“Sogno un’Europa giovane, capace d’essere ancora madre…Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perchè non siano ridotte ad improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto….Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata degli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi ed avere figli sono una responsabilità ed una gioia.”
Papa Bergoglio confida questo suo sogno in un messaggio consegnato ad un libriccino delle edizioni Dehoniane, commentato dal direttore di Limes, Lucio Caracciolo e dal Prof. Andrea Riccardi, Presidente della Società Dante Alighieri e profondo conoscitore della Storia della Chiesa.
Questo desiderio che appartiene all’utopia, di cui oggi tanto si discute, è però nella sfera d’un momento di crisi profonda che l’Europa attraversa. E tanto più vale perché anzichè dire: l’Europa è spacciata, come hanno detto in tanti, il Papa esprime la speranza, propria della fede cristiana, in una ripresa che sa di miracolo, che promuova i deboli ed i poveri e che infonda coraggio ai giovani e meno giovani.
Ci sono nella comunicazione parole-chiave antiche e nuove. Nella futura compagine degli stati europei sicuramente si è già parlato della famiglia e della sua centralità. E’ questo un valore primario che ora sta per scardinarsi. Quindi si tratta di ripristinarlo e porlo come perno del futuro.
Le parole invece: poveri e migranti appaiono in un’accezione nuova e drammatica.
I poveri certo sono sempre esistiti, ma non così come ora, oggetti di scarto e di discriminazione nella scala dei valori sociali e, pure i migranti, in cerca di rifugio e di patria, nuova schiera di esseri umani postulanti e nulla tenenti.
Questa più che altro è una preghiera che non teme di sfidare il futuro prossimo. Senza questi presupposti la vita si trasforma in un deserto con lotte senza fine. La cultura dovrà quindi essere quella del dialogo e dell’incontro con l’altro. Per questo si parla di “bellezza della cultura” e dei guasti del “consumismo”. Per tanto tempo si è lavorato solo per soddisfarli, ora è venuto il momento di mettere capo ad un nuovo umanesimo europeo che ricerchi vie nuove per rinnovare il tessuto d’un insieme di nazioni che formano un continente da considerare stanco, ma non sul punto di spegnersi, com’era nella profezia di Oswald Spengler nel ’23: “Il tramonto dell’Occidente”.
Nei tre discorsi che il Papa Francesco ha pronunziato sull’Europa, rispettivamente il 25 novembre 2014 a Strasburgo nel Parlamento europeo, il 25 novembre dello stesso anno, sempre a Strasburgo, nel Consiglio d’Europa, e poi in occasione del conferimento che lo ha onorato del Premio Carlo Magno, Città del Vaticano, nel 6 maggio 2016, c’è forte questa istanza d’intervenire a cambiare le sorti d’una parte dell’Umanità, prima che sia troppo tardi e che malauguratamente le sue sorti volgano in peggio. Egli parla d’una società possibilmente integrata e riconciliata per cui è urgente superare la mancanza di lavoro dei giovani per renderli operosi e principali esecutori di questo piano. L’appello è forte e diretto: Cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?
Ci vorrebbe un trapianto di memoria per ricordare la solidarietà generosa e concreta che seguì alla seconda guerra mondiale e portò ai programmi dei padri fondatori, stimolando la capacità di integrare, di dialogare, di creare.
Il volto d’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare infatti impressi i tratti di altre culture e la bellezza di vincere le chiusure.
Bisognerà passare da un’economia liquida ad una sociale perché l’Europa è ancora ricca di energie e di potenzialità e potrà rinascere alla luce della verità, allontanando da sé la corruzione.
Come dice Lucio Caracciolo, l’Europa di Bergoglio è più che altro un progetto, un divenire, per niente un’entità inerte ed inutile. A lei è domandato il compito non solo d’integrarsi nel Mediterraneo, ma d’unire altre culture e altri popoli.
Gaetanina Sicari Ruffo