Grande Artista, certo, Luchino Visconti, affascinato da tante forme d’Arte, ma, in primis, sicuramente un esteta.
Amante del Bello oltre ogni limite, al di sopra di ogni volgarità, ricercato e ritrovato – una “recherche” soddisfatta? forse, dato il suo carattere, la sua indole perfezionisti, sempre colmo d’inquietudine, di lucida inquietudine, come tutti i veri intellettuali e come essi, maestro, premonitore, antesignano, in tutti i suoi lavori.
La ‘sua’ Italia non lo ricorda, né lo ha mai ricordato, come dovrebbe: basti dire che nel 1995, a quasi vent’anni dalla scomparsa a marzo 1976, Milano dov’era nato, aveva rifiutato di rammemorarlo con una 3 giorni di conferenze e testimonianze eccellenti quali quella di musicisti come Luciano Chailly, Franco Mannino, per non citarne che due ed il tutto si dovette tenere a Ferrara – unico e pretestuoso legame, l’aver girato qui nella mia città il suo primo lungometraggio di fiction, ma già capolavoro, Ossessione.
Eran presenti pochissime persone: la damnatio memoriae del Bel Paese aveva colpito ancora…
Ma ora la Cinémathèque française, a quasi 110 anni dalla nascita avvenuta il 2 novembre del 1906, gli dedica una ‘doverosa’ retrospettiva, finalmente, dall’11 ottobre al 9 novembre, un grande evento che lo celebrerà con le sue pellicole, i suoi documentari, le sue parole, le interviste a lui fatte.
Luchino Visconti – Bande-annonce from La Cinémathèque française on Vimeo.
Si potran visionare, oltre ad OSSESSIONE (LES AMANTS DIABOLIQUES), del 1942, su cui chi scrive, campanilisticamente, si soffermerà più a lungo, i suoi testi filmici più belli, quasi tutti tratti, come è noto, da altrettanto capi d’opera letterari e tutti, in realtà, ben meritevoli di lunghe righe di recensione.
Tra gli altri si ricorda:
LA TERRE TREMBLE (LA TERRA TREMA), del 1947, dal romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga, BELLISSIMA, del 1951, LES DAMNÉS (LA CADUTA DEGLI DEI), del 1969, SENSO, del 1953, da una novella di Camillo Boito, LE GUÉPARD (IL GATTOPARDO), del 1963, da Tomasi di Lampedusa, L’ÉTRANGER (LO STRANIERO), del 1967, da Albert Camus, L’INNOCENT (L’INNOCENTE), del 1975, dall’omonimo libro di Gabriele D’Annunzio, MORT À VENISE (MORTE A VENEZIA), del 1971, da Thomas Mann, LES NUITS BLANCHES (LE NOTTI BIANCHE) del 1957 da Dostoïevski, ROCCO ET SES FRÈRES (ROCCO E I SUOI FRATELLI) del 1960, dal romanzo “Il ponte della Ghisolfa”, di Giovanni Testori.
Luchino Visconti era di nobili origini. Figlio di Giuseppe Visconti duca di Modrone e di Carla Erba, figlia del noto industriale farmaceutico, aveva avuto un’infanzia ed una fanciullezza inquiete: era scappato più volte da casa e dal collegio ed ebbe pure una crisi mistica.
Allora la sua grande passione era la musica – lo rimase poi per tutta la vita – come racconta anche il cognato, il musicista Franco Mannino nei suoi scritti.
Nel teatrino della residenza di famiglia, fin da giovinetto, si era divertito a creare ed a dirigere – già regista, dunque – piccoli lavori, di cui era anche autore originale, in musica. E questa passione – soprattutto quella per il melodramma – lo condurrà, nel tempo, ad altre innumerevoli e meravigliose regìe, in luoghi prestigiosi quali la Scala di Milano, come quella di un’indimenticata TRAVIATA, protagonista Maria Callas, del 1955, o l’altra con Mirella Freni, del 1967, o, ancora, LE NOZZE DI FIGARO, del 1964.
All’età di trent’anni, insoddisfatto della vita che conduceva, si trasferì a Parigi e qui venne in contatto con il mondo del cinema ed in particolare con Jean Renoir, conosciuto attraverso la comune amica, la sarta e stilista – ma più appropriato sarebbe dire artista – Coco Chanel.
Nel 1936 fu assistente di Jean Renoir – figlio del grande pittore Auguste – per Une partie de campagne: in quell’occasione il suo innato ed indiscusso gusto estetico, lo indusse a disegnare personalmente i costumi di scena.
Approfondì la propria cultura cinematografica assistendo a numerosi film francesi e russi e discutendo quotidianamente con Renoir ed i suoi assistenti. Dopo un breve soggiorno a Hollywood, ritornò in Italia e nel 1939 fu nuovamente assistente di Renoir per La Tosca, che il regista francese iniziò soltanto e dovette interrompere per lo scoppio della guerra, terminato in seguito da Karl Koch.
A Roma Visconti entrò in rapporti con un gruppo di giovani critici cinematografici che collaboravano alla rivista “Cinema”, èdita da Ulrico Hoepli e diretta, allora, da Vittorio Mussolini: tra essi, nella stessa veste, vi era anche un giovane Michelangelo Antonioni che andava scrivendo su carta quello che poi sarebbe divenuto la sua opera prima su pellicola, il cortometraggio, Gente del Po.
Tra gli altri, Visconti strinse amicizia, in particolare, con Giuseppe De Santis, Dario Puccini, intellettuali antifascisti, e Mario Alicata. Con essi, Antonio Pietrangeli ed Alberto Moravia scrisse la sceneggiatura di Ossessione, che in prima istanza s’intitolava Palude, tratta liberamente dal romanzo di James M. Cain, “The Postman always rings twice/ Il postino suona sempre due volte”, da lui letto in una traduzione francese datagli da Renoir o, a detta di alcuni, dall’amica Coco Chanel. Il testo fu approvato dalla censura fascista che, precedentemente, aveva invece rifiutato una sua sceneggiatura dal racconto di Giovanni Verga L’amante di Gramigna e divenne Ossessione.
Girato nel 1942 (ma èdito nel 1943), tra la città di Ferrara ed il territorio del Delta del Po, Ossessione non soltanto segna l’esordio di Visconti nella regia, ma getta i prodromi di quel ‘cinema della realtà’ che verrà sviluppato ed arricchito nell’immediato dopoguerra divenendo il Neorealismo e trovando tra i suoi massimi esponenti Roberto Rossellini, Cesare Zavattini, Vittorio De Sica e, pur se non troppo convintamente, Michelangelo Antonioni.
Grande opera prima, grandi interpreti: Massimo Girotti, attore sensibile, raffinato, multicorde, che ha recitato quasi fino alla sua morte; la sua ultima performance è stata, infatti, ne La finestra di fronte, del 2003 del regista italo – turco Ferzan Ozpetek, uscito postumo; Clara Calamai (il primo ‘seno nudo’ della storia del cinema ‘interpretato’ ne La cena delle beffe di Alessandro Blasetti, del 1941, tratta da Sem Benelli) che sostituì la ‘prescelta ed adorata da Luchino’ – ma allora in gravidanza – grandissima Anna Magnani e si innamorò perdutamente quanto inutilmente di lui.
E, last but not least, la musica: quella originale era di Giuseppe Rosati, certo, ma il regista e la nativa sua passione per il mélo lasciano in Ossessione un’impronta indelebile e tutta viscontiana: l’Andante della Traviata di Giuseppe Verdi – non a caso, è chiaro – è il leit motiv che sottolinea l’incontro fatale dei due protagonisti, Gino Costa – Massimo Girotti e Giovanna Bragana – Clara Calamai, anzi lo si può sicuramente definire il deuteragonista della tranche filmica narrata.
È la musica del fato, la voce di ciò che avverrà ed è già scritto ed ha il significato di ciò che Shakespeare fa dire a Romeo: Dirigo la mia vela, decido il mio destino…
Maria Cristina Nascosi Sandri
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RÉTROSPECTIVE LUCHINO VISCONTI A LA CINÉMATHEQUE FRANCAISE
Du 11 octobre au 9 novembre 2017
L’Italie de nouveau à l’honneur cet automne à la Cinémathèque française
Figure aristocratique du cinéma italien, Luchino Visconti (1906-1976) a été l’un des initiateurs du néoréalisme avec Ossessione (Les Amants diaboliques), acclimatation aux brumeuses plaines du Pô d’un roman noir de James Cain. La Terre tremble continuera cette veine attentive à la réalité sociale des plus démunis jusqu’à Rocco et ses frères (1960), âpre fresque familiale illuminée par le trajet d’une figure d’ange à laquelle Alain Delon offre son visage. Avec Senso (1954), puis Le Guépard (1963), notamment, il analyse le destin de l’Italie, conjuguant une mélancolie patricienne avec la conscience du rôle des forces sociales qui font l’Histoire. Idem dans Les Damnés, méditation marxiste sur la nature du nazisme, en 1969.
Hanté par l’Histoire et son mouvement, Luchino Visconti a traversé et imprégné plus de trente ans de vie cinématographique italienne. Son oeuvre raffinée s’est imposée comme une grande méditation sur le temps et l’inévitable corruption de toute chose (Mort à Venise, Ludwig ou le Crépuscule des dieux, Violence et Passion).
Du Risorgimento italien aux années de plomb, en passant par la Belle Époque et l’Allemagne nazie, le cinéma de Luchino Visconti n’a cessé de dépeindre avec brio la splendeur, la misère et les hantises d’un siècle au bord du gouffre, d’un monde toujours en sursis. Cette rétrospective sera donc l’occasion de voir et revoir des films magnifiques.
Tout le détail de la programmation, les horaires, les tarifs sont à consulter à ce lien:
RÉTROSPECTIVE LUCHINO VISCONTI
Cinémathèque française
51 Rue de Bercy, 75012
Du 11 octobre au 12 novembre)]