ampiamente diffuso nella regione. Ma il declino per i benedettini di Monticchio ha avuto inizio con le Costituzioni federiciane di Melfi del 1231, con le quali si tenterà di sottomettere i beni ecclesiastici allo Stato. Non ultimi i terremoti (terrificante quello del 1456 che seppellì oltre 50 monaci) con un susseguirsi di storie che hanno segnato fino all’oblio questo patrimonio inestimabile del Mezzogiorno, cui Giustino Fortunato ha dedicato appassionati studi e pubblicazioni.
Scriverà l’illustre meridionalista: “Se nella pace, se nella contemplazione dello specchio delle acque colorate e del verde dei faggi e dell’azzurro del firmamento, una voce pare sussurri al viandante: soffermati, queste Mura che nessuno più abita, hanno pure tante cose da dire. La mole dei ruderi, che fitte macchie di spini ricoprono, si allunga assai triste, assai monotona, su per l’angusta lingua di terra che i due laghi separa, al di sotto della cupola luminosa del cielo, che solo il volo degli uccelli di preda, lento e maestoso, traversa ad intervalli.”
Armando Lostaglio