In Missione Poesia Marco Bellini che con il suo nuovo lavoro, “La distanza delle orme @”, introduce un percorso di ricerca attraverso la paleontologia e l’antropologia, discipline non nuove all’uso della poesia, abbinando una forma di comunicazione inserita nella modernità più assoluta, ovvero proponendo una versione in CD del libro, con inserti che si aprono in maniera interattiva su altri testi non presenti sul cartaceo. Una modalità insolita per la poesia.
Marco Bellini nasce in Brianza, dove ancora risiede, nel 1964. Sue pubblicazioni sono: Semi di terra (LietoColle, 2007); la plaquette Attraverso la tela (2008); per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia Le parole (2008); la plaquette E in mezzo un buio veloce (Edizioni Seregn de la memoria, 2010); Attraverso la tela (La vita felice, 2010), Sotto l’ultima pietra (La vita felice, 2013), La distanza delle orme @ – Poesie con CD Inserti (La vita felice, 2015).
Nel 2013 è risultato vincitore con inedito nelle selezioni italiane per European Poetry Tournament.
Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi e sono presenti in numerose antologie, su blog e riviste di settore.
Conosco Marco Bellini da circa un anno. Il nostro incontro è avvenuto in occasione di un convegno dal titolo La Donna e la Poesia organizzato da me e da Adele Desideri, presso La Casa delle Poesia di Milano. Marco venne all’incontro in qualità di autore della Casa Editrice La Vita Felice, con sede a Milano stessa, e amico di Rita Pacilio, una delle poetesse invitate al convegno, anch’essa autrice de La Vita Felice. Rimasi colpita dal suo interesse e dal suo impegno per la poesia e decisi di invitarlo a Bologna per conoscerlo meglio e presentare al pubblico dei miei incontri di Un thè con la poesia, la sua poetica, i suoi libri, il suo pensiero. All’epoca aveva al suo attivo già alcune pubblicazioni di cui l’ultima, Sotto la pietra, era del 2013.
Recentemente però ha pubblicato un nuovo libro, che ho puntualmente ricevuto, La distanza delle orme, un lavoro che mi ha molto incuriosito non solo per il titolo a mezza strada tra la paleontologia e l’antropologia, se vogliamo, ma anche perché ad un riscontro su tali discipline volte allo studio del passato, in fondo, se pure proiettato nella comprensione del presente, Marco Bellini abbina una forma di comunicazione inserita nella modernità più assoluta, proponendo una versione in CD del libro, con inserti che si aprono in maniera interattiva su altri testi non presenti nel libro cartaceo. Una modalità insolita per la poesia e un azzardo, verrebbe da dire: già la poesia è poco letta, se andiamo ad aggiungere una complicazione di carattere informatico diventa inavvicinabile.
In realtà, premesso che il libro può essere tranquillamente letto anche senza l’ausilio del CD, volendo comunque andare a sperimentare questa forma di lettura ausiliaria, si scoprono delle parti interessanti, delle visioni altre rispetto alla voce del poeta, che sono le voci dei protagonisti dei suoi testi. E’ come se l’autore avesse voluto farci capire che esistono più visioni su uno stesso tema e che per conoscerle tutte ci vuole la pazienza dell’ascolto, ci vuole la pazienza di inserire – nel nostro caso – il CD nel computer, aprire il file del libro e cliccare sulle varie “chioccioline” – simbolo informatico della comunicazione – per scoprire i versi portatori della voce del soggetto al quale è dedicato il testo.
LA DISTANZA DELLE ORME
La chiave di lettura di questo libro di Marco Bellini, La distanza delle orme, è da ricercare nelle note che l’autore stesso inserisce a fine libro. Non sempre, infatti, la poesia segue filoni o ritmi prestabiliti, non sempre si affrontano i percorsi degli autori senza un’idea di un filo conduttore che ci guidi e, anche se il titolo del libro ci fa già stare in allerta sul contenuto che andremo ad affrontare, certo le note suddette ci introducono in maniera più diretta nella poetica di Bellini. Non sono nuovi per la poesia gli abbinamenti ad argomenti solitamente ritenuti più “scientifici”, né sono nuove le indagine di carattere antropologico da parte di poeti tendenti a ricercare il senso delle proprie origini e i legami fra le civiltà.
Vengono in mente già gli interessi leopardiani per le culture extraeuropee sulle quali il poeta legge, ad esempio, la Storia della California di Francisco Xavier Clavijero lasciandosi sedurre dal mito dei Californi, dei quali scriverà le orme ne l’Inno ai Patriarchi del 1821, dove gli indios saranno la rappresentazione della felicità incosciente e incarneranno l’umanità incorrotta, rimasta allo stato di natura e i tratti del buon selvaggio si confonderanno qui con quelli dell’uomo omerico, diventando i Californi fossili viventi nel Moderno. Certo questa visione idealizzante andrà sfuocandosi quando, le conoscenze dell’autore, lo porteranno a incontrare le Crónica del Perù, del 1554, relative al conquistador Pedro de Cieza de Leon che riveleranno la pratica dell’antropofagia, di cui Leopardi si ricorderà scrivendo La scommessa di Prometeo. Ma, se è vero che il mito del buon selvaggio viene ad assottigliarsi per queste scoperte, dall’altro canto è altrettanto vero che, attraverso una visione antropologica ante litteram, gli è ora possibile stabilire le differenze culturali tra “selvaggi” e “civilizzati,” analizzare analogie e differenze, e arrivare a riflessioni inaspettate come quella sul significato sociale della sepoltura.
Questa premessa per dire che già autori come Leopardi intercalavano e contaminavano le proprie esperienze poetiche con le ricerche scientifiche – per non parlare di altri quali Emilio Villa che faceva riferimento alla filologia e all’archeologia, Andrea Zanzotto alla psicoanalisi, Leonardo Sinisgalli alla meccanica e alla matematica, il recentissimo Bruno Galluccio alla fisica – e che quindi Marco Bellini non è solo ma, raccoglie tutta una dimensione preesistente e strutturata, in cui inserirsi con la sua stessa esperienza e sensibilità artistica.
Dalle tematiche del capitolo sui Bambini apocrifi – che si rifà ai riti di sepoltura dei neonati del popolo dei Toraja (Indonesia, parte interna isola di Sulawesi), sepolti in una cavità scavata nel tronco di un albero vivo, perché si pensa che il fusto, crescendo, porterà l’essenza del bambino verso il cielo – ; a quelle Della caduta di un sasso dall’aria – pensata per il ritrovamento della meteorite caduta nel 1766 ad Albareto (Modena) e agli studi in merito, condotti da Domenico Troili nell’opera omonima al titolo del capitolo di Bellini -; dai testi di Come sempre ancora – capitolo nel quale entra in scena la notizia della scoperta di un nuovo pianeta Kepler-186f della costellazione del Cigno, che sembrerebbe avere caratteristiche simili alla Terra -; a quelli di L’enfant Sauvage – dove il riferimento è al bambino di dodici anni ritrovato nei boschi francesi dell’Aveyron nel 1973, che sembrava non aver mai avuto contati con altri uomini e che diventerà, cosi come tanti altri casi di ritrovamenti analoghi anche in altre parti del mondo, un caso da studiare. Truffaut vi dedicherà un film dall’omonimo titolo nel 1969 -; dalle intuizioni su Thingvellir – luogo dell’Islanda nel quale si fa risalire la notizia di un primo parlamento di cui si abbia conoscenza, costituito già nel 930 e composto da membri di tribù vichinghe – ; a quelle di Verso di noi – dove il significato del titolo del libro prende ancora più consistenza affrontandosi l’argomento di orme fossili attribuite ai primi ominidi e ritrovate in Tanzania, e dove l’autore afferma, sempre nelle note finali, di essersi ispirato per la scrittura di questa parte anche alle opere di Pusterla (Corpo stellare, in cui si parla dell’uomo di Piltdown) e di Seamus Heaney (che ha dedicato alcuni componimenti alle Mummie di Similaun e Tollund) -.
Da tutte queste note, il cui contenuto esplicita in modo esemplare il lavoro di Bellini, è bene iniziare per la lettura del testo nel quale, senza incertezze, vengono costruiti movimenti di chiarissime vicende umane nelle quali nulla sembra sia lasciato al caso: tutto è accaduto perché doveva accadere, tutto si lega indissolubilmente al percorso dell’uomo moderno che ritrova in quelle tracce, in quelle impronte, in quelle orme le stesse del proprio destino, della propria storia.
Bellini sembra avere un bisturi più che una penna tra le mani e quelle Voci recise – che sono le prime due parole del brano introduttivo al libro – sembrano già dire tutto, riassumere il contenuto: sono voci recise a cui hanno dato parola e significato altri. C’è una terra che non può dire, una carne fatta trasparente, un bambino selvaggio che non sa parlare, un altro sepolto nel tronco di un albero, un sasso portato per una parola sconosciuta, una notte dove si cerca un buio diverso, e un oblio [che] ha il colore dell’erba. E tutto è chiaro e trasparente, tutto accettato se pur con qualche domanda di senso. Ma, per fortuna, a questo punto ci imbattiamo negli inserti, nelle voci dei protagonisti, – bambini, meteoriti, orme – e tutti quanti sono in grado di offrirci la loro versione, il loro senso delle cose, dell’accaduto, del sentito.
Quasi per contrasto, dunque, con lo strumento che utilizziamo per leggerli, questi versi, che compaiono dopo aver cliccato sulla @, sono i più lirici, i più sinceri, quelli che abbracciano con il loro calore un’interpretazione autentica, più sofferta sì ma anche più vera.
Certo, non lo neghiamo, chi scrive quest’articolo ha una particolare predisposizione per la poesia lirica e, inevitabilmente, la coglie a se più vicina ma, questo nulla toglie all’intera opera di Bellini che si conferma autore scientificamente immerso nella poesia contemporanea, anche in cerca di senso antropologico dell’uomo e della poesia stessa ma che, vivaddio, qualche volta riesce anche a tuffarsi nella liricità che ci rappresenta come poeti di tradizione.
La distanza delle orme: alcuni testi.
Voci recise, distanti
sanno la presenza dell’ascolto.
Ritrovate tentano,
come il sole le ombre sui muri,
la parola
ogni suono deposto
*****
sei un uomo in partenza
In fondo è una questione di distanza
la sicurezza che perdi
quando lasci, quando metti
molti passi.
Chiedi permesso con la postura
quasi una torsione, un’anomalia
per stare. Ti senti sulla soglia
stabilmente.
Mimetizzarsi, almeno tentare anche
nell’odore. La preghiera detta piano
quella scandita dove stavi. Capisci
l’appartenenza da non osare. @
Anche i sogni hanno cambiato
misura, il poco che tengono.
Così spesso il punto d’arrivo
sospeso, nella parola resa
e questo è l’inserto nel CD indicato da @
“È una costante l’interruzione
..spande velenosa i frammenti.
. .Le mani senza linee non mi lasciano ascolto.
Rimango asportato”
******
(Per loro non hanno scelto la terra;
la terra non sa trovare il cielo).
Qualcuno ha pensato a dare un posto
perché resti qualcosa della carne
mischiata al latte. Dentro uno scavo
di legno caldo dove tacciono ripiegati
privati del loro progetto
i bambini apocrifi, destinati
a una prevaricazione accolta e subita. @
Un brodo scandaloso il midollo osseo
e la linfa; fluidi tornati alla parola
dentro gangli contaminati dove scorre
una “mortevita”
inserto @
“Io sono un bambino dell’albero
e sono qui, senza domande.
Mi spettava un mondo orizzontale
vite sorridenti in cui entrare.”
*****
(Ti hanno portata da noi).
Le influenze delle masse disperse nella corsa
come il piombo che si apre nell’aria
dopo uno sparo; la loro forza di gravità, le spinte
la curvatura del buio tra le spirali
ti hanno portata da noi, per una parola
sconosciuta dalla bocca incerta. @
inserto@
“Percorsi senza voce mi hanno segnata.
Vi porto riflessi, consistenze instabili
rimbalzi lontani di una tensione primaria.
Qualche conferma e nuovi dubbi si fanno”
Bottiglia con il messaggio
convocata per un viaggio; di chi la mano?
Materia lontana avviata allo spazio,
da tutto quel vuoto che qui
farebbe rumore, e poi raccolta in un prato
che ancora fumava di cielo bruciato
*****
Come ascoltare? Quali vibrazioni
dei muscoli sul viso leggere?
Non c’è stato modo di educarti alle sillabe,
i primi anni pesavano troppo
e la voce sgretolata veniva dal vento
da quei rumori di foglie e animali
che noi avremmo dovuto imparare. @
Ti hanno lavato per lavare
un mondo dalla pelle.
Le mani sapevano tracciare le linee
di un cervo su una pietra?
Forse hai preso la nostra strada,
soltanto in un tempo già consumato;
scelta diversa, involontaria, nudo
dai vestiti e dall’ipocrisia.
Cinzia Demi
Bologna, ottobre 2015