Gli ultimi anni hanno mostrato un crescente interesse del pubblico e degli editori nei confronti della microstoria, una tendenza che non si attenua e che sta appassionando anche i giovani, non necessariamente lettori ma più spesso fruitori di altre forme di narrazione storica. La storia narrativa è tornata di moda dopo il cosiddetto narrative turn degli anni Novanta, in reazione a forme di storiografia meramente analitiche come quelle proposte e perseguite dalla scuola parigina delle Annales. In generale, dopo un graduale e inesorabile distacco del pubblico dalla storiografia tradizionale dei grandi eventi e delle grandi narrazioni, si sono affermate opere che, nella loro capacità di osservare il passato in scala ridotta, mettono a fuoco fenomeni di vita quotidiana in aree geografiche delimitate, città, perfino quartieri e condomini. La storia abbraccia così la vita quotidiana di persone molto diverse da noi, ma che nell’immaginazione riusciamo a riconoscere meno distanti e comprensibili sotto il profilo delle emozioni.
In questo genere, il confine fra storia e finzione può apparire labile, ma se non si assume la prospettiva postmoderna di Hayden White e si resta più attenti alle fonti e alle tracce, è possibile distinguere il lavoro estetico del narratore da quello analitico dello storico. Nondimeno, è il piacere della lettura ad avvicinare i lettori alla storia, evitando – o almeno ritardando – la tendenza in corso a trasformarci in una società priva di senso storico e intrappolata nel presente eterno dell’informazione istantanea.

Questa lunga premessa vuole introdurre il libro di Alessandra Demichelis La mala vita, dalla struttura ibrida che combina in modo elegante la narrazione con la saggistica. In copertina si vede un tribunale in stile umbertino, con la grande parola “Iustitia” incisa solennemente in latino. Il contesto è appunto quello del crimine e della devianza sociale, ma l’aggettivo “mala” sembra invitare il lettore a fermarsi e riflettere. Si pensa alla “malapianta” di Sebastiano Vassalli e forse alla “malora” di Beppe Fenoglio, nonché ai classici mala tempora dell’adagio latino. Di fatto, l’autrice non offre il crimine in sé e per sé a un pubblico in cerca di emozioni forti. La quarta di copertina e l’aletta orientano il lettore verso la chiave di lettura, annunciando “cronache, storie e delitti di una ‘provincia tranquilla’” e chiedendo se “era davvero un ‘buon tempo antico’ quello di un secolo fa”.
Nato da ricerche condotte per anni su carte di tribunale, giornali e altri archivi nella provincia di Cuneo, questo libro contribuisce a smentire l’idea posticcia del bel mondo felice della campagna dei nonni e dei bisnonni, quando si era poveri e felici, quando tutti nelle piccole comunità si aiutavano condividendo il poco che avevano, e insieme cantavano e ballavano in armonia. Demichelis propone dodici casi giudiziari che scossero l’opinione pubblica del Cuneese nei primi trent’anni del Novecento, quel mondo che già Nuto Revelli aveva iniziato a rivelare attraverso le sue inchieste di storia orale negli anni Settanta e Ottanta. Un mondo povero, in cui le famiglie numerose spesso vivevano di piccoli commerci o di agricoltura, spaccandosi la schiena per far fruttare appezzamenti di terra frazionati da troppe successioni ereditarie, dove le donne erano sottomesse e maltrattate da mariti alcolizzati e violenti, dove le liti per un confine o un tradimento finivano facilmente in risse e accoltellamenti. Si tratta di un mondo dove regnavano l’analfabetismo e la diseducazione politica, dove pochi avvocati della borghesia cittadina come Tancredi Galimberti prosperavano proprio sul terreno di povertà materiale e morale in cui la frustrazione, la disperazione e l’assenza di alternative alle gabbie sociali sfociavano sovente in violenza e crimine.
Demichelis, che ha in passato già pubblicato notevoli libri di microstoria narrativa (ricordo Hanno sparato a un aquilone, del 2011, sul delitto del prefetto di Cuneo nel 1944), con finezza e grande abilità costruisce lo spazio in cui si muovono i personaggi, calandovi all’improvviso dettagli di carattere con squisita precisione, come potrebbe coglierli un fotoreporter: uno sguardo, un gesto, il colore di un vestito, una frase estratta dagli atti processuali che conserva ancora l’emozione con cui fu pronunciata in aula. L’autrice cita le parole vive degli imputati e dell’accusa, passi delle arringhe difensive e dei verbali dei Carabinieri, cucendole insieme in una prosa intensa che mescola il compito della spiegazione storica con il gusto della narrazione, producendo racconti di grande intensità.
Anche la guerra del 1915-1918 diede il suo contributo al problema della violenza, non soltanto per l’arrivo di molti militari nelle caserme cuneesi, ma anche per il fatto che l’assenza degli uomini contribuì a modificare gli equilibri sociali nelle campagne e nelle famiglie, esponendo le donne a situazioni e rischi dai quali né la legge né il senso comune allora le tutelava. Inoltre, l’epidemia di febbre spagnola acuì le sofferenze della popolazione, colpendo famiglie già prostrate dalla povertà e dalla mortalità infantile.
Altro fattore che salta agli occhi e su cui è opportuno riflettere è l’assenza della violenza politica legata alla nascita del fascismo nei primi anni Venti. Il mondo contadino Cuneese non conobbe moti di agitazione paragonabili a quelli emiliani (il partito dei contadini di Alessandro Scotti non aveva certamente ispirazione comunista) e la stessa presenza di anarchici e sovversivi rimase limitata negli anni in cui il fascismo prendeva il controllo dell’Italia. Dalle storie raccolte in questo libro ambientate negli anni Venti (sette su dodici), mancano infatti gli incidenti fra squadristi e antifascisti.

Il libro è infine completato dall’inserimento del saggio dal titolo ironico Il buon tempo antico, già apparso nel 2019 nella rivista Il presente e la storia, nel quale l’autrice offre una visione generale della criminalità nel Cuneese all’inizio del Novecento, corredata da un’analisi delle cause (partendo dall’inchiesta Jacini del 1880, sullo stato socioeconomico del mondo rurale nel Cuneese) e delle dinamiche della devianza.
Il volume La mala vita offre uno spaccato microstorico di una provincia che un secolo fa era attraversata da tensioni sociali che nascevano nel corpo stesso delle famiglie e delle comunità contadine e dei piccoli centri urbani, dando vita a numerosi fenomeni di criminalità che non si legavano né al brigantaggio né alla violenza politica. Demichelis affonda lo sguardo in fenomeni più difficili da rintracciare e osservare, i piccoli casi apparentemente insignificanti della cronaca dispersi negli archivi dei tribunali, i quali però restituiscono l’immagine di un mondo in cui la violenza era diffusa e radicata nella vita quotidiana, finendo con l’influire sulla vita delle comunità e delle persone molto più di eclatanti fenomeni “nazionali” come la guerra o la violenza fascista.
Alessandra Demichelis, La mala vita, Torino, Graphot, 2023, p. 182
SCHEDA DEL LIBRO SUL SITO DELL’EDITORE
Gianluca Cinelli




































