A proposito di Liguries, una raccolta bilingue di prose e poesie di Calvino inedite in Francia, che evocano la sua regione di origine; traduzione e presentazione di Martin Rueff (Editions Nous, 2023).
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In fondo ai sogni di Italo Calvino (e ai miei) credo ci sia un luogo perduto, perfetto. Invaso da una luce che trema sul mare, illumina le ombre e il verde delle colline. Un posto in cui (per usare le parole della Strada di San Giovanni) si può “andare al mare dove le ragazze lanciano palloni con le braccia lisce, si tuffano nel luccichio, gridano, schizzano”. È la «Liguria magra e ossuta », dice Calvino, con un lessico che evoca quello, “scabro ed essenziale”, di Eugenio Montale. Ma anche “dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini” che si cela dietro quella “dei cartelloni turistici”.
Il libro Liguries percorre quel luogo: «una strada, che segue approssimativamente l’arco della sua costa, da ponente a levante». È un collage, magnificamente curato da Martin Rueff, di inediti calviniani (sei poesie e cinque prose) scritti nell’arco di trent’anni, dal 1942 al 1975. Quelli in cui l’Italia approda a una dolorosa modernità. Le Ligurie di Calvino sono declinate al plurale; del resto (è una delle scoperte che si fanno, leggendo il libro) nessuno dei dialetti liguri ha un termine proprio che significhi Liguria. (Tanto meno il mio, il genovese. Dove invece è largamente corrente Zena per Genova). Liguria è termine latino, transitato all’italiano attraverso la lingua “dotta” e poi quella amministrativa napoleonica. Ogni Liguria fa dunque parte per sé stessa.
Calvino comincia da quella di ponente, luogo «quasi» natale (vi arriva due mesi dopo essere nato a Cuba): Sanremo che si trasforma in meta di viaggiatori, grazie a un libro del 1855 (Dottor Antonio di Jacopo Ruffini) e poi prende una allure più frivola e ambiziosa con l’apertura del casinò, nel 1905. Da lì in poi vi arrivano “i nuovi ricchi (…), facce nuove, con nuove macchine, nuove amanti”. E anche qualche eterno povero: ad esempio i miei nonni paterni. Sposatisi a Genova negli anni Venti e filati in viaggio di nozze a Sanremo. Unico viaggio di piacere di tutta la loro vita.
Poi Calvino inizia a spostarsi verso levante. Attraversa la Noli di Sbarbaro che “sdegnosa della terra, guarda il mare come un gabbiano ferito”. Savona con le navi cariche di carbone e le metafisiche mura della fortezza del Priamar. La Genova corrusca e mediterranea di Caricamento (di Voltri, di sgomento, per Caproni) e Sottoripa. La Genova di Calvino è “una megalopoli all’americana”, colta nel momento della sua massima espansione demografica (il testo in questione è del 1973, scritto per un bel documentario di Folco Quilici): oltre ottocentomila abitanti, trecentomila più di oggi. Dalla Genova operaia e metropolitana Calvino si spinge nell’entroterra dei “paesi nascosti” che, benché vicinissimo al mare, ne sembra distante, spinto com’è verso l’alto: “basta addentrarsi di pochi chilometri e si passa dal mare alla montagna, dai giardini e dagli oliveti ai pini, ai castagni, ai faggi”. (E la parlata cantilenante ligure si vela di influssi piemontesi a ponente, emiliani e infine toscani a levante).
In Liguria dal mare si fugge, magari per le strade attorno all’abbazia nascosta di San Fruttuoso, per poterci tornare: “sovente camminiamo itinerari / segreti, per fuggirci”. Nel 1985, poco prima di morire (lo ha ricordato la scrittrice Laura Guglielmi), Calvino, in un’intervista incappa in un lapsus: dice che dalla Liguria lo ha fatto partire una forza «centripeta». Come ogni lapsus, è rivelatore: è proprio ciò che lo lega (alle Ligurie) ad averlo spinto via. Nell’introduzione (magnifica) di Martin Rueff, ci viene data una chiave per leggere questo lapsus. Calvino è un uomo che guarda. Vive, leopardianamente, sedendo e mirando. Per meglio guardare, come Palomar, ha bisogno di allontanarsi dalle cose a cui è legato. Nel tremolar della marina ligure, Calvino (come in sogno) vede le braccia lisce delle ragazze che lanciano palloni. Ma è un uomo destinato a voltarsi, come Orfeo. Abbandona le braccia delle ragazze nel sole, si volta e incontra un’ombra. La stessa del “suo” poeta: Montale. Calvino, in un testo critico, aveva utilizzato un testo borgesiano, sull’immaginario animale “hide behind” per dire che quell’ombra, che l’uomo montaliano incontra nel voltarsi, è il niente. Il “nada nostro” di Hemingway.
Martin Rueff ci dice che la Liguria di Montale, Sbarbaro, Caproni è quella di chi è destinato a distogliere lo sguardo dalla luce e voltarsi verso l’ubagu, l’opaco. Anche Calvino è dunque un Orfeo che non resiste alla tentazione di voltarsi. E come ogni Orfeo, eternamente perde Euridice in cambio del nulla.
Maurizio Puppo
LE LIVRE:
Italo Calvino
Liguries
– Inédit –
Traduit de l’italien et présenté par Martin Rueff
Edition bilingue / Collection Via
168 pages – 18€ – Sorti le 15 septembre 2023
Liguries sur le site de l’éditeur
LINK al bel documentario « l’Italia dall’alto – Liguria 1973 » di Folco Quilici