La nostra bella lingua, in tempo di globalizzazione, gode di numerosi contributi linguistici provenienti da diversi paesi, specie anglo-sassoni. C’è il rischio che il nostro lessico venga invaso da troppi esotismi e si impoverisca. Un utile vademecum di Romano Ferrari (edito da Senso Inverso) per evitare l’uso inopportuno, e spesso l’abuso, di vocaboli e termini stranieri.
Il Savonarola che dev’esserci in me s’è risvegliato ed è diventato più critico e meno tollerante; il mio tasso di senso dell’umorismo, già basso, si è ulteriormente ridotto,
man mano che prestavo più attenzione alla lettura e all’ascolto del nostro amore di lingua.
(Romano Ferrari)
Appassionato di musica classica, qualche tempo fa mi è capitato di ascoltare su una stazione radio francese un pezzo di musica contemporanea di un noto compositore e pianista italiano, Ludwig Enodì. Quando il presentatore della trasmissione, a pezzo ormai eseguito, precisò che il noto compositore era nipote del primo presidente della Repubblica Italiana, ho capito che si trattava di Ludovico Einaudi.
Mi ha fatto sorridere; ma una piccola sgradevole sensazione mi è rimasta addosso. Mi è venuta l’idea di verificare quante volte capita a noi italiani di incorrere in simili errori. Ho cominciato a prendere nota di tutti gli svarioni e le papere che commettiamo quando incespichiamo su un nome o una parola straniera. Ho cominciato a seguire di più le trasmissioni radiofoniche e televisive italiane e a prendere appunti; dapprima sulle parole o sui vocaboli stranieri pronunciati male alla radio e alla televisione; poi mi sono chiesto perché ci ostinassimo a usare parole straniere, soprattutto inglesi, che non sappiamo pronunciare correttamente. In seguito sono passato ai giornali, rimanendo colpito dalla quantità enorme di vocaboli stranieri che usiamo, anche quando l’italiano risulterebbe più chiaro ed elegante.
All’inizio ritenevo poter raccogliere un numero piuttosto ridotto di questi casi, immaginando che la mia raccolta non sarebbe andata oltre la dimensione di un fascicoletto di qualche pagina. Invece la lista si è andata ingrossando rapidamente, perché ho cominciato a prestare più attenzione alla lettura e all’ascolto. Ecco il punto: ormai non ci facciamo più caso, i vocaboli stranieri son entrati così sornionamente e accettati così supinamente che non ce ne accorgiamo più; è un’intossicazione latente, un avvelenamento della nostra lingua. Soprattutto ad opera dell’inglese o dell’americano.
È ben più grave di quanto pensassi. Non si tratta più di uno stillicidio: è un’esondazione. Persino i giornalisti più esperti e navigati, quelli che spesso prendiamo a riferimento per le loro idee, i loro giudizi, il loro contributo a un’informazione corretta, ebbene persino loro cadono nella rete, anzi nella ragnatela linguistica di vocaboli e termini stranieri che si appiccica ai nostri media e alle nostre mani, come quando in una vecchia cantina si cerca una bottiglia d’annata o si rovista fra vecchie cianfrusaglie.
Siamo anestetizzati, ubriacati: i vocaboli stranieri sono entrati per via endovenosa fino al nostro cervello, non offriamo alcuna resistenza, anzi. I termini proposti sono spesso incerti, vaghi e approssimativi, ma ci vengono proposti con sussiego, persino con aria di superiorità: ne rimaniamo affascinati. Li ripetiamo per presunzione e voglia di sembrare. Un’intossicazione latente, un avvelenamento lento.
I giornalisti italiani hanno una grande responsabilità per i guai prodotti alla nostra lingua. Me la prendo soprattutto con quelli radiofonici e televisivi, perché attraverso le loro parole così ampiamente diffuse raggiungono vaste fasce di concittadini, anche quelle meno immunizzate, influenzandone il gergo.
Esempi? a bizzeffe. Cominciamo da day: day after, election day, vaffa day, family day. Non sarebbero più appropriati : giorno dopo, giorno elezioni, giorno vaffa, giorno famiglia?
Jobs act, civil partnership, tanto amati dal nostro presidente del consiglio, saranno probabilmente trasferiti nella legislazione italiana con i termini decreto lavoro e unioni civili. A meno che nel frattempo il nostro parlamento non generalizzi l’uso dell’inglese. Come nel caso della sessione interrogazioni che è diventata question time.
Malgrado l’abbondanza degli esempi rilevati alla radio e alla televisione, mi è stato più facile cogliere in fallo e documentare gli eccessi dei giornalisti della carta stampata e digitale, o dei traduttori di libri (scripta manent). Ho fatto di necessità virtù: mi sono servito prevalentemente dei loro scritti; sono loro che ho punzecchiato di più, ma non ce l’ho particolarmente con loro.
Il risultato è un libro che ho pubblicato in Italia con l’editore Senso Inverso. Il titolo: “Un amore di lingua – trecento suggerimenti per difenderla e farla amare di più”. Trecento espressioni anglosassoni che potremmo tranquillamente evitare usando termini che esistono da secoli nella lingua di Dante, senza bisogno di scimmiottare nessuno.
Romano Ferrari
UN AMORE DI LINGUA –
300 suggerimenti per difenderla e farla amare di più
di Romano Ferrari
Senso Inverso Edizioni (Clicca qui per eventuale acquisto on-line)
ISBN 9788867931040
Pag. 335 – € 17,00
L’italiano, un amore di lingua. 300 suggerimenti per difenderla e farla amare di più.
La stupidità ed il provincialismo di tantissimi giornalisti, politici e acculturati di varia specie che, quasi si vergognassero della nostra lingua, ricorrono all’americanese per darsi un tono, non sanno, né la sudditanza culturale al mondo anglosassone gli può dare la possibilità di sapere che lo strumento più efficace per cancellare la cultura di un popolo è distruggerne la lingua. Oppure forse lo sanno ma, come collaborazionisti della globalizzazione, direbbe Kundera, ne condividono gli scopi e si adoperano a che si raggiungano. Mi auguro che il libro di Ferrari possa far vergognare, se mai lo legga, quel giornalista che dicendo « saine dai » non conosce neanche il corrente « sine die » alla latina.
L’italiano, un amore di lingua. 300 suggerimenti per difenderla.
Gentile Sig. Ferrari
Condivido con lei l’amore per la nostra lingua che trovo, non mi tacci di partigianeria, la più dolce, la più musicale e la più completa, purtroppo ad oggi così bistrattata da far male al cuore.
Orfana del forum « Scioglilingua » del Corriere della Sera, a cui quotidianamente partecipavo con interesse, mi sono avvicinata al forum di altritaliani per ritrovare lo stimolo al dialogo.
Aggiungerò senz’altro il suo libro alla mia collezione.
Cordiali saluti
Ivana Palomba