Tra gli effetti meno importanti del MC (Maledetto Covid) c’è la sospensione della vecchia liturgia francese delle cerimonie augurali d’inizio anno. Ministri e notabili d’ogni rango amavano quest’abitudine della gastronomia repubblicana, a base di champagne e galette des Rois (dolce dal sapore siciliano, visto che le mandorle della sua tradizionale crema frangipane venivano, e in buon parte ancora vengono, dall’isola di Camilleri e Montalbano). Gli auguri di gennaio all’Eliseo hanno sempre rispettato un ordine preciso, che includeva, tra i tanti altri, l’incontro tra il presidente della Repubblica e il microcosmo giornalistico. L’8 gennaio 1996 chiacchieravo con i colleghi, in attesa dei primi auguri presidenziali di Jacques Chirac, che era stato eletto nel maggio 1995, quando tutti hanno cominciato a stupirsi per il ritardo della cerimonia. Correvano voci strane. Finalmente arrivato, il presidente ha cominciato il suo discorso dando l’annuncio della morte del predecessore François Mitterrand.
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Jacques Chirac sembrava sinceramente commosso dalla scomparsa del vecchio rivale. Tra loro c’erano stati scontri epici. Come nel 1984-1985, quando Chirac fece (inutilmente) di tutto per ostacolare il progetto mitterrandiano di nuova tv privata (La Cinq), parzialmente controllata da un tale Silvio Berlusconi, allora in ottimi rapporti con l’Eliseo socialista. Lo scontro Mitterrand-Chirac è culminato nel biennio incandescente della coabitazione 1986-1988, quando Chirac era il primo ministro di Mitterrand e ambedue pensavano soprattutto alla sfida che li avrebbe contrapposti alle presidenziali della primavera 1988. Il dibattito televisivo Mitterrand-Chirac tra i due turni di quelle presidenziali è stato uno dei momenti più tesi nella storia della Cinquième République. L’emozione di Chirac nel dare, quell’8 gennaio 1996, l’annuncio della morte del «caro nemico» sembrava però cancellare ogni brutto ricordo, dando il senso di una cosa importantissima : in democrazia ci si può affrontare, scannare e persino insultare, ma alla fine sono le istituzioni a contare. I brutti ricordi devono lasciare posto al rispetto per l’interesse comune.
Questi pensierini da «Libro Cuore» hanno attraversato la mia mente mentre ascoltavo l’annuncio di Chirac con tanto di lodi al suo predecessore, un tempo così detestato. Senza cadere in immagini naïves e melodrammatiche, una cosa è certa e una lezione del passato è chiara: la forza di una democrazia si vede anche (forse soprattutto) dal modo in cui avvengono le transizioni al potere. Se è ovvio che una democrazia non funziona senza alternanza, è fondamentale che le alternanze avvengano sulla base della decisione del popolo e nel rispetto delle istituzioni. Una democrazia funziona sulla base di valori condivisi ed è solo a partire da quei valori che può essere riformata, rilanciata, rigenerata. Se le istituzioni vacillano ad ogni alternanza e se i «valori fondanti» non sono più condivisi, allora è l’insieme dell’impalcatura democratica – l’insieme del «condominio» in cui tutti abitiamo – a mostrare la propria fragilità.
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Tra le eredità di Mitterrand, c’è l’euro, da lui voluto malgrado le perplessità della recalcitrante Germania. Questo primo gennaio abbiamo vissuto (alcuni, come me, con gioia e altri con rassegnata e nostalgica tristezza) un anniversario importante: i vent’anni dal momento in cui le nuove banconote sono entrate nelle nostre tasche e nei nostri bancomat. Il giorno di Capodanno 2002 mia madre, 88 anni, era con me a Parigi. Aveva visto per intero due guerre mondiali e quel giorno era curiosa di vedere il volto della nuova valuta europea. Sono uscito di buon mattino per andare al bancomat come se stessi passeggiando nell’avvenire.
In questi primissimi giorni del 2022 l’anniversario dell’ «euro di carta» è stato celebrato da tutti i media comunitari, ma in Francia l’inesauribile tentazione della nostalgia è riemersa, una volta di più, con qualche coro che ha intonato inni al vecchio «franco». Il 29 dicembre 2021, Le Figaro ha posto ai suoi lettori la domanda : «Vingt ans après, l’adoption de l’euro a-t-elle été bénéfique aux Français ?». Hanno risposto in 110.226 e il risultato è stato pubblicato sulla prima pagina del Figaro del 30 dicembre : 39 per cento sì e 61 per cento no.
Non tutti i Paesi hanno beneficiato nella stessa misura della moneta unica, ma sono convinto che tutti – assolutamente tutti – abbiano tratto vantaggi da quella svolta, veramente storica. Del resto oggi sono in pochissimi a chiedere il ritorno alle valute nazionali. Cinque anni fa, alle elezioni presidenziali che nel 2017 la videro arrivare al secondo turno, Marine Le Pen lasciò planare ipotesi di uscita francese dall’euro. Oggi la leader del Rassemblement national continua a criticare l’Europa, ma è diventata molto più prudente sulla possibilità di un’uscita francese dall’euro. In Italia, le recenti esperienze di governo (prima nel Conte I e poi nell’attuale «stagione Draghi») hanno spinto a più miti consigli quegli stessi esponenti della Lega che mostravano simpatie per il ritorno alla vecchia lira. Il successo dell’euro passa anche per il fatto che tutti (più o meno tutti) vogliono modificare qualcosa nel suo meccanismo, ma nessuno (più o meno nessuno) vuole veramente seppellirlo. Soprattutto in tempi difficili, le pulsioni nostalgiche esistono ovunque, ma c’è un limite anche alla nostalgia.
La nostalgia è uno strano sentimento, che fa male in primo luogo a coloro che lo provano. Studiare il passato è importantissimo, ma non si può costruire il futuro solo con quello. Altrimenti si finisce col rinchiudersi, a lume di candela, in un ripostiglio di vecchi ricordi. C’è chi sogna una cantina di cianfrusaglie vintage, in cui si ascoltano discorsi considerati «gloriosi» e in cui anche parole nobili – comprese «Patria» e «Nazione» – vengono svilite da un loro uso strumentale. C’è chi sembra volersi consolare col sogno di chissà quale rivincita su un mondo che continua a cambiare. C’è chi, nel ripostiglio dei ricordi di famiglia, si infila goffamente addosso le divise militari portate (probabilmente controvoglia) dai nonni o dai bisnonni in Algeria, in Etiopia o in Indocina.
Nell’immaginario collettivo di alcuni nostalgici esiste oggi un Paese mitico, fatto di arsenico e vecchi merletti. Quel Paese non ha un seggio all’ONU, ma ha già un nome ben preciso. Si chiama Zemmouristan e il suo presidente si è rivolto ai connazionali con un discorso di San Silvestro 2021 che vale (ahimé !) la pena di ascoltare per comprendere il mondo in cui viviamo. Guardare quel filmato non significa ovviamente aderire a quel programma (che del resto non è affatto un programma, ma uno sfogo di ambizioni e frustrazioni). Se vale la pena di osservare gli auguri di buon 2022, fatti dal leader dello Zemmuristan al popolo dei suoi fedeli, è per constatare una volta di più che la nostalgia è fatta d’aria e semina vento. Nel migliore dei casi ondeggia davanti a noi come una nebbliolina. Nel peggiore, chi semina vento raccoglie tempesta. (Qui YouTube)
Una delle cose che mi hanno colpito di questo filmato, molto istruttivo, è che il leader dello Zemmuristan parla davanti al busto di Napoleone. Andando in vacanza all’Elba, si accorgerà di quanto è vantaggioso circolare in Europa senza dover cambiare moneta.
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Circolare fino a un certo punto. Persino il nuovo Napoleone di Montreuil sarebbe oggi in difficoltà nel raggiungere l’Elba in un periodo in cui non si sale su una nave senza aver fatto tamponi, vaccini e code davanti alle farmacie. Siamo al secondo inverno in tempo di Covid e nel giro di tre settimane (il tempo trascorso dal precedente “Appunto”) il numero dei contagi è aumentato in modo impressionante. Il Covid uccide meno, ma si diffonde molto di più. Si comporta come un animale intelligente, che prima ha messo radici nel genere umano e poi ha deciso di convivere con le singole persone da lui stesso infettate. Ha capito che, se moriamo noi, finisce col morire pure lui. Dunque si accontenta di vivere nella nostra pelle, condividendo i nostri piaceri e i nostri malanni. Magari anche i nostri sentimenti e i nostri entusiasmi, le nostre passioni sportive e le nostre simpatie politiche. Un giorno potremmo avere un virus addomesticato e personalizzato, animale da compagnia con cui discutere e a cui rivelare i nostri segreti come le nostre illusioni. Per adesso c’è ancora il Maledetto Covid, che si mangia i nostri giorni sgranando l’alfabeto greco come fosse un rosario. Chissà se la variante Tau si diffonderà più rapidamente della Sigma ? Oggi siamo alla omicron, che è purtroppo ancora lontana dall’omega.
MC si è fatto gioco delle nostre certezze. Ci credevamo al sicuro e lui ci ha messi nel panico. Eravamo fieri del nostro sistema sanitario (che in Francia e in certe regioni italiane alcuni definivano umilmente «il migliore del mondo») e lui ci ha presentato il conto dei tagli e dei risparmi, messi in atto da governi sempre pronti a considerare il deficit finanziario come la vera infezione. Ci credevamo protetti dai vaccini e adesso scopriamo che – per quanto necessari e persino indispensabili – neppure i vaccini ci permettono di dormire sonni tranquilli. Certo le cose andrebbero meglio se la minoranza no-vax capisse che non farli è molto più rischioso che farli. Purtroppo i recalcitranti al vaccino vivono ormai la loro battaglia come un’assurda questione di principio. Per alcuni di loro, la posta in gioco non è la salute, ma la libertà personale. Si sentono investiti da una sorta di missione – paradossale quanto surreale – di difesa della propria libertà anche a costo di rischiare la propria salute.
Un calcolo interessante rispetto al Covid riguarda la differenza nel numero di vittime tra Italia e Francia. Come già ho notato nello scorso “Appunto”, il giorno di Capodanno del 2021 il calcolo complessivo delle vittime di MC era ufficialmente 74.621 in Italia e 64.765 in Francia. La differenza era dunque di 9.856 decessi dall’inizio della pandemia sul suolo europeo, nel febbraio 2020. Se prendiamo in conto la differenza dei morti in Italia e in Francia, l’anno 2021 si divide in due ben diversi periodi. Tra gennaio e maggio la mortalità in Italia è stata molto superiore a quella in Francia (fenomeno già chiaro negli ultimi mesi del 2020). I dati del 22 maggio parlavano di una differenza complessiva 16.562 morti in Italia più che in Francia. Come dire che tra il giorno 1 gennaio e il giorno 21 maggio 2021 ci sono state 6.706 vittime di Covid in Italia più che in Francia. Poi le cose sono cambiate e, tra la fine della primavera e la fine dell’anno, sono morte di Covid più persone in Francia che in Italia. Il calcolo complessivo reso noto il 2 gennaio (e riferito ai dati fino al giorno precedente) è di 137.513 morti in Italia e 123.851 in Francia, con una differenza di 13.662. Come dire che tra il 21 maggio 2021 e il primo gennaio 2022 ci sono stati 2.900 morti di più in Francia che in Italia. Forse il sistema ospedaliero italiano ha superato il momento critico e forse gli effetti del periodo più difficile si sono tradotti in una maggiore prudenza degli italiani rispetto ai francesi (comportamento di cui si sono visti gli effetti nella seconda parte dell’anno). Sono solo ipotesi, ma vale la pena di considerarle.
Ci sono insegnamenti da trarre da tutti questi numeri e da queste ipotesi? A me pare proprio di sì. Come prima cosa si può dire che tutte queste cifre smentiscono clamorosamente e definitivamente le tesi negazioniste secondo cui il bilancio umano della pandemia andrebbe relativizzato «perché in ogni caso muoiono persone già malate». Qui siamo in presenza di una carneficina, con persone che continuano a morire, tra cui è chiaro che ci sono anche quelle che non soffrivano affatto di gravi o gravissime patologie. Certo il Covid colpisce più crudelmente le persone già indebolite da altre cause, ma uccide anche quelle che si credevano sane. In secondo luogo è chiaro che il ritmo dei decessi è (per fortuna) calato moltissimo tra l’inizio e la fine del 2021, circostanza che va ovviamente messa in relazione con la campagna vaccinale. Purtroppo i vaccini non sono stati l’arma assoluta che tutti speravamo, ma la loro utilità è stata comunque enorme e assolutamente evidente agli occhi di qualsiasi persona in buona fede. La terza considerazione riguarda la tenuta del sistema sanitario, che ha funzionato il meglio possibile in Italia e in Francia, ma che ha appunto dovuto fare i conti con i limiti del «possibile», ossia anche con le conseguenze delle ristrutturazioni messe in atto negli anni precedenti. In taluni momenti e in talune situazioni locali il sistema sanitario è stato sull’orlo di una crisi ancor più grave, cosa che si è ripercossa in modo molto preoccupante su tutti i pazienti affetti da altre patologie e sulle loro famiglie, che spesso non hanno neppure potuto accompagnarli in ospedale. La nostra sanità va ripensata. È una priorità nazionale e non abbiamo più il diritto di dimenticarcelo. Tutto il sistema sanitario è stato messo a durissima prova ed è chiaro che (quarta considerazione) la programmazione dello sforzo delle istituzioni pubbliche in questo settore deve diventare un elemento chiave di qualsiasi riflessione dei governi e delle regioni quando la pagina della pandemia verrà finalmente voltata.
La quinta considerazione riguarda l’«effetto paura». Tutte le volte che – in questi due anni – l’opinione pubblica si è sentita rassicurata, si sono diffusi comportamenti che hanno poi facilitato la ricaduta quando il Covid si è presentato in una nuova variante. Dopo essere stata messa sotto pressione da ciascuna ondata della malattia (in Italia si parla di quattro ondate e in Francia di cinque, ma lasciamo perdere questa curiosa differenza nel modo di contare tra i due lati delle Alpi), e dopo aver smaltito la paura, la gente ha creduto di potersi lasciar andare. La paura condiziona tutti i nostri comportamenti. Questa può rivelarsi una fonte di saggezza soprattutto per coloro che normalmente di saggezza ne dimostrano ben poca. Ma la paura non può diventare l’unico criterio utilizzato dalle opinioni pubbliche per digerire scelte coraggiose o lungimiranti compiute dai governi e dai Parlamenti. Altrimenti faremo riforme solo quando ci troveremo sull’orlo del baratro. Quest’ultima considerazione va ben oltre il Covid, ma l’analisi della pandemia può essere una buona occasione per formularla e magari approfondirla.
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Le riflessioni sul Covid hanno largamente condizionato i messaggi radiotelevisivi a reti unificate, pronunciati la sera del 31 dicembre 2021, prima (alle 20) dal presidente Emmanuel Macron (QUI YouTube) e poi (alle 20,30) dal presidente Sergio Mattarella (QUI YouTube). Il primo di questi due capi di Stato sta per ricandidarsi per un secondo mandato (alle elezioni di metà aprile) mentre il secondo rifiuta con molta determinazione ogni possibile ricandidatura in occasione delle elezioni di fine gennaio. Il principale tratto comune tra i loro discorsi è l’auspicio che il 2022 sia l’anno del ritorno alla normalità dopo due anni in cui i ritmi della nostra vita sono scanditi dall’emergenza sanitaria. «Je continuerai à vous servir» è la promessa fatta da Macron ai connazionali nella notte di San Silvestro. Vedremo come.
Intanto la Francia ha assunto per sei mesi, fino al 30 giugno, la presidenza di turno dell’Unione. Il semestre precedente è stato nelle mani della Slovenia, ma è chiaro che Parigi ha un peso tutto particolare per creare convergenze su nuovi progetti europei.
A noi restano gli ultimi panettoni e le prime Galettes des Rois, con la loro deliziosa crème frangipane. Il fatto che il dolce simbolo della Francia sia fatto con mandorle italiane (o spagnole) sulla base della ricetta della famiglia italiana dei Frangipani dimostra l’esistenza dell’Europa quasi quanto la bandiera blù a stelle gialle. E, per di più, nella Galette des Rois si nasconde sempre una sorpresa : la fava, la fève, che dà diritto d’indossare una corona a chi è doppiamente contento per aver trovato la sorpresina e per non essersi spezzato un dente rischiando di masticarla.
A trovare la fève della Galette des Rois all’italiana (e a indossare dunque la corona al Quirinale) possono essere in tanti e in tante. Presto conosceremo quel nome e immagineremo le conseguenze politiche della scelta che sta per essere compiuta da un migliaio di grandi elettori (deputati, senatori e rappresentanti regionali). In Francia stanno accalcandosi in molti attorno al piatto della Galette des Rois. Ma a contare è oggi la torta dei sondaggi, le cui fette hanno dimensioni diversissime. Tutti hanno fame, ma solo due o tre sembrano poter sperare nella fève. A meno che la sorpresina si riveli una vera e propria sorpresona.
E buon 2022 a tutti !
Alberto Toscano
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