Recensione di “Ulisse e il cappellaio cieco”, un romanzo di Raffaele Bussi (Roma, 2019, Armando editore).
Il viaggio è sinonimo di conoscenza e quello di Ulisse in particolare è di esplorazione di sé in primo luogo e poi di tutti gli altri uomini, in un raffronto ravvicinato tra vita e morte, i due estremi che si toccano e confinano con il mistero. Lo sapeva bene il poeta Dante che ha fatto del mitico eroe greco un protagonista incomparabile, valido per tutti i tempi, nel canto XXVI dell’Inferno, in un’avventura metafisica oltre le Colonne d’Ercole.
Anche in questo romanzo dello scrittore Raffaele Bussi ritornano le immagini tradizionali dell’eroe greco e delle Colonne di Ercole, quasi a voler rinnovare la magia di una narrazione che sta nella letteratura italiana, come il punto focale d’una fantasia universalmente eccelsa.
Ulisse riprende il suo viaggio per volere di Giove e Minerva gli affida il difficile compito di esplorare quello che non va nel vecchio continente per salvarlo dal malessere. Il suo compagno di viaggio sarà un vecchio greco, Varoufakis, noto economista contemporaneo, che è poi la cifra nuova del romanzo, un mixage di tradizione classica e novità, all’insegna di incontri sorprendenti che formano un pastiche originale tra passato e presente.
Varoufakis è cieco dalla nascita, ma sorprendentemente acquista la vista grazie ad un cappello frigio, trovato nella sua bottega di cappellaio ad Itaca, che gli consentirà la capacità di conoscere anche il futuro e di poter meglio aiutare Ulisse, un espediente, come molti altri disseminati in altri punti della narrazione, che ha il compito di rappresentare una nota fantastico-satirica. Ulisse dovrà sciogliere un enigma che lo porterà a visitare l’al di qua, questa volta, e passerà per tre città che sono: Napoli, Cartagine ed una terza, indicata da Didone, per toccare di nuovo infine le Colonne d’Ercole.
Egli non è solo il simbolo dell’uomo desideroso di avventure, strumento agile nelle mani degli dei, è piuttosto un uomo vero con i pensieri ed i sentimenti individuali che ora lo preoccupano, ora lo esaltano. Specialmente i ricordi gli fanno ancora tremare il cuore nel rivedere i personaggi conosciuti nella sua vita trascorsa. Il pregio del racconto è in questa naturalezza della vita immaginaria che ha il sapore dell’autenticità e che permette diverse correzioni a posteriori.
Prima di affrontare il viaggio “in acque così perigliose”, prende congedo dalla moglie Penelope come un qualsiasi marito che cerca con tatto di avvertire la compagna fedele del suo allontananento, per dovere di obbedienza a scanso di equivoci.
“……Fulmini di guerra dalle Colonne d’Ercole ai lidi della Siria non offrono più pace, ma solo indigenza e morte. Nuovi ricchi si stanno sostituendo ai vecchi imponendo dazi onerosi non più sostenibili. E c’è chi, immemore del passato, non intende soprassedere, pena il sequestro delle nostre terre. Una situazione alla quale bisogna porre riparo, almeno nel tentativo di trovarne le cause. Questo il comando che mi è venuto dall’Olimpo, al quale non posso sottrarmi.”
Ecco il nuovo stato di cose. Polemizzano. Penelope gli rimprovera come tutte le mogli, la sua smania di andare fuori casa, ma poi cede alla sua tenerezza e si convince delle sue assicurazioni.
Il viaggio ha infine inizio con il nocchiero Palinuro d’antica rinomanza. Ulisse lascia nuovamente quanti ancora gli sono cari, moglie e figlio, quest’ultimo sposato con Nausica, e si dirigono verso Atene, prima tappa. Varoufakis non nasconde quali pericoli siano possibili, compresa la guerra economica che l’Occidente sta combattendo senza molti auspici.
E qui il romanzo entra nel vivo. La metamorfosi si opera: passato e presente sono quasi sulla stessa linea di continuità con il tempo che li amalgama. Ulisse d’ora in avanti incontrerà i personaggi che ha già conosciuto, Temistocle, Nestore, Solone, ed altri, ma in una rinnovellata veste, che gli racconteranno i loro trascorsi e passeranno in rassegna i loro straordinari avvenimenti.
Il cappellaio veggente fa la sua parte: guida e consiglia. Puntano verso la Sicilia dalla magica natura, poi si dirigono alla volta di Napoli fantastica e di Cartagine nuova dove li riceve in persona la regina Didone, anticamente innamorata di Enea e suicida. Da lei apprenderanno l’indicazione d’un terzo itinerario che dovranno compiere, Ortigia e la visita alla dea Calipso, grande amore di Ulisse. Questo sentimento è taumaturgico, ha il compito di rinnovare l’entusiasmo della vita e la speranza ogni volta che s’innesta nella narrazione.
Insomma la fantasia, nel suo dinamismo creativo, non è mai stanca di creare sempre nuove occasioni per ripristinare il mondo del meraviglioso e del sorprendente, sempre nel ricordo della Grecia, ma ormai, nel tessuto narrativo, al di fuori di essa, in uno spazio che si proietta verso le Colonne d’Ercole, meta ultima della dimensione ignota, dove i due viaggiatori dovrebbero portare a termine la loro missione. Esse sono ancora una volta il punto di antica memoria, determinante, in cui il presente s’innesta con il futuro e lo disegna in modo misterioso.
Ma un colpo di scena li aspetta. Questo possibile futuro cambia ogni storia, lasciando perplessi i lettori. La ragione ha il sopravvento sul mondo pur affascinante del passato. La verità si fa strada lentamente. L’intelligenza che ha illuminato con lungimiranza la grande storia antica è buona solo per raccontare favole. Una ben diversa realtà oggi ci possiede e ci domina nella quale gli algoritmi hanno potere di tutto abbracciare e spiegare e noi incompiuti individui soccombiamo alla loro azione. La terra ignota che attende i personaggi del racconto, quindi il nostro campo operativo che dovrebbe darci la soluzione, non è terra di salvezza, ma di disintegrazione, confusione e impurità.
“L’ immenso faro di Alessandria, spento da tempo, non è più in grado d’illuminare la grande spianata d’acqua con la conoscenza che giace nei suoi oscuri meandri.
– E’ l’inizio della fine, mio re, ammonisce il vecchio veggente.”
Il romanzo così si conclude in modo dissimile dal suo incipit con una brusca svolta. Le speranze suscitate sembrano annegare in un mare che, lungi dalle trasparenze attese, hanno il grigiore melmoso d’un impatto osceno. Troveremo la pace nelle pietre sepolte e dissepolte più volte della nostra illusoria ricerca? Il futuro, inconoscibile, si rifiuta di rivelarsi pure all’attenta indagine dell’eroe mitico. Siamo soli, come dice il poeta Quasimodo con tre versi : “Ognuno sta solo nel cuor della terra /trafitto da un raggio di sole:/ ed è subito sera.”
Ma la cosa più tragica è che non sappiamo più dove andare.
Gae Sicari Ruffo
Di Raffaele Bussi
Ulisse e il cappellaio cieco
Roma, 2019, Armando editore
pp.142 – Euro 12,00
Copertina del libro dell’artista siracusano Andrea Chisesi
Altri visuali dell’illustratore francese Nicolas Duffaut