In occasione del decimo anniversario della scomparsa dello scrittore Marcello Venturi, Giovanni Capecchi, docente di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia e autore della monografia “Lo scrittore come cartografo. Saggio su Marcello Venturi” (Le Lettere – 2007), lo ricorda per i lettori di Altritaliani.
Marcello Venturi se n’è andato nel giorno del suo ottantatreesimo compleanno, il 21 aprile 2008, dieci anni fa, nella sua casa di Campale, sulle colline dell’Alto Monferrato, dove era andato a vivere nel 1960, sposando Camilla Salvago Raggi, anche lei scrittrice e – a tutt’oggi – autrice attivissima, con i suoi novantaquattro anni pieni di vivacità e di storie ancora da raccontare.
Marcello e Camilla si erano incontrati grazie ad un libro. “Galeotto fu il libro”, è proprio il caso di dire: Venturi, infatti, dirigeva per l’editore Feltrinelli la “Serie grigia”, una collana dedicata a scrittori contemporanei, nella quale accolse anche La notte dei mascheri, una raccolta di racconti di Camilla, pubblicata proprio nel 1960. Dopo il matrimonio, Venturi lascia Milano, dove aveva vissuto nel decennio precedente, dirigendo tra l’altro la pagina culturale dell’«Unità», un quotidiano dal quale si era dimesso nel 1958, dopo l’assassinio di Imre Nagy, e con il quale i rapporti si erano raffreddati già due anni prima, quando il militante comunista, che si era iscritto al Partito subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, aveva deciso di restituire la tessera, deluso e indignato per l’ingresso dei carri armati sovietici in una Budapest che si ribellava in nome della libertà.
Nato nella stazione ferroviaria di Seravezza, il 21 aprile 1925, aveva seguito gli spostamenti del padre ferroviere, di stazione in stazione. Ed aveva cominciato ben presto a scrivere, esordendo sul “Politecnico” di Elio Vittorini agli inizi del 1946. Erano poi nati Il treno degli Appennini, pubblicato nel 1956 nella collana vittoriniana dei “Gettoni”, decine di racconti apparsi sulle terze pagine dei quotidiani e su riviste e il volume Vacanza tedesca (1958). La guerra aveva segnato la sua vita (renitente alla leva nella Repubblica Sociale di Salò – si era infatti trasferito a Fornovo, vicino a Parma, durante la guerra –, aveva fatto la sua “resistenza”, senza armi ma con un profondo antifascismo) e avrebbe segnato anche molte sue pagine: «made in war», amava dire di se stesso e della sua generazione, aggiungendo anche, come auto-definizione, quella di «reduce permanente».
Lasciata Milano, Venturi non smette di scrivere. Pubblica anzi, tra 1962 e 1963, i suoi due libri più noti e fortunati, L’ultimo veliero (che piacque molto a Italo Calvino e uscì nella collana dei “Coralli” Einaudi: la ristampa più recente è quella fatta da Sellerio nel 2007) e Bandiera bianca a Cefalonia, romanzo-verità dedicato alla strage dimenticata e rimossa dei soldati e degli ufficiali italiani sull’isola greca, avvenuta per mano tedesca dopo l’8 settembre 1943. Il Monferrato, con l’azienda agricola della moglie che Venturi cerca di amministrare, avrebbe poi fatto da scenario per i romanzi Il padrone dell’agricola e Sconfitti sul campo (usciti nel 1979 e nel 1982), un autentico viaggio nella società contadina al tramonto, raccontata con realismo e non senza affettuosa ironia.
Difficile riassumere in poche righe l’attività di Venturi, che ha scritto fino alla fine: un volume di racconti, All’altezza del cuore, è arrivato in libreria proprio quando l’autore stava concludendo i suoi giorni terreni. Forse un rapido accenno – per chi non lo ha mai incontrato – potrebbe essere dedicato al suo carattere di uomo (che si respira anche nelle sue pagine): schivo, dominato dalla modestia, appartato, malinconico.
Ciò che importa ricordare ai lettori è però soprattutto che in questo ultimo decennio, grazie in particolare all’impegno di alcuni fedeli amici e di Camilla Salvago Raggi, Venturi non è stato del tutto dimenticato: nel 2009 gli è stato dedicato un convegno (i cui atti, Marcello Venturi. Gli anni e gli inganni, sono stati raccolti e stampati nel 2010, recuperando il titolo di un volume di racconti edito dallo stesso Venturi nel 1965); nel 2013 è stato ripubblicato negli Oscar Mondadori Bandiera bianca a Cefalonia, un romanzo che dovrebbe essere letto anche nelle scuole, perché racconta la guerra e un periodo particolare della storia contemporanea (i giorni del settembre 1943) e perché resta emblematico per capire cosa significhi mettere la poesia al servizio della verità e della giustizia.
Ora, in occasione del decimo anniversario della sua scomparsa, Pistoia, la città in cui ha studiato alle Magistrali e che – per lui – è rimasta il luogo ««più ricco di memorie», gli dedica una serata di letture e di riflessione, mentre Genova (l’Università e la Società Dante Alighieri) ha definito il programma di una giornata di studio sulla sua opera, il 15 maggio prossimo, e Pavia (che ha accolto le sue carte nel Centro Manoscritti dell’Università) lo ricorderà subito dopo l’estate.
Tre suoi volumi, infine, tornano in libreria proprio per questa occasione: il libro formato da due racconti con il quale vinse, nel 1952, il Premio Viareggio Opera prima, Dalla Sirte a casa mia (ristampato da Gammarò Edizioni); Via Gorkij 8 interno 106 e Il padrone dell’agricola (riediti da Lindau). Tre libri che permettono di avvicinarsi, o di riavvicinarsi, alla scrittura di Venturi e ai suoi temi: mentre Dalla Sirte a casa mia ci riporta al primo periodo narrativo, strettamente legato al neorealismo (mai rinnegato, del resto) e alla letteratura di guerra, Il padrone dell’agricola – che già abbiamo ricordato – appartiene alla fase dei cosiddetti “romanzi monferrini” e racconta l’incontro tra il giornalista abituato a vivere a Milano e la civiltà contadina del Monferrato al tramonto.
Via Gorkij, infine, è una storia incentrata sulle biografie (che si intrecciano, anche a distanza, prima di incontrarsi veramente) di Venturi (nell’Italia fascista) e di Julia Dobrovolskaja (nell’Unione sovietica comunista). L’amica e traduttrice russa, che ha svolto un ruolo di fondamentale importanza come “ponte” tra la cultura italiana e il suo Paese d’origine (celebre è il suo dizionario russo-italiano e lunghissimo risulta l’elenco dei testi letterari da lei tradotti), poco “ortodossa” secondo il regime sovietico e quindi internata nel campo di Chovrino e successivamente condannata ad una perenne sorveglianza, è sempre rimasta ferma – come Venturi – nel mantenere orientata la sua vita in direzione della libertà. E proprio la libertà può essere considerata la protagonista di questo romanzo, edito la prima volta nel 1996.