L’Appunto mensile di Alberto Toscano – febbraio 2021

Uno spettro s’aggira per l’Europa : il miscuglio tra Covid e confusione. La bomba C (Covid più confusione) non smette di colpirci e di disorientarci. All’inizio, esattamente un anno fa, ci sono stati scienziati che hanno dato l’allarme e altri che hanno parlato di una sorta di « forma influenzale ». Oggi i virologi sono diventati star della comunicazione, talvolta a detrimento dell’utilità stessa dei loro messaggi. In Italia come in Francia, sembrano dividersi in squadre o in partiti : i fautori dell’apertura contro quelli del confinamento. « Aperturisti » contro « confinisti », una partita a colpi di interviste. Anche a colpi di minacce : un luminare dice che, se il governo non seguirà i suoi consigli, lui potrebbe smettere di dargliene. Poi ci sono i giornalisti, che – oltre a dividersi in squadre – non hanno una laurea in medicina. All’inizio dell’epidemia, considerata allora come fenomeno cinese-italiano, ho sentito alla tv frasi come: « In Francia non può accadere perché abbiamo il sistema sanitario migliore al mondo! ». Quanto ai politici, alcuni hanno lanciato slogans dal sapore ideologico : davanti a un virus che non ha bisogno di passaporto, hanno chiesto soprattutto il rafforzamento delle frontiere. Come se l’integrazione comunitaria fosse di per se stessa un fattore di pericolo. È ovvio che meno ci si sposta e meno il Covid si diffonde, per cui ogni limitazione agli spostamenti (tra Stati, ma anche tra regioni e persino tra comuni) può avere un effetto favorevole nei periodi critici. Ma fissarsi sulle frontiere nazionali, facendo di questo una questione di principio, significa piantare una bandiera ideologica più che volersi impegnare nella lotta alla malattia.

Ci sono Covid e confusione anche a proposito dei vaccini. I media di tutti i grandi Paesi europei esprimono critiche per come stanno procedendo i programmi su questo terreno. Le opinioni pubbliche sembrano disponibili a porgere il braccio verso la siringa, ma (soprattutto in Francia) le perplessità non sono affatto svanite. Ormai da mesi le reti televisive bollono e ribollono di reportage basati sulla stessa domanda « Lei vuol farsi vaccinare ? ». Tra chi risponde no, nel nome della propria libertà personale, c’è qualche medico e infermiere. Si torna così al vecchio dibattito sui limiti della libertà. I liberi cittadini hanno o no il diritto di chiedere ai liberi medici e ai liberi infermieri di fare il massimo per non diventare essi stessi vettori della malattia ? Io francamente penso di sì. Ma è solo un’opinione. Comunque la risposta più bella alle inchieste giornalistiche è stata data a un telegiornale francese dall’anziana (molto anziana) ospite di una casa di riposo. Domanda « Lei signora ha voglia di farsi vaccinare ? ». Risposta: « Sì, perché ho voglia di vivere ! ».

Qualcuno sguazza nella confusione, mettendosi in luce con tesi e proposte apparentemente coraggiose, che vogliono soprattutto calamitare l’attenzione dei media. Problemi reali vengono declinati in modo provocatorio. C’è chi se la prende con la generazione del baby-boom postbellico, colpevole di aver avuto la vita più facile di quella che l’ha preceduta e di quella che l’ha seguita. Quand’anche fosse vero, non mi parrebbe né una colpa né una ragione per condannare i settantenni a morir di Covid. Altri argomentano, in modo più serio, sulla questione dell’attrito tra generazioni. Certo che c’è un rischio del genere. C’è un problema di debito pubblico che graverà sulle prossime generazioni e c’è il fatto che – con tutte le banconote che entrano e che entreranno nelle vene della società per aiutarla a superare la crisi – i prezzi di alcuni attivi, in particolare immobiliari, potrebbero aumentare nei prossimi anni. Come potranno i giovani acquistare un appartamento ? Che cosa possono fare oggi gli Stati per aiutarli ad affrontare domani questo problema e tanti altri ancora ? Se le vecchie generazioni sono penalizzate dalla malattia, le giovani potrebbero esserlo dalle sue conseguenze economiche e sociali. La via d’uscita sta nell’oculata gestione dei futuri investimenti nazionali ed europei. Ci stiamo indebitando, ma il debito è come il colesterolo : c’è quello cattivo, ma c’è anche quello buono. I due convivono nello stesso corpo e occorre trovare la giusta proporzione.

************

I problemi economici legati alla pandemia sono in primo piano per tutti, ma c’è il rischio di ricorrere all’ideologia per trovare presunte soluzioni facili quanto miracolose. Premesso che tutti gli Stati si indebitano per evitare il proprio tracollo economico-sociale, c’è chi crede da aver trovato la « pietra filosofale » proponendo di non restituire i debiti. Discorsi del genere vanno benissimo se – oltre a dire  Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori – si è anche capaci di trasformare l’acqua in vino, magari moltiplicando pani e pesci. Altrimenti le cose si complicano, visto che diventa difficile trovare chi ti fa credito.

I Paesi europei un miracolo lo hanno fatto, mettendosi d’accordo su una soluzione finora considerata quasi utopistica: un debito contratto dall’Unione nel suo insieme per distribuire risorse ai propri membri. Questi fondi vengono concessi sulla base della gravità delle stimmate lasciate dalla pandemia. Chi più è stato danneggiato (in questo caso l’Italia), più riceverà. È un progetto inedito e straordinario, che siamo chiamati a salvaguardare. L’idea stessa della non restituzione (comunque contraria ai trattati comunitari) incrinerebbe e ostacolerebbe l’intesa europea. Strombazzare ai quattro venti l’ipotesi della mancata restituzione del debito significa insomma indebolire il progetto europeo, che con fatica e successo è stato costruito nel corso del 2020. Un progetto che prevede sia lo stanziamento europeo a fondo perduto di 390 miliardi di euro sia prestiti agevolati per 360 miliardi di euro. Naturalmente tutti i beneficiari prenderanno i quattrini dello stanziamento a fondo perduto (81 miliardi all’Italia, 72 alla Spagna, 40 alla Francia, 33 alla Polonia, 26 alla Germania), mentre non tutti e non necessariamente nella misura massima (che per l’Italia è 127 miliardi) approfitteranno della possibilità di indebitarsi per questa via.

I problemi veri saranno quelli di tenere a bada stabilmente i tassi d’interesse sul debito pubblico (quello contratto dall’Unione nel suo insieme e quello dei singoli Paesi membri) e di utilizzare al meglio i fondi a disposizione dei governi. Il raggiungimento di questi due obiettivi fondamentali dipende, vale la pena di sottolinearlo, dal grado di coesione e d’integrazione dell’Unione stessa. Mai come in questo momento i Paesi dell’Unione europea sono stati chiamati a comprendersi e a rispettarsi. Davvero siamo tutti sulla stessa barca.

Source: L’Humanité

Un’altra polemica di questi giorni viene animata dagli intellettuali in lotta contro i brevetti sui vaccini anti-Covid. In astratto questo impegno sembra plausibile e anche ammirevole. Ma in concreto quale obiettivo si persegue: l’interesse della popolazione o, una volta di più, l’affermazione di una bandiera ideologica ? Di cosa abbiamo bisogno : di risparmiare sulle spese legate ai brevetti o di produrre la massima quantità possibile di vaccini ? L’importante è fare in modo che i vaccini vengano massicciamente sfornati anche da imprese farmaceutiche diverse da quelle titolari dei diritti. Paul Hudson, direttore generale di Sanofi, dichiara che il suo gruppo francese « va aider à produire plus de 100 millions de doses du vaccin Pfizer» e precisa: «Nous avons étudié les différentes options possibles avant de nous rapprocher de Pfizer/BioNTech avec qui nous avons signé un accord ». Molto bene. Questa è una strada concreta per risolvere un problema concreto. Bisogna ottenere i migliori risultati possibili nel tempo più breve possibile. Dobbiamo utilizzare al massimo i risultati della ricerca senza scoraggiare la ricerca stessa. Cogliere i frutti senza segare l’albero. Per trovare una soluzione ai nostri problemi è molto meglio andare verso la « cassetta degli attrezzi » del pragmatismo che verso quella della demagogia e dell’ideologia. Mi vengono in mente le parole di Deng Xiaoping, che ai cultori dell’ideologia rispondeva : « L’importante non è che i gatti siano bianchi o neri. L’importante è che acchiappino i topi ! ».

************

13 febbraio 2021 al Quirinale, Roma (Handout / Quirinale Press Office/AFP )

Invece di acchiappare il topo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha acchiappato il solo italiano capace di godere di un prestigio e di un consenso praticamente unanimi. Si chiama Mario Draghi, è nato a Roma nel 1947 ed è conosciuto per le parole tutto il necessario, pronunciate in lingua inglese : whatever it takes. Il testo originale, che vi consiglio di guardare o riguardare qua sotto è : « La Banca centrale europea è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro ; e credetemi : sarà abbastanza ». Era il luglio 2012, nel momento in cui i contraccolpi della crisi greca aprivano pericolosi spazi speculativi anche a danno di altri Paesi mediterranei, e il significato reale del messaggio lanciato dall’allora presidente della BCE, appunto Draghi, non avrebbe potuto essere più chiaro. Potremmo esprimerlo così : chi specula contro l’euro si scotterà le dita perché salvare la moneta unica è la nostra priorità ; metteremo in campo talmente tante risorse da far pentire chi cercherà di fare il furbo !

La scelta di Draghi quale presidente della BCE è stata, dieci anni fa, il risultato di un dialogo non sempre facile tra Italia, Germania e Francia. L’Europa e il Mediterraneo di allora erano scossi dalle « primavere arabe », con le rivolte in Tunisia e poi in Libia, e dall’intervento internazionale contro Gheddafi, fortissimamente voluto dal presidente Sarkozy. Incontrandosi il 26 aprile a Roma, a Villa Madama, Berlusconi e Sarkozy trovarono l’accordo sul sostegno a Draghi e al tempo stesso sulla partecipazione italiana ai bombardamenti contro la Libia. Al tempo stesso la relazione franco-italiana era condizionata dalla polemica sull’immigrazione e la relazione tra i due ministri degli Interni, Claude Guéant e Roberto Maroni, non era per niente facile. È in quel momento delicato dell’integrazione europea che la moneta unica è stata messa nelle mani di Mario Draghi, mostratosi all’altezza delle aspettative e delle speranze. Il ricordo di quei giorni è sempre vivo. [Vedasi il video: 5 minutes avec… Alberto Toscano invité de Pascale Clark dans le 7/9 de France Inter du 26 avril 2011].

************

Adesso un’altra sfida attende Super Mario: unire gli italiani nel momento in cui sarebbe catastrofico sprecare le risorse in arrivo, grazie all’Europa, per rilanciare un Paese colpito e frastornato dal Covid. Questo compito è eminentemente politico ed è dunque inutile disquisire sulla natura più o meno « tecnica » della compagine ministeriale del nuovo presidente del Consiglio (in Italia si chiama così ed è inesatto dire « primo ministro »).

Draghi prende le redini del governo perché nel Parlamento non c’era più una maggioranza. Questo capitolo della storia italiana comincia con le elezioni del marzo 2018, che non hanno visto il prevalere di alcuna coalizione omogenea e che hanno premiato, con la maggioranza relativa dei seggi parlamentari, una formazione politica – il Movimento 5 Stelle – in aperta e durissima polemica con tutti gli altri. Quel Parlamento, apparentemente ingovernabile, ha espresso tre maggioranze tra loro diversissime. Prima quella del governo Conte I (M5S e Lega). Poi quella del Conte II (M5S, Partito democratico, Liberi e Uguali, Italia Viva). Adesso, il 17-18 febbraio, il governo Draghi (sostenuto da tutti i partiti con l’eccezione di Fratelli d’Italia) ha ottenuto la fiducia parlamentare e ha cominciato il proprio cammino. Occorreva mantenere e accrescere il capitale di fiducia di cui l’Italia – Paese molto indebitato già prima di questa crisi – gode sia in Europa sia sui mercati finanziari internazionali. Occorreva creare le condizioni per l’utilizzo migliore possibile di investimenti concessi e comunque garantiti dall’Europa. Il sostegno parlamentare è talmente ampio da permettere a Mario Draghi di presentarsi come l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto. Gli italiani gli hanno consegnato le chiavi di casa : se finirà male, potranno prendersela solo con se stessi.

Sono in tanti a dire che l’Italia è arrivata a questo punto a causa della crisi dei partiti politici. Certo i partiti sono in difficoltà, ma sarebbe sbagliato considerarli in stato comatoso. La democrazia italiana resta basata sui partiti oggi presenti in Parlamento. Il primo a saperlo è Mario Draghi, che – nel formare il suo governo – ha mostrato rispetto nei loro confronti, assegnando dicasteri di rilievo a coloro che ne sono espressione e riservando al tempo stesso alle persone a lui più vicine le responsabilità connesse con la gestione dei futuri fondi europei. Quella è la sua missione numero uno, su quel terreno verrà giudicato e lì vuole avere le mani libere. È lì che Mario Draghi si presenta all’Italia e all’Europa col suo biglietto da visita del nuovo whatever it takes : farà tutto il necessario per utilizzare al meglio le risorse a disposizione e per trasformare il debito in sviluppo piuttosto che in macigno sulle spalle delle future generazioni.

Nei suoi discorsi al Senato e poi alla Camera, il presidente Draghi ha chiesto ai connazionali unità attorno a un forte impegno europeista (con la chiarissima affermazione sull’irreversibilità della moneta unica). La sua frase chiave è stata : « Oggi l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere ». Mario Draghi ha parlato di tante riforme, ma sappiamo che il suo governo non ha né il tempo né la possibilità politica di realizzarne la maggior parte. Forze tanto diverse tra loro possono sostenere un governo che gestisca l’emergenza, ma non possono avere a lungo termine una strategia comune sugli stessi argomenti che ispirano le loro divisioni di fondo. Uno di questi argomenti è l’immigrazione, che forse tornerà ben presto sulle prime pagine dei giornali. La ministra degli Interni Luciana Lamorgese, già nel governo Conte II, dovrà mostrarsi abile nelle scelte quotidiane rispetto ai probabili sbarchi di migranti in arrivo da quegli stessi Paesi in cui dieci anni fa esplosero sia le rivolte sia le speranze democratiche. Ma mi pare poco immaginabile che Draghi possa riunire stabilmente, attorno a una comune strategia, gli amici italiani di Marine Le Pen, di Emmanuel Macron e di Jean-Luc Mélenchon.

Mario Draghi ha promesso riforme, ma la realtà è un’altra : potrà mantenere la « luna di miele » col Parlamento se si occuperà dell’emergenza ben più che delle grandi riforme. Del resto – con le emergenze sanitaria, sociale ed economica – il lavoro non manca certo al nuovo governo italiano. Uscire bene dall’emergenza significherebbe riaprire nel migliore dei modi quella normale dialettica democratica che metterà poi nelle mani del popolo le scelte sull’avvenire del Paese.

************

L’ipotesi più accreditata in giro per l’Italia è che il mandato di Mario Draghi duri fino all’inizio del 2022 quando l’attuale Parlamento sarà chiamato a eleggere (con i rappresentanti delle regioni) il nuovo presidente della Repubblica. A quel punto Draghi verrebbe eletto presidente della Repubblica e – visto che senza di lui i partiti si rimetterebbero probabilmente a scannarsi tra loro – la legislatura terminerebbe nel primo semestre 2022 invece che alla naturale scadenza di inizio 2023. Il percorso salvifico-riformatore del governo Draghi durerebbe quindi meno di un anno. Poco davvero per vincere le attuali sfide. Ci sono però anche ipotesi più ardite. Eccone un esempio: tra un anno Mattarella verrebbe rieletto al Quirinale per poi dimettersi nel 2023, quando il Parlamento uscente concluderebbe il proprio mandato eleggendo Draghi alla presidenza della Repubblica. Draghi sarebbe dunque presidente della Repubblica dal 2023 al 2030, quando potrebbe godersi qualche anno di pensione prima della sua beatificazione. Già si discute di quale giorno del calendario potrebbe essere consacrato alla venerazione del futuro San Mario Draghi. Questa discussione mi pare totalmente assurda : è chiaro che sarà il 26 luglio, giorno del discorso, fatto a Londra, in cui venne pronunciato nel 2012 l’indimenticabile whatever it takes. Siamo un popolo di santi e di sognatori.

************

Concludo con un altro argomento, che riguarda anch’esso l’Europa e il bisogno di costruire tutti insieme (decidendo davvero tutti insieme) nuove convergenze nei campi della politica estera, della difesa e della sicurezza. Questo obiettivo può essere raggiunto solo in modo trasparente, coinvolgendo le opinioni pubbliche.

Il 17 febbraio Le Figaro ha pubblicato a pagina 6 un articolo intitolato Macron maintient la pression militaire française au Sahel, con la precisazione : Un temps évoqué, l’allègement du dispositif « Barkhane », qui compte 5100 soldats, n’est plus à l’ordre du jour. Subito sotto questo articolo c’è quello dedicato alla task force « Takuba », composta e sostenuta da una parte dei Paesi europei, presente dal 2020 in questa parte dell’Africa nord-occidentale. Titolo : Les Européens de Takuba appelés en renfort de « Barkhane ». Vi si legge che la Francia, impegnata dal 2013 in una campagna nel Sahel e soprattutto in Mali contro le forze del terrorismo islamista, mise plus que jamais sur cette task force européenne qu’elle a lancée l’année dernière pour permettre à l’opération « Barkhane » d’évoluer.

Il 16 febbraio, il presidente Emmanuel Macron ha detto a questo riguardo : Notre objectif c’est d’arriver à 2000 hommes sur Takuba, avec un pilier français autour de 500 hommes. Il quotidiano parigino precisa: Placée sous le commandement de « Barkhane » et composée de forces speciales, Takuba a pour objectif d’encadrer et d’accompagner au combat les armées maliennes. L’articolo ricorda che nove Paesi oltre alla Francia partecipano a « Takuba », aggiungendo che i primi ad arrivare sono stati gli estoni con una quarantina di soldati. Poi dovrebbero arrivare alcune decine di militari dalla Repubblica ceca e dalla Svezia. Poi queste parole : D’autres contributions sont néanmoins annoncées. L’Italie pourrait envoyer 200 soldats pour assurer des missions d’évacuation sanitaire. Cette capacité est essentielle pour sécuriser les troupes combattantes. Forse l’opinione pubblica italiana dovrebbe essere meglio informata a questo riguardo.

Alberto Toscano

Link interno ai precedenti “appunti” di Alberto Toscano:
https://altritaliani.net/category/editoriali/appunto-di-alberto-toscano/
e benvenuti i vostri commenti in fondo alla pagina.

Article précédentManfredonia. Città migrante, storia e cultura d’Italia.
Article suivant1921. Cento anni dalla scissione della sinistra a Livorno. Il racconto di Antonio Scurati.
Alberto Toscano
Alberto Toscano est docteur en Sciences politiques à l’Université de Milan, journaliste depuis 1975 et correspondant de la presse italienne à Paris depuis 1986. Ex-président de la Presse étrangère, il est l’un des journalistes étrangers les plus présents sur les chaînes radio-télé françaises. A partir de 1999, il anime à Paris le Club de la presse européenne. Parmi ses livres, ‘Sacrés Italiens’ (Armand Colin, 2014), ‘Gino Bartali, un vélo contre la barbarie nazie', 2018), 'Ti amo Francia : De Léonard de Vinci à Pierre Cardin, ces Italiens qui ont fait la France' (Paris, Armand Colin, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini-Castoldi, Milan, 2020), Mussolini, "Un homme à nous" : La France et la marche sur Rome, Paris (Armand Colin, 2022), Camarade Balabanoff. Vie et luttes de la grand-mère du socialisme (Armand Colin, 2024)

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.