“Luci di posizione”, poesie per il nuovo millennio, è il volume che di recente l’editore Mursia ha mandato in libreria. L’antologia curata da Giuseppe Langella raccoglie testi di Guido Oldani, Giusy Càfari Panìco, Franco Dionesalvi, Valentina Neri, Marco Pellegrini e dello stesso Langella.
L’opera sottotitolata Antologia del Realismo terminale, è una introspezione sulla modernità, su di un mondo che sembra aver perduto i connotati di umanità.
Ma in cosa consiste il realismo terminale? La risposta la si desume dal “Manifesto” del Movimento che denuncia senza mezzi termini la pandemia abitativa della Terra con il genere umano ammassato in immense megalopoli, le città continue di calviniana memoria, contenitori post-umani, senza storia e senza volto.
– Cos’è la notte, nonno?
– E’ come quando spegni
la luce perché hai sonno.
Solo che cala in cielo.
– E il cielo cos’è?
– Fa’ conto un grande velo
disteso sulla testa,
tempestato di strass,
da sfoggiare a una festa.
– Che bello! E l’hai mai visto?
– Da bambino, in un tempo
di questo meno triste.
La vita era diversa:
si svolgeva all’aperto,
al sole e all’aria tersa;
non così, sottoterra,
cacciati dallo smog
e dall’effetto serra
nella città di Dite,
come topi di fogna,
chiuse tutte le uscite.
(Giuseppe Langella, Memorie dal sottosuolo)
Una estinzione dell’umanesimo? Pare proprio di sì, con gli oggetti che ci avvolgono come una camicia di forza, oggetti diventati indispensabili e che senza di loro ci sentiremmo persi, avvolti da una parossistica bulimia. Un rapporto invertito, dalla servitù dell’uso a cui erano destinati al ruolo di veri e propri padroni dell’esistenzialità umana. Una similitudine rovesciata che è l’utensile per eccellenza del realismo terminale, la poetica della civiltà globalizzata, con la residua speranza che l’Uomo si ravveda per non sprofondare nella palude stigia dell’accidia culturale in cui ciascuno, per dirla con Langella, “gorgoglia la propria insignificanza”.
A letto la paura di morire,
come quando il computer ti si spegne
e non riesci a farlo ripartire,
ti prospetta la perdita di tutto:
videoteca, tesori di parole,
ricordi, dati, email, foto, lavori,
distrutti o evaporati, trasferiti
non sai dove, in un mondo parallelo.
Quando poi il tecnico il danno ripara
e la memoria richiama dal gelo,
rimiri tutto ciò che si è salvato
e ti sembra la vita meno avara.
Tu pure, amica cara, di spegnerti
hai temuto per sempre con un click,
di lasciare questo mondo di hard disk.
Risanata da un piccolo accidente,
puoi ancora navigare nella rete,
sul filo della corrente, lanciare
ovunque le tue esche di sirena.
Mi raccomando: attenta alla memoria!
Non perderla rischiando un altro tilt,
condividila sempre più che puoi,
condensala di buoni contenuti.
Solo così mai più ti pentirai
di non salvare nulla di te stessa.
(Giusy Càfari Panìco, A un’amica risanata del XXI secolo)
Su questa traccia arpionano la modernità, attraverso versi stupendi e significativi, Guido Oldani con “Serratura”, Giusy Càfari Panìco con “La luna è una moneta”, Franco Dionesalvi con “Black Out”, Valentina Neri con “Inceneritore”, Marco Pellegrini con “Esercizi moderni di stile” e Giuseppe Langella con “Konzentrationslager”.
Spuntano dai versi come ciocche fiorite su di un terreno diventato arido, il Mediterraneo che provoca arsura a causa delle guerre tra i popoli, lo stesso mare che come un sepolcro di marmo ripone stracci straziati, il rannicchiarsi in un coacervo di nullità a cui è ridotto l’essere umano, la presa d’atto che il “Dolce Stil Novo” non ha più le pile i cui versi sono diventati messaggi al cellulare, fino alla tristezza di Langella per l’esodo giornaliero dei pendolari, per i morti affogati dei mille esodi, per l’eterna guastafeste che rovescia sulle nostre teste pioggia acida fino alla presa d’atto della diversità dello scorrere della vita attuale rispetto al passato, il tracimare dell’umana esistenza dal sole e dall’aria tersa verso contesti oppressi dallo smog e dall’effetto serra nella città di Dite, sbarrata a tutte le uscite.
Non si son dati neppure la pena
di disossarvi o di tagliarvi a tranci,
prima di rovesciarvi nella stiva.
Cara grazia! Piegate, orsù, la schiena
allegri, ché non vi hanno appesi ai ganci
e forse arriverete vivi a riva.
Qualora poi la barca si rovesci,
tranquilli : non andrete in bocca ai pesci,
ma come tanti bronzi di Riace,
morti affogati, troverete pace
in un museo del mare, in un acquario
dietro un cristallo, postumo sacrario.
(Giuseppe Langella, Esodi)
Un appello dai toni drammatici a riflettere, ad una umanità affaccendata in mille altre vicende, guerre comprese.
di Raffaele Bussi