L’invasione dei super-scemi

La Pillola di Puppo – Dicembre 2022. Dovremmo tornare ad apprezzare il valore della mitezza. Delle timidezze, dell’imbranataggine. Della goffaggine. Della modesta bruttezza. Dell’incapacità a fare le cose.

Se giudichiamo il mondo da quello specchio deforme che sono le reti sociali, siamo circondati da sedicenti superuomini (o superdonne. O super-qualcosa). Arroganti, sarcastici, moralisti, sempre lì a giudicare, a dire come si dovrebbe fare. Abilissimi in qualsiasi cosa. Pieni di ardimento, con un coraggio ai limiti dell’incoscienza: giovani splendidi che si tuffano ridendo da altezze vertiginose, equilibristi in bilico su un filo a trecento metri di altezza, pensionati tirati a lucido che si lanciano ridendo nei burroni. Sportivi vincenti che esultano facendo le beffe. Politici ambiziosi, pieni di sé, che aggrediscono gli avversari, animati da un’autostima senza fine: “noi siamo sempre stati chiari e coerenti”. Opinionisti furbi e arroganti, di inesauribile vis polemica. Astrofisici poliglotti con il sorriso ebete perennemente stampato sul volto (lo scienziato in carriera non può mai essere malinconico o giù di corda, è sempre in uno stato di apparente estasi). Cicisbei petulanti, fighetti che si ammirano allo specchio. Palestrati che fanno duecento flessioni si una mano sola (figurati su due). Ragazze mezze nude con fisico da urlo che collezionano citazioni sospirose su quanto poco conti la bellezza esteriore: “nulla, la bellezza non è nulla, del resto quando ero a scuola tutti mi prendevano in giro perché ero brutta”. Ma anche, all’opposto, persone francamente bruttine (eh sì, si può anche essere brutti al mondo, mica siamo tutti modelli) che si auto-esaltano; “io mi sento bellissima/o così”, e giù applausi (è incredibile come il narcisismo, l’esaltazione di sé possano suscitare tanto consenso negli altri. Io ero rimasto al vecchio “chi si loda, si imbroda”).

Figlie e figli di papà che si confidano, “la presenza di genitori così importanti come i miei è stata un grande ostacolo per me, ho dovuto faticare il triplo degli altri per impormi come artista” (certo, molto ma molto meglio nascere in un quartiere degradato e da una famiglia morta di fame con i genitori che si tirano, e ti tirano i piatti in testa, lì ostacoli non ce li hai e importi come artista è un gioco da ragazzi). Festaioli scatenati che danzano, carrieristi invasati che cercano “nuove sfide”, fondatori di “startup” che fanno i miliardi e assumono cinquantamila dipendenti in mezz’oretta (per poi licenziarli nella mezz’ora restante). Gente che « coltiva il suo sogno ». Vitalisti che, dopo il terribile incidente che li ha gravemente menomati, corrono a 300 all’ora sul dito di una mano con sorriso a trentadue denti (anzi trentuno: uno era saltato nell’incidente). Siamo insomma diventati (a giudicare da quello specchio deforme, dicevo, che sono le reti sociali) una valanga di insopportabili scemi urlanti che urlano in coro « io io io ». Ognuno grida la stessa cosa, pensando di essere l’unico al mondo e di essere fortissimo, intelligentissimo, bellissimo “così come sono”.

Ma non è vero. Non tutti siamo fortissimi, intelligentissimi, bellissimi; e nemmeno coraggiosi, spavaldi, intraprendenti. L’essere umano è anche altro. Indecisione, piccole viltà, non sapere che cosa si vuole dalla vita, la paura e l’angoscia, il rimorso della sera, la ragazza a cui pensavi ogni notte e ogni giorno, dietro a cui ti trascinavi alla pari di un cane, che esce con un altro (un altro stupido, volgare; e tu da solo), l’ “esprit d’escalier” (la risposta giusta che arriva troppo tardi. Come capitava spesso agli ambasciatori, e da qui l’espressione coniata da Diderot, quando scendevano le scale dopo l’incontro con i sovrani, e si tormentavano: ecco cosa avrei dovuto dire). La vita è anche il tempo che passa invano, l’essere troppo giovane o troppo vecchio per tutto (come erano per Sartre le tre del pomeriggio: sempre troppo presto o troppo tardi per qualunque cosa).

E allora Dio salvi (più che le regine e i re, che non ne hanno bisogno) coloro che portano sé stessi per le strade con difficoltà, impaccio, mitezza, una leggera vergogna di esistere. Coloro che non hanno sempre e subito la battuta giusta, la replica furbastra a portata di mano, che dubitano terribilmente di sé, che non hanno destrezza e abilità, che girano una chiave nella porta con difficoltà, che hanno paura. Coloro che si vergognano, come scrive Nietzsche, quando il lancio dei dadi riesce in loro favore.

Dio (o chi per lui) salvi insomma, le persone normali, fragili, insicure e deboli. Ammesso che ne esistano ancora, sepolte come sono dalla marea di questi sedicenti superuomini. O meglio, super-scemi.

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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