Leopardi, Pascoli, D’Annunzio e Montale, poeti che hanno saputo sublimare la bellezza della natura, dalle più umili piante alla natura tutta, celebrando così il trionfo della bellezza, il comune destino dell’umanità, la resistenza al dolore, la gioia effimera ed istantanea.
***
Le umili piante dall’Infinito alla Ginestra
Non a tutti piacciono le umili myricae, proclamava Pascoli, per cui intitolava la raccolta delle sue poesie per l’appunto Myricae.
Le umili piante non quelle nobili, illustri come le orchidee, il ginepro di coccole aulenti.
Le alte e nobili piante sono quelle lasciate in eredità proprio da D’Annunzio, il poeta vate che ne celebrò l’apoteosi e l’epifania ne La pioggia nel pineto.
Ma non si tratta tanto di una polemica letteraria, di una presa di distanza di Pascoli su un fronte stilistico e formale.
È un tema strutturale che costituisce una vera e propria linea di confine nelle patrie lettere.
Dal Solitario bosco ombroso di Paolo Rolli a I Limoni di Montale, le umili piante fanno da cornice a confessioni, esprimono una spiritualità inquieta e magmatica laddove quelle nobili ed alte sono in certo senso relegate allo spettacolo, alla decorazione.
Tra le cimase e i vicoli la loro solarità squilla come tromba, riporta l’umanità alla sua dimensione dimidiata e lontana, alle sue origini che sono non terragne, ma di una nobiltà diversa da quella spettacolare ed aulica di D’Annunzio.
Irrompe nella linea botanica della poesia La ginestra di Leopardi che appartiene alle umili piante ma che ha come surplus la chiave della poetica leopardiana poiché coniuga in sé verità e poeticità.
Essa ha degli attributi: un dolcissimo profumo ed è lenta e resistente.
È l’unico fiore che può resistere alla distruzione del formidabile Vesuvio. L’altro attributo della ginestra è la flessibilità. Sono aggettivi virgiliani. Essi contengono l’idea virgiliana tipica delle Georgiche, della resistenza, della fatica.
In effetti la Ginestra assurge a simbolo della poetica leopardiana nel contrasto tra verità e poeticità che in essa si conclude e si risolve. La verità è quella che balza e si rivela nella Ginestra.
Essa è distruzione e morte. Ha visto fossili accumulati nel corso di secoli, primordiali. La lava è pietrificata. Sola espressione di vita è la serpe ed il coniglio che va cercando il suo cavernoso nascondiglio.
L’eco di questa distruzione si sparge per tutte le Operette morali. La verità sembra aver la meglio sulla bellezza, l’essenza della poeticità.
L’elemento più interessante, in contrasto con la distruzione, è il trionfo della bellezza e della poeticità attraverso la ginestra e la metamorfosi che bellezza e ginestra operano sulla soggettività.
Tutte le considerazioni sulla solidarietà, sul comune destino dell’umanità, sulla resistenza al dolore, sulla gioia pur effimera ed istantanea, sono elementi di questa metamorfosi.
Mi sovviene che anche ne La pioggia nel pineto si opera una metamorfosi e tale metamorfosi è la trasformazione in vita arborea.
I due protagonisti finiscono proprio a vivere una vita arborea ed ‘or congiunti ed or disciolti’ partecipano della vita delle piante tra cui vagano senza memorie.
La liberazione, l’Eden si attua attraverso questa metamorfosi.
Nella Ginestra la metamorfosi è verso l’alto, verso la conquista di una spiritualità ampia che comprenda tutti e vada oltre, anche alla distruzione. Il paragone a cui la mente ricorre immediatamente è l’infinito. Anche lì l’avvento della bellezza produce una soggettività cosi ampia da comprendere spazialmente l’infinito e l’eternità sotto il versante temporale.
Spazio e tempo concorrono a produrre un’ascesi che solo nelle filosofie ascetiche orientali si ottiene con tanta potenza.
L’elemento da cui parte la soggettività nuova, capace di ascesi mistica, di introdursi e conquistare l’immenso e l’eterno, nasce dal limite nell’Infinito e dalla cognizione del dolore nella Ginestra.
La natura fossile impietrata è quella a cui si uniforma l’aridità del cuore, la sua perdizione, lo smarrimento della bellezza e dell’amore, della tenerezza.
Il collegamento con le Operette morali è esplicito. Le Operette sono l’esplorazione del dolore più profondo, il tradimento della natura, la morte.
Carmelina Sicari