Dunque siamo alla vigilia di elezioni importantissime, in calendario per il 25 settembre di un anno triste e caotico. In tempi di pandemia, chiedevamo un po’ di pace e abbiamo avuto una guerra con annessi e connessi, a cominciare dalla crisi economica, da quella energetica e dall’inflazione. Siamo alla vigilia del voto e siamo all’antivigilia del giorno in cui qualche politico italiano comincerà a sollecitare nuove elezioni anticipate.
Ci nutriamo di contraddizioni. Gli italiani amano (per fortuna !) l’idea di andare a votare, ma al momento di recarsi ai seggi, sono sempre più numerosi a scegliere di starsene a casa, il che non impedisce loro di chiedere di tornare alle urne. In fin dei conti anche le contraddizioni fanno parte della democrazia.
L’importante sono le regole, senza le quali democrazia è una parola al vento. Sulle regole non si può transigere. A cominciare da quella alla base di tutto : la bellissima Costituzione italiana, scaturita dalla Liberazione del 1945 ed entrata in vigore il Primo gennaio 1948. Può avere qualche acciacco (come tutte le cose viventi nate nel 1948), ma sarebbe assurdo immaginare di stravolgerla. Sarebbe come aprire il vaso di Pandora, da cui potrebbe derivare una reazione a catena dalle conseguenze imprevedibili. Parola di Pandora.
Talvolta ci illudiamo che la combinazione tra una cosa e il suo contrario crei equilibrio. Poi capita che questa alchimia produca soprattutto confusione.
Prendiamo la legge elettorale. In base a quella del 2017, attualmente in vigore, circa due terzi dei parlamentari saranno eletti col sistema proporzionale e circa un terzo con quello maggioritario. Il proporzionale dovrebbe consentire alla politica una fedele rappresentazione della società, mentre il maggioritario dovrebbe rendere meno fedele quella stessa rappresentazione in modo da favorire la governabilità del Paese. Le due parti della legge elettorale sono dunque figlie di logiche contraddittorie tra loro. Il rischio è quello di non ottenere nessuno di quei due obiettivi, che sono appunto la rappresentatività e la governabilità. Tanto più che il sistema maggioritario, scelto per la designazione di un terzo dei parlamentari italiani, è il peggiore che si possa immaginare : il maggioritario a un solo turno.
Nel caso dell’elezione dei sindaci, l’Italia ha fatto una più che incoraggiante esperienza di maggioritario a due turni, che consente a chi è eletto di raccogliere la fiducia di almeno la metà dei votanti, rafforzando così il legame tra rappresentati e rappresentanti. In quel caso (appunto l’elezione dei sindaci col maggioritario a due turni), i votanti devono schierarsi al ballottaggio per l’uno o l’altro dei candidati in competizione. Devono dunque riunirsi attorno a uno dei due competitori rimasti in lizza. Devono dargli la loro fiducia. Diversamente da ciò, nel maggioritario a un solo turno, il deputato o il senatore possono essere eletti con meno (anche molto meno) della metà dei votanti, col risultato di scontentare un maggior numero di elettori, che non si sentiranno rappresentati. Il maggioritario a un solo turno è senza dubbio meno democratico di quello a due turni. Una parte dei futuri « onorevoli » italiani eletti col maggioritario a un solo turno non avrebbero probabilmente quel loro mandato se fossero costretti a passare per un secondo turno di ballottaggio.
Le contraddizioni possono dare un risultato costruttivo se, tra tesi e antitesi, si è poi capaci di distillare una sintesi valida ed efficace. Altrimenti, al posto della sintesi si rischia di fare un pasticcio, come dimostra il fatto che la diciottesima legislatura dell’Italia repubblicana (quella che sta finendo) ha espresso tre governi e altrettante maggioranze politicamente molto diverse tra loro. Uno dei due presidenti del Consiglio della legislatura (Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle) ha guidato prima una maggioranza con la Lega (che al Parlamento europeo è nello stesso gruppo del Rassemblement national di Marine Le Pen) e poi una col centrosinistra. Dalle urne del marzo 2018, data d’inizio della diciottesima legislatura, è emerso di tutto fuorché chiarezza e governabilità. Solo quando il Paese si è trovato sull’orlo del precipizio (senza più un timoniere nel momento in cui erano in gioco i fondi europei per la ripresa economica post-Covid) è nato il governo di Mario Draghi, basato su una quasi-unità nazionale e rivelatosi molto utile all’Italia e all’Europa nel momento più delicato. Restano tantissimi dubbi sul sistema elettorale e in particolare sul maggioritario a un solo turno. Non è un bell’auspicio.
Nelle mie orecchie fischia la vostra obiezione. Vi sento dire : « Tu sei favorevole al doppio turno, ma in Francia, dove questo sistema è in vigore, non esiste oggi alcuna maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale ! Dunque il doppio turno non garantisce governabilità !». E’ vero, ma quel sistema è comunque migliore di quello italiano attuale. All’Assemblea nazionale francese, i deputati favorevoli al governo sono poco al di sotto della maggioranza assoluta dei seggi. Non c’è una vera e propria coalizione perché a Parigi i governi non hanno bisogno della fiducia parlamentare per avere la pienezza dei propri poteri. Il mandato presidenziale, nel loro caso, basta e avanza. Se, per entrare in funzione, avessero bisogno della fiducia dell’Assemblea nazionale, è probabile che nascerebbe anche in Francia una vera coalizione di governo, come esiste per esempio in Germania.
Comunque queste considerazioni non tolgono nulla all’affermazione (che per me è una convinzione) secondo cui il sistema elettorale maggioritario a due turni è quello che garantisce un miglior rapporto tra vantaggi e svantaggi, combinando nel modo migliore possibile le due esigenze della rappresentatività e della governabilità.
La legge elettorale perfetta non esiste perché in tutti i casi sorgono problemi. Se quella legge esistesse, ognuno la applicherebbe, mentre in realtà ogni Paese democratico ha una legge elettorale diversa da quelle altrui.
Certe cose, però, sono chiare. Per esempio questa : cambiare leggi elettorali troppo spesso è un grave errore. Una democrazia è fatta anche di abitudini. Le persone che si recano alle urne devono sentirsi a loro agio nel fare la propria scelta. Il sistema per le comunali è diverso da quello per le europee, che è diverso da quello per le regionali e le provinciali. Senza parlare delle elezioni per il Parlamento nazionale, il cui sistema non smette di cambiare da una trentina d’anni a causa delle furbizie dei governi, delle incertezze dei Parlamenti e anche degli interventi (certo giustificati) della Corte costituzionale. Insomma, un pasticcio. Più si complicano le cose e più – invece di favorire la democrazia – si contribuisce a scavare il fossato, già fin troppo profondo, tra cittadini e istituzioni.
E adesso che fare? Fare in modo che l’Italia si abitui all’attuale legge elettorale (al prezzo di perpetuarne i limiti e i pericoli) o scommettere su una nuova legge elettorale (al prezzo di attuare l’ennesimo cambiamento) ? Ognuno ha la propria opinione. Come avete ben capito, la mia è favorevole al cambiamento della legge elettorale, sperando sia l’ultimo per molto, molto tempo.
Né in Italia né in Francia le leggi elettorali fanno parte della Costituzione, circostanza che ne facilita le modifiche. In Francia, il presidente François Mitterrand cambiò legge elettorale in vista delle elezioni del marzo 1986, col trasparente intento di far entrare in Parlamento l’estrema destra di Jean-Marie Le Pen per indebolire così i suoi veri avversari della destra neogollista di Jacques Chirac (che sarebbe poi stato il suo sfidante alle presidenziali del 1988). Poi il Paese è tornato al maggioritario a due turni e, malgrado alcune proposte di modifica, non si è mai più scostato da quella scelta. E’ stata una buona cosa, anche se non è bastata a impedire lo scollamento progressivo tra cittadini e istituzioni. La chiarezza delle leggi elettorali e l’abitudine dei cittadini a utilizzarle sono una condizione necessaria, ma non sufficiente, allo sviluppo delle dinamiche democratiche.
È probabile che il prossimo Parlamento italiano abbia vita lunga e questo dovrebbe spingere ogni cittadino a esercitare il proprio diritto-dovere di elettore. La scelta di domenica 25 settembre ci resterà per anni attaccata alla pelle. Non sottovalutiamola !
Non so se dalle urne uscirà o no una maggioranza politica chiara, ma penso che, anche nel primo caso, in quella maggioranza esploderanno polemiche interne sempre più gravi. Comunque la nave della diciannovesima legislatura resterà a galla. La nave va, diceva Fellini. Resta da capire dove vada, ma questo è un altro discorso e qui nessuno è profeta.
Due motivi, uno nobile e l’altro meno, impediranno alla prossima legislatura di affondare in breve periodo. Il primo è il fatto che, con i problemi finanziari in atto, con la luce elettrica cara come il caviale, col rumore dei cannoni che ci sveglia ogni mattina, noi italiani potremo difficilmente permetterci un nuovo scioglimento anticipato delle Camere. Anche chi, all’annuncio dei risultati, chiederà nuove elezioni anticipate avrà paura di perdere il proprio sudatissimo seggio a Montecitorio o Palazzo Madama. E questo è appunto l’altro motivo : i nostri parlamentari (il cui numero si è per di più sensibilmente ridotto a seguito della recente riforma costituzionale) non hanno alcuna voglia di ritrovarsi candidati dopo aver passato qualche giorno da onorevoli. Vincere la lotteria è una bella cosa. Vincerla due volte nel giro di pochi mesi (o di pochissimi anni) avrebbe l’aria di un miracolo. Meglio provarle tutte pur di restare al proprio posto.
Nel 2013 mi trovavo a commentare a caldo i risultati elettorali con un amico, che prevedeva « senz’ombra di dubbio » la convocazione di elezioni anticipate nel giro di un anno o giù di lì. La legislatura è invece finita nel 2018. Cinque anni. Nel marzo 2018 mi trovavo a cena con amici a commentare i risultati delle elezioni italiane e non mancavano frasi del tipo : « Il Parlamento sarà senza dubbio sciolto nel giro di qualche mese ». Invece è nata la maggioranza composta da due partiti lontanissimi tra loro, come la Lega e il Movimento 5 Stelle. Il Parlamento è stato sciolto, ma dopo quattro anni e mezzo. Chi sminuisce l’importanza del voto del 25 settembre si sbaglia profondamente. Comunque vada a finire, quel voto peserà sul futuro di tutti noi e di coloro che verranno dopo di noi.
Quanto a noi Fritaliens (italiani di Francia e francesi d’Italia), tra le conseguenze ci saranno ovviamente le relazioni Roma-Parigi, rese estremamente sensibili da problemi immediati, come l’energia e l’immigrazione. Soprattutto il riacutizzarsi delle polemiche sull’immigrazione può creare nuove tensioni tra i due governi. Il celeberrimo trattato franco-tedesco del 1963 (Trattato dell’Eliseo) ha resistito a tutte le tempeste politiche nei Paesi interessati e si è rafforzato col tempo senza pagare il prezzo delle tensioni verificatesi talvolta tra i due governi. Il Trattato del Quirinale, firmato da Italia e Francia alla fine dello scorso anno, sarà forse messo alla prova dagli imminenti sviluppi politici. Mi vengono in mente le frasi pronunciate dalla senatrice Isabella Rauti (Fratelli d’Italia, unico grande partito rimasto sempre all’opposizione nella legislatura uscente), intervenuta lo scorso luglio in occasione della ratifica parlamentare del nuovo trattato italo-francese. La parlamentare ha detto : « Fratelli d’Italia ritiene che il trattato franco-italiano determini una subordinazione della nostra nazione nei confronti della Francia ». E ancora : « La cooperazione rafforzata con la Francia coincide con una serie di rivendicazioni strumentali sui confini, prive di basi storicamente e giuridicamente legittime. Un esempio plateale : l’annosa ed irrisolta questione del Monte Bianco, sulla quale la Francia dichiara, come se niente fosse, che avrebbero perduto la copia delle carte geografiche allegate al Trattato di Torino del 1860, che definiva in modo inequivocabile quale fosse la linea di confine. E’ bene ricordarle queste cose ! ».
Su un punto la senatrice Rauti ha ragione : è bene ricordarle queste cose. E’ bene ricordare il male che ci hanno fatto in passato le polemiche sui confini e sulle rivendicazioni territoriali. Polemiche fortunatamente addormentatesi con la nascita e lo sviluppo del processo d’integrazione europea. Oggi è di coesione europea che abbiamo bisogno. Ci serve l’unità dell’Europa democratica, nata col Trattato di Roma del 25 marzo 1957. Non ci serve certo togliere dalla naftalina polemiche senza capo né coda, a base di arsenico e vecchi merletti.
È possibile (forse probabile) che dalla fine di questo settembre i giornali e i politici di mezzo mondo (all’altro mezzo tutto questo importa poco) lancino e rilancino polemiche sul rischio di « evoluzioni fasciste » in Italia. Permettetemi di evidenziarle con uno « stabilo » giallo un paio di considerazioni.
Nell’Italia di oggi non c’è un pericolo fascista di tipo classico, con olio di ricino, carcere e confino per gli oppositori. Nel futuro Parlamento, malgrado la presenza di qualche « nostalgico » dichiarato, la maggioranza dei deputati e dei senatori italiani non si proclamerà « fascista ». Il vero problema è che, per la prima volta nell’Italia repubblicana, rischiamo di avere un Parlamento in cui la maggioranza dei membri non si dichiarerà neppure « antifascista ». La nostra Costituzione è implicitamente ed esplicitamente antifascista. L’antifascismo è alla base dello sviluppo dell’Italia repubblicana. Considerarlo come un ferrovecchio sarebbe una scelta contraria alla Costituzione stessa. Mandarlo in soffitta sarebbe un passo grave e comunque pericoloso, anche perché significherebbe un annacquamento della sensibilità democratica degli italiani.
L’altra, e ultima, considerazione che in questo momento mi sta a cuore riguarda le nostre istituzioni democratiche. Queste istituzioni sono forti e deboli al tempo stesso.
Sono forti, nel senso che sarebbe impensabile il ripetersi di scenari come quello che portò al potere, esattamente un secolo fa, un uomo di 39 anni, incaricato di formare il governo da un capo dello Stato (allora era un re) che non merita la citazione. La democrazia italiana di oggi è fortunatamente un’altra cosa : è forte e faremmo tutti quanti bene a rispettarla di più.
l punto debole riguarda l’insieme delle democrazie, in cui non smette d’aumentare la distanza tra cittadini e istituzioni.
Per ora sul tavolo ci sono i problemi da affrontare nei prossimi mesi di un periodo davvero difficile.
Alberto Toscano
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