Alle 18 si ritrovano quasi tutte sulle panchine della villa comunale della mia città, il turno di lavoro di badanti e cameriere è finito oppure concede delle pause, l’ora d’aria per incontrarsi e discutere nella loro lingua: della giornata, delle prospettive, dei figli e i nipoti lontani, in quella parte dell’universo che per noi è sempre stato l’Est. La villa si balcanizza, si slavizza in lingue più variopinte e recondite: russe, ucraine, polacche, rumene, albanesi, fra loro si comprendono. Ludmilla, Irina, Liliya e tanti altri nomi come usciti da una canzone di Paolo Conte. Sono quarantenni o poco più, molte di esse già nonne, benché madri intorno ai vent’anni.
“Occhi chiari, laghi gemelli…capelli di sabbia raccolti nei foulard…” Quelle ragazze dell’est che decantava nel 1981 Claudio Baglioni in quell’album straordinario (ascolta il video sotto) ben prima che quel Muro cadesse a Berlino, e le portasse in eserciti indistinti da queste parti, in quell’occidente che la televisione faceva intravvedere loro come l’eldorado. E dopo quella “storica Caduta” a gruppi di giovani si sono riversati da quelle parti, in cerca di facili approcci (basta un paio di calze, si diceva, e te le fai). O forse semplicemente per quel desiderio di voler ancora sedurre, sentire rifluire il maschio latino pronto ad affascinare altre ragazze in quelle terre di conquista fin dai tempi dei Romani.
Mitologie che sembrano di un secolo fa. E invece solo di qualche decennio.
Come in un interscambio di vasi comunicanti si ritrovano nei viali con un anziano sottobraccio, qualcuna ha persino trovato marito; altre sono considerate sfasciafamiglie, oppure traviano anziani facendosi sposare e magari prendere quel che hanno, alcune si sono trovate a battere, o a inseguire amori fantasmi come in un film dei Dardenne.
Altre ancora sono persone per bene, qualche agenzia le arruola come dame di compagnia ma dopo un po’ vanno via perché non si aspettano di fare pulizie intime alle anziane signore. Molte di esse hanno una laurea, che qui non è riconosciuta o forse non sperano neppure di metterla a frutto.
Che bei versi cantava loro Baglioni nel 1981; e ancor prima Lucio Battisti – su testo di Mogol – le ha venerate come angeli bianchi nella nebbia. La luce dell’est in quel “seno bianco e morbido fra noi…”
Quel Muro di Berlino non era ancora caduto, ma in piedi restavano speranze, per quella Primavera (di Praga) che non venne mai.
“…e un dolore nuovo e lontano tenuto per la mano / io le ho viste che cantavano nei giorni brevi di un’idea / e gomiti e amicizie intrecciati per una strada /io le ho viste stringere le lacrime di una primavera / che non venne mai volo di cicogne con ali di cera…”
Ora sono qui, vaghe stelle che illuminano i viali senza erba; si mescolano ai passanti, ma si conoscono fra loro, discutono di tutto o forse di niente.
Un tempo erano lì:
“fra cemento e cupole d’oro che il vento spazza via sotto pensiline che aspettano sole il loro tram / coprirsi bene il cuore in mezzo a sandali e vecchie camicie fantasia / e a qualcuno solo e ubriaco che vomita sul mondo / io le ho viste portare fiori e poi fuggire via / e provare a dire qualcosa in un italiano strano…”
Baglioni come pochi altri le ha inondate di poetica. E figurare persino dei mariti spesso alcolizzati che non sapevano cogliere in loro la prorompente femminilità, che ora, da queste parti, alcune sanno ben ostentare.
…sulle labbra vaghi sorrisi di attesa e chissà che / scrivere sui vetri ghiacciati le loro fantasie / povere belle donne innamorate d’amore e della vita / le ragazze dell’est.
Armando Lostaglio
(Da Rionero in Vulture – Basilicata)