La crisi della politica e delle sue tradizionali categorie, sta sconvolgendo ogni pronostico sul nostro futuro prossimo. Si dicono troppe parole non sempre adeguate al difficile momento storico che attraversiamo e che sembra sfuggire ad ogni ragione, sia per sottolineare il pericolo insito nei nuovi avvenimenti, sia per propagandare un esito che appare incerto. La ricerca del silenzio sarà un tratto del tempo successivo a questo attuale, secondo il sociologo francese Michel Maffesoli.
Michel Maffesoli, Prof. Emerito di Scienze umane alla Sorbona di Parigi e titolare della cattedra Émile Durkeim, in un suo recentissimo libro: La virtù del silenzio (Mimesis editore, 2016) dichiara che la realtà è divenuta troppo sfuggente e i ben pensanti provano a districarla, ma con discorsi su discorsi, astratti e razionali.
Essa invece diventa conoscibile quando entra nel quotidiano. Allora è meglio affidarsi al silenzio per cercare di coglierne il mistero.
Non siamo più nell’epoca della modernità, quando il futuro si misurava sull’onda d’una visionarietà che s’avvaleva di sogni e di utopie, bensì siamo nel postmoderno, che annulla la lontananza futura e vive nel presente le proprie prospettive che il filosofo definisce: utopie interstiziali.
Maffesoli dirige le riviste “Sociétés” e “Cahiers de l’immaginaire”. Intervistato da Simone Paliaga su “Avvenire” (VEDI La rivincita del silenzio, spiega che le sole utopie oggi possibili sono quelle che non riguardano il tempo lontano, ma solo il presente, siano esse utopie politiche che artistiche, musicali, religiose o sportive.
– Ma che vuol dire questo non pensare al futuro? Come si può farne a meno e non tenerlo presente?
– E’ così incerto che è preferibile dimenticarlo – risponde.
Già Zygmund Bauman aveva definito la società liquida, cioè senza certezze, considerando il prefisso post, messo davanti a moderno, più che altro come una negazione. Ora più che mai l’epoca moderna è finita. Tutto cambia e si trasforma: la politica, l’economia, la filosofia, la scienza, il linguaggio, l’arte, l’assetto del mondo in generale, persino il concetto della storia, considerata nella sua evoluzione.
Gli intellettuali del nostro tempo che ancora parlano di utopie, in fondo vorrebbero conservare la modernità e le categorie che essa ha prodotto: il razionalismo e l’individualismo. Ma ora al globalismo è connessa la disparità che tende ad annullare secondo una linea piatta, che in medicina, indica la morte cerebrale. E’ inutile sovrapporre le voci per protestare come sta succedendo in America di fronte al fenomeno Trump. Ogni cosa deve compiere il suo ciclo!
Mi sto chiedendo come chiameranno, trascorso il silenzio, il tempo successivo a questo attuale. In fondo Baudelaire aveva, nel 1848, inaugurato la modernità da cui si attendevano grandi prodigi e l’alba di una nuova civiltà. Noi la nostra l’abbiamo bruciata in meno di un secolo e mezzo!
Il silenzio permette di non pronunciare azzardi che possono compromettere la realtà concreta. Le parole invece sanno essere violente e creare relazioni tutt’altro che pacifiche.
Vivremo il concreto presente senza sognare, in una dimensione guardinga, privilegiando gli aspetti emozionali anzichè razionali.
Forse questo ci permetterà di ritrovare lo spazio del “sacro”, un sacro però al di fuori dalle chiese e dai precetti, che ci aiuti a reinterpretare i rapporti umani ed a ritrovare la nostra perduta sensibilità solidale.
Gaetanina Sicari Ruffo