Per Missione poesia, «Il seme del giorno» di Rossella Renzi: una proposta di accoglienza e cura dei gesti e degli affetti quotidiani, che trascende in un più ampio scenario sui misteri della vita.
Rossella Renzi vive a Conselice (Ra), dove lavora come insegnante. I giorni dell’acqua è il suo primo libro in versi, uscito nel 2009 per L’arcolaio (Forlì), per la stessa Casa Editrice esce, nel marzo 2015, Il seme del giorno, con la prefazione di Gian Mario Villalta (finalista al Premio Carducci e 2^ classificato al premio internazionale Don Luigi Di Liegro). In uscita per Minerva Edizioni il suo terzo libro in versi, intitolato Dare il nome alle cose.
E’ presente nel volume I volti delle parole – 65 fotografie di poeti-, a cura del fotografo Daniele Ferroni (Fondazione Tito Balestra, 2014) e su diverse antologie, tra cui Il Canto della Terra, a cura di Maria Inversi (Samuele Editore, 2011) e Salvezza e impegno, a cura di Alessandro Ramberti (Fara Editore, 2010). Dal 2003 è redattrice di “Argo – Rivista d’esplorazione”, per cui coordina la rubrica di poesia “Pezzi di vetro” e il Blog “Poesia del nostro tempo” (http://poesia.argonline.it). E’ tra i curatori del volume L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie (Gwynplaine edizioni, Ancona 2014), di Argo, Poesia del nostro tempo – Annuario 2015 e 2016, (Gwynplaine) e di Argo- Confini (in uscita per Istos Edizioni). Per la Casa Editrice Kolibris ha curato il blog “Donne in poesia”; ha collaborato alla realizzazione del blog www.ipoetisonovivi.com, selezionando i testi per la Scuola Primaria. Numerosi sono gli interventi su riviste di critica e letteratura: Graphie, Atelier, La Mosca di Milano, Clandestino, Farepoesia, Land, Le voci della luna. Per Radio Sonora (Community Web) ha ideato e conduce il programma “Conversazioni in poesia”; ha curato la rassegna teatrale legata alle scritture “Le voci di sotto” (per Quintoveda teatro, stagione 2015-2016).
In dialogo col musicista Mirco Mungari lavora ad un progetto sulla contaminazione tra parola e suono, intitolato mousikè techne. Organizza eventi legati alla poesia e tiene laboratori di lettura e scrittura creativa.
Conosco Rossella Renzi da diversi anni, stimandola sia come autrice sia come persona. Di lei apprezzo la generosità con cui si prodiga nell’impegno per la divulgazione della poesia, l’amore che sprigionano i suoi modi gentili e onesti – in specie per la sua famiglia, ma in generale per tutte le cose del mondo -, la sua modalità sempre gentile e cordiale di confronto con gli altri, il sorriso con cui ti accoglie all’incontro e che si ritrova espressamente nei suoi versi, anche quando affrontano tematiche dolorose. Recentemente le ho proposto di inaugurare, con una sua raccolta, una nuova collana di poesia, che curerò per la Casa Editrice Minerva di Bologna insieme a Giancarlo Pontiggia, con un suo lavoro che ho già avuto modo di leggere e apprezzare, a conferma che lo stile e l’eleganza, in abbinamento a una visione che sa proporsi per la valenza dei contenuti, una volta conquistati, fanno la cifra che distingue l’autore. In questo articolo parleremo de Il seme del giorno l’ultimo libro edito dalla Renzi, affrontandone le ricche tematiche e i riflessi nei maestri a cui si ispira.
IL SEME DEL GIORNO
Un libro come un annuncio, un’annunciazione, – intesa quasi in senso biblico – questo di Rossella Renzi che ci predispone all’ascolto di un qualcosa di importante, di evocativo, di sacro che si appresta a toccare le corde del nostro inconscio, a promuovere, entrando a farne parte, la nostra tradizione culturale e letteraria. Andiamo con ordine. Già dal titolo il lavoro, Il seme del giorno, ci riporta a precedenti illustri, a percorsi tracciati da grandi maestri – con i quali l’autrice non ha certo remore a confrontarsi, confermandone lei stessa la proficua e assidua frequestazione -, ci rimanda alle tematiche dell’accoglienza e dell’accudimento, ma anche a quelle dell’amore e della paura di non essere abbastanza capaci di donarlo, ci fa riflettere sulla nostra appartenenza a una natura a cui spesso assomigliamo per fragilità (ma anche per forza), ci ricorda la dimensione della precarietà del nostro passaggio su questa Terra.
Così, ad esempio, se Giorgo Caproni amplia nella raccolta Il seme del piangere – in specie ne I versi livornesi – il significato dell’omonimo verso dantesco (46, XXXI Purgatorio, Divina Commedia) – laddove Beatrice riprende Dante che confessa, piangendo, la propria incapacità di aver inteso l’amore che avrebbe dovuto dimostrarle anche dopo la sua morte – proponendo il tema del lutto attraverso la forma della leggerezza, con un Canzoniere amoroso dedicato a una madre giovane che diventa fidanzata, col disincanto verso il proprio dolore e la sublimazione del senso di colpa verso la persona defunta, facendola rivivere nel quotidiano proprio della sua giovinezza, ecco che Rossella Renzi partendo da un exergo ripreso da Il seme del piangere di Caproni – Prendeva d’aperto e di vita,/il lino, tra la sue dita – ci propone un testo, tra i più significativi della raccolta e diviso in tre partiture, dove la morte di una persona cara (Per Gianna, in memoria) non ne riduce né rimuove la presenza, amplificandone il suo restare attraverso gli oggetti – che diventano portatori di sentimenti – come i lini ricamati, le matrioske e i piatti di ceramica, le bambole, il giardino – in quanto, se pure è difficile colloquiare con chi non c’è più, la figura di cui si parla è viva nel sole dietro la tenda, porta un dolore e un dovere di donna fierissima e lieve, come il seme che ancora viene conservato, e nel vaso rinasce come una pianta.
Proprio quest’immagine concettuale della pianta come simbolo di vita, che rimanda al seme contenuto nel titolo del libro, è certo il live motive di tutta la raccolta che, a mio avviso, ricorda e si accorda – sempre nell’ottica della suggestione dei grandi maestri – col memorabile testo dedicato all’Annunciazione di Rilke nel quale, attraverso le parole dell’angelo, l’autore ci presenta la figura di Maria, prossima a diventare madre, e proposta proprio simbolicamente attraverso l’immagine della pianta: Tu non sei più vicina a Dio di noi;/ siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende/benedette le mani./ Nascono chiare a te dal manto,/ luminoso contorno:/Io sono la rugiada, il giorno,/ ma tu, tu sei la pianta. E’ la pianta, dunque, per Rilke come per la Renzi l’elemento fondamentale, da cui non si può prescindere, di cui non si può fare a meno: l’albero è un dono lento; gli alberi in fila sono uomini in cammino; il canto degli alberi al mattino/racconta piano di una pace assente; al Gelso antico di San Giovanni la poetessa si rivolge per dire piano la sua preghiera; è il sacro che abbraccia gli alberi/ nati per disciplina/nati per il dovere della sete. E l’albero, la pianta, è la madre.
Rossella Renzi è madre, madre e pianta, pianta e madre per le sue creature con le quali imbastisce dialoghi che ritroviamo nella sua poesia, come squarci di vita che ci raccontano l’intercalare tra lo scrivere e il vivere, e il trovare linfa da quel vivere che profana i sonni, imbastisce schianti, ricompone sogni, sorveglia e cura, usa le mani per sentire. Le mani di Maria, dice Rilke, sono stupende e benedette, e Rossella Renzi ci dice che: l’anima non è riposta nel respiro ma nelle mani/che stringono le pietre e le parole/che scoppiano le bolle di sapone. Le mani diventano lo strumento più stupefacente, l’essenza stessa dello stare al mondo: qualcuno parla con le mani, con i gesti; a creare il mondo sono state le mani di un bambino/il disegno di Dio/che gioca a palla. E, ancora, è la mano che trema mentre si appoggia alla schiena del figlio; sono le mani che portano latte e miele; è durante quel fare con le mani le cose che l’autrice-madre-poeta, vorrebbe guardare il figlio e amarlo da lontano; mentre il buio schiude i pugni delle mani, e chiediamo di tenerci le mani nel bianco…
Stupende e benedette, le mani, sono dunque il mezzo per respirare il respiro di tutti, anche di quelli che non ci sono più e che continuano a vivere con il fiato del ricordo posato proprio su questi arti, dopo aver piantato un seme che rinasce ogni giorno. E, ogni giorno, questo seme ritorna attraverso lo sguardo dei figli che: osservano il silenzio dei vasi/il riflesso cupo di ametista mentre l’autrice-madre-poeta si allontana dalle cose, prende una distanza maggiore, per conservarlo il seme del giorno. Per conservarlo e per curarlo.
E, qui, per ritornare al discorso iniziale delle suggestioni letterarie, non possiamo non pensare a un altro seme illustre, al seme sotto la neve di Ignazio Silone – un grande maestro del ‘900, del quale ho letto tutti i romanzi, che ho amato e amo tutt’ora moltissimo – laddove il protagonista del libro, Pietro Spina, scoprendo il germoglio di un chicco di grano nato in una zolla di terra arida, meravigliato e colpito da tanta tenacia, decide di dedicarsi con tutto sé stesso alla sua crescita, alla sua protezione. Lo cura alitandoci sopra per riscaldarlo, lo rende umido portandogli un pugno di neve ogni giorno, lo ripara dal vento e lo nutre, in una metafora letteraria di grande effetto narrativo dove emerge il bisogno umano di attaccarsi alla vita, proprio nei momenti di maggiore precarietà, quando si è più vicini alla perdita di ciò che ci è caro, o alla presenza di affetti che hanno bisogno di noi.
Nel percorso che induce alla scoperta della visione dell’autrice un’ulteriore, e conclusiva, nota sembra necessario proporre: quella sull’uso della parola che, spesso, sembra trascendere al di fuori del nostro linguaggio, proponendone nell’uso una sorta di gioco di ombre cinesi, dove i contrasti non sono solo tra il bianco e il nero e dunque, simbolicamente rilevanti, fra la voce e il silenzio del foglio, ma si fanno altalenanti in una tavolozza di colori pastello verdi o celesti, a raffigurare gli affetti o i ricordi, a dare un colore alle emozioni, e a trasfigurare nella resistenza propria della parola poetica l’esperienza in dialogo, la conoscenza in confronto, la scoperta in accoglienza quotidiana della vita e dei suoi semi, davvero, che nascono ogni giorno.
Alcuni testi da: Il seme del giorno
Da qui si vede ogni cosa
il sole il mare le colline brulle,
la linea disegnata all’orizzonte
gli alberi in fila da qui
sono uomini in cammino.
Osservo tra le foglie
il loro procedere ordinato
è solo un lato dello sguardo
teso a seminare la distanza.
*****
Ascolta l’avanzare del mattino
viene luce dalle piccole crepe
che si aprono nel muro vicino
tra il tepore e le voci dei bambini.
Vado, verso la casa abbandonata
la porta semichiusa e dentro i colori
che nella polvere sono volati.
Vedo, l’ombra celeste dei miei cari.
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Mi prepari del cibo ogni mattina
e mi baci le palpebre, una per una
nella casa ci sto come un felino
abito i luoghi senza fare rumore.
Poi riposo con te sul tappeto
ci accompagna un odore di pace
tu con cura mi lavi la schiena.
e di nuovo mi dici animale.
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E’ di uno strano colore il tuo volto
un pezzo di vetro che brilla
come un albero che vacilla.
Mio vero privilegio, quando ti osservo
da questo angolo della terra
vedo cose che cambiano col vento
quando nulla è veramente fermo.
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Al gelso antico di San Giovanni
A te vengo come ad un tempio
come una vela bianca trasparente
con questa lingua che sia pulita
nelle mani porto latte e miele.
A te vengo come il vento alle spalle
accarezzo il tuo tronco ferito
mentre cade la prima pioggia
dico piano la mia preghiera.
Cinzia Demi
Bologna, dicembre 2017