La sinistra moderna e il principe

Vi confido un segreto. A Roma, io sono entrato nella casa del principe. Qualche anno fa. Mia figlia Lola si era ritrovata a frequentare l’ultimo anno di scuola materna all’istituto Chateaubriand. Là dove si ritrovano i figli di molti francesi a Roma, e quelli delle famiglie che cercano un segno di distinzione, di cosmopolitismo. Era stata invitata, mia figlia, al compleanno di una compagna di classe. Un sabato, e mi sono ritrovato ai piedi della palazzina signorile, vicino a Villa Torlonia, là dove Mussolini abitava all’affitto di una lira al mese. Tenevo mia figlia per mano. Ho cercato il nome, per suonare al citofono, ma non c’era nulla, e ho chiesto, « ma dove si deve suonare?».

Un’amica ha scosso la testa, mi ha guardato con disapprovazione, quasi a dire, ma da dove vieni? « Ma no. È tutto loro ». Io ho abbassato le orecchie, come un coniglio preso in fallo. Poi sono entrato, nella palazzina. C’era tanta gente e la caccia al tesoro. Ma il giardino era immenso, tanto che il tesoro non lo si ritrovava più. Ho cominciato a bere, perché così si fa, così come si muore un po’, per poter vivere. Il principe ed io abbiamo simpatizzato. La sua famiglia, da qualche generazione, era venuta a patti con la vita borghese; lui faceva l’avvocato. Con ottimi risultati. Sua moglie, la psicanalista. Una bella donna. Tutta rifatta (in questi casi si dice da capo a piedi ma no, quello non potrei dirlo : certo, aveva le labbra gonfie e piene da scoppiare, il viso tirato come un palloncino appena gonfiato.

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Mostrava i quadri del nonno pittore). Il principe mi ha parlato a lungo. « Adesso » – mi ha detto – « ce sta ‘a crisi ». Mi ha detto così, perché la crisi c’è sempre, e poi perché Roma è la città più democratica del mondo, quella dove anche i principi parlano il dialetto. « Adesso, ce sta ’a crisi ». Sì, signor principe. « E lo sai, ’a crisi, chi colpisce deppiù ? ». Non saprei, signor principe. « ‘A crisi colpisce ’a povera ggente ». Di sicuro, signor principe.

La crisi colpisce la povera gente. « Mica la gente come possiamo essere io te ». Io e te. Il principe mi ha accomunato. (E io avrei voluto dirgli : ma no, signor principe mi scusi, io non c’entro, sa, io e lei veniamo da mondi diversi, lei viene da storie di palazzine signorili proprio vicino a dove abitava Mussolini a una lira al mese, e la signora, che Dio la perdoni, aveva il nonno pittore, e che bei quadri, e che gusto – ma io no, io vengo da altre storie, che Dio mi perdoni, dai luoghi in cui si contano le preziose mille lire, ed è solo per un caso, per tutto un complesso di cose davvero fortuite che noi ci ritroviamo, adesso, qui, proprio a casa sua. Ma non gli ho detto niente).

« Sai » – ha continuato il principe – « Io – e qui, una pausa, una lunga pausa – io so de’ sinistra ». Lì c’è stato un momento di silenzio, le anime degli antenati hanno cominciato a sospirare e soffiare, e il principe ha visto il mio sguardo posarsi sui soffitti meravigliosamente alti; sugli affreschi; sul personale di servizio (altrimenti detto, in altri tempi, servitù) che si spicciava zelante trotterellando al séguito dei capricci dei figli dei ricchi; sui quadri del nonno della signora rifatta; sul benessere e sul buon gusto che poggiava su uno zoccolo di anni e decenni e secoli; ha visto il mio sguardo e sentito il mio silenzio, e mi ha detto : « Sì. Ma de ‘na sinistra modderna però »

Poi mi ha raccontato, « sai, io a Walter (Veltroni, ndr) l’ho pure detto, non si può andare avanti così, se devono sveglia’! ». In quell’anno (era il 2008) Walter (Veltroni per chi legge) era il segretario del PD « a vocazione maggioritaria ». Ancora per poco. E così mi diceva il principe. Ma io ormai non c’ero già più. Ero partito, tenendo mia figlia per mano.

Adesso io a Roma torno ogni tanto, com’è stato la settimana scorsa, proprio quando c’era la visita di Barack Obama e gli elicotteri ronzavano nel cielo – e ho visto quella grande bellezza in una stanza d’albergo che era proprio sopra la Fontana di Trevi, ho visto il cielo in una stanza. Al principe non l’ho detto, ma anche io ho sempre sognato una sinistra moderna. Perché per me la sinistra era un mondo pieno di tante cose. Era Pietro Ingrao che insegnava ai poveri a non togliersi il cappello davanti ai padroni. Era Miriam Mafai che parlava a Vittorio Foà dei « bambini che non potevano andare a scuola perché non avevano le scarpe e che non conoscevano il sapore della carne », e che poi « le scarpe le hanno avute, hanno cominciato ad andare a scuola e a mangiare la carne ». (A me questo sembrava già un pezzo di rivoluzione, diceva poi, la Mafai).

La sinistra, per me, era il « liberalismo d’emergenza » di cui ci parlava quella scrittrice meravigliosa che era Anna Maria Ortese, e la buona amministrazione dell’Emilia Romagna e di cento città. Ma poi certo : la sinistra era anche quel paradiso dei lavoratori che non esisteva ed anzi era il più vero e il più grande degli inferni, era la chiusura sindacale e l’apparato partitico, era la dannazione verso chiunque non fosse considerato allineato, « ah leggi Borges », mi aveva fulminato con lo sguardo la professoressa estremista, al liceo, vedendo il libro che leggevo, quasi di nascosto, in biblioteca, « fai bene. Bisogna leggere tutto » – ma già Borges, lo si capisce, era considerato un reazionario e quasi un fascista ; e « leggi Solženicyn ? Un reazionario », così mi ero sentito dire, nella libreria della delegazione arci-comunista, quando avevo osato comprare « il primo cerchio », due volumi, edizione Mondadori, « quel libro mi fa schifo », aveva aggiunto un altro, e poi quell’insopportabile moralismo autoritario di certi comunisti, e la reticenza a combattere le battaglie per i diritti civili, e il riflesso autoritario che portava a simpatizzare per regimi orribili, e il Partito con la P maiuscola ed anzi un po’ tutto maiuscolo che veniva prima di ogni cosa, e il riflesso corporativo, che arrivava dritto dritto dalla tradizione sociale fascista, e sì, è vero : la sinistra era anche – anche – tutto questo (Dio mio, perché negarlo) e noi, questo piatto di grano : e allora, come non desiderare una sinistra « moderna » ?

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A Roma ho passeggiato in Via delle Botteghe Oscure, là dove per tanto tempo c’è stata la sede del PCI, e proprio sotto una targa con il nome della via, ho visto un negozio di cianfrusaglie, che invece di chiamarsi negozio, o bottega, si chiama « store », come se si trovasse in America. E poi là dove c’era il cielo, nella stanza d’albergo sopra la Fontana di Trevi, ho acceso la televisione, lottando con una mezza dozzina di telecomandi, e alla televisione c’era Walter Veltroni – l’amico del principe. Veltroni ha detto, parola più, parola meno, che il Partito Comunista Italiano è nato con Antonio Gramsci e ha concluso la sua parabola con Enrico Berlinguer (in questo, Veltroni, per amor di retorica, ha fatto torto a Natta e Occhetto, che il PCI lo hanno diretto dopo Berlinguer) ; e ha aggiunto che la sinistra storica italiana deve all’eccezionalità di queste due figure la sua traiettoria eccentrica; quella che le ha permesso di rigenerarsi – di sottrarsi all’abbraccio mortale del fallimento storico del comunismo.

E lì mi è venuto da pensare ad Antonio Gramsci che tiene un suo discorso (l’unico, credo) in Parlamento, e di Mussolini che se ne va via scurissimo in volto, e silenzioso. Ho spento la televisione e sono andato al Cimitero degli Inglesi, a Testaccio. Là dove c’è il grigiore del mondo, diceva Pier Paolo Pasolini. « Tra speranza e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato per caso » : là, ci sono le ceneri di Gramsci. E poi mi sono seduto sulla panchina davanti al giovane poeta inglese, a John Keats : perché a thing of beauty is a joy forever. Una cosa bella è una gioia per sempre. Come è stato, per me, il cielo nella stanza sopra la Fontana (a ripensarci ora, dopo aver visto il Cimitero degli Inglesi, credo che Veltroni un po’ di ragione ce l’abbia. La tradizione, ci diceva Gustav Mahler, è custodire il fuoco, non adorare le ceneri. Poi, se la sinistra moderna che desidero io sia la stessa di cui mi parlava il principe, ecco, questo io adesso non lo saprei dire).

Maurizio Puppo

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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