Il ferro è caldo. L’Europa è sotto choc e tuttavia insieme al racconto di questi giorni ci proponiamo un’analisi del rapporto Islam ed Occidente allo stato delle cose. Per questo, in due parti, ci occuperemo del tema, lasciando comunque la tribuna aperta a tutti coloro che vorranno contribuire al dibattito.
Qualche tempo fa Papa Francesco ebbe a dire che la terza guerra mondiale era già in corso. L’ISIS in continuazione ripete che è in guerra contro gli infedeli. In queste ore il primo ministro francese Valls al parlamento dichiara che la Francia è in guerra contro il fondamentalismo islamico e il terrorismo. E’ evidente che si tratta di una guerra che non presenta i canoni tradizionali. E’ una guerra che deve vedere uniti l’Europa e i suoi tradizionali alleati insieme alle comunità islamiche che non ci stancheremo mai di dire che di questa ne sono le prime vittime. Provero’ nella prima parte di questo racconto/analisi di verificare i problemi esistenti nel rapporto tra islam e le nostre società europee, mentre nella seconda parte cerchero’ di dare un punto di vista su quale approccio l’occidente dovrebbe avere con questo mondo e con le tante situazioni di guerra e tensione che da tempo si vivono in quelle realtà che dal medioriente si spingono fino alle porte della Cina.
La manifestazione di Parigi è stata la migliore rappresentazione del percorso che attende il mondo e l’Europa nel suo immediato futuro. Nel tempo della globalizzazione, la risposta al terrorismo molecolare, come l’ha definito Renzi, è stata la discesa in campo di centinaia di migliaia di francesi e no, che hanno occupato Parigi (due milioni), un corteo colorato, non funebre, con famiglie e bambini, disabili che con mille difficoltà hanno voluto esserci e tanti uomini e donne di ogni razza, religione, condizione sociale.
Tanti musulmani a ricordare che se è vero che i terroristi hanno ucciso nel nome di Allah, altri musulmani si sono opposti a loro, come il poliziotto Ahmed Merabet, che è stato ammazzato innanzi a Charlie Hebdo, o il semplice impiegato maliano che nel supermercato ha salvato la vita a tanti ebrei, nascondendoli a suo rischio e pericolo.
Miracoloso anche vedere i francesi dire “merci” alla polizia (di solito non troppo amata), con cittadini che abbracciavano intimiditi poliziotti.
La destra francese, italiana ed europea che punta sul “conflitto di civiltà”, glissa su questi aspetti che invece non sono marginali, se è vero che nel mercoledì nero francese, tra i cittadini che presidiavano la place de la République, spontaneamente, nel nome della convivenza civile e della pace, in prima fila vi erano musulmani e anche diversi imam, provenienti dai più disparati quartieri parigini.
Il futuro dell’Europa e del mondo di domani – come la giornata della “marcia repubblicana” dimostra scrivendo un importante pezzo di storia -, non può che vedere insieme le tante diversità, etnie, culture e religioni che compongono il nostro pianeta.
Senza paura chi ha marciato l’ha fatto nel nome del futuro, nostro e dei nostri figli e nipoti. Tuttavia, l’inevitabile commozione e trasporto di questo giorno, non deve far dimenticare le difficoltà della quotidianità, tra comunità che oggi sono unite contro il comune nemico terrorista, ma che inevitabilmente pongono problemi di convivenza e di integrazione.
Non è un caso che, con amarezza, il rabbino capo di Parigi ha ricordato che troppo spesso musulmani ed ebrei si incontrano solo per piangere le loro comuni vittime, mentre occorrerebbe un dialogo interreligioso (coinvolgendo anche la cristianità) più continuo e costante.
Chi confonde il fondamentalismo fanatico e terrorista che tanto giusto sdegno suscita, con la generalità della comunità musulmana, non deve mai dimenticare che la prima vittima di questo è proprio il mondo musulmano, che non a caso ha avuto fin qui il maggior numero di vittime. La tragedia di Charlie Hebdo, deve essere l’occasione, passato il momento di smarrimento e dolore e la reazione di cuore e stomaco, per una riflessione profonda su temi come identità culturale ed integrazione.
In questo senso assumono un ruolo decisivo le scuole, le diverse chiese, la formazione dei giovani, l’informazione e complessivamente quelle società, che più di tutte, sono chiamate a farsi carico di questa veloce evoluzione globalizzata del mondo, Italia inclusa, che è una delle porte principali del flusso di disperati e rifugiati che attraverso di noi cercano un nuovo modo per ricominciare. Il tema coinvolge anche gli equilibri mondiali, i modi e le forme attraverso cui favorire e pilotare un processo democratico in realtà che un tempo si sarebbero dette terze mondiste; dove gli ideali e i principi ispiratori di questo modello di Stato appaiono ancora lontani e di difficile comprensione.
Mi soffermero’ su due temi decisivi, integrazione ed identità, partendo dalle ultime valutazioni del premier italiano che ha accusato il terrorismo di voler minare alla radice l’identità occidentale della nostra cultura europea.
Nelle ore immediatamente successive all’attentato a Charlie Hebdo e nelle drammatiche giornate che sono seguite, le comunità musulmane (un mondo vario e composito) si sono immediatamente schierate con le istituzioni e la popolazione francese; un’apertura importante che va perseguita. Al contempo va perseguito con impegno e fatti concreti il processo europeo d’integrazione verso chi arriva in Europa e sceglie di vivere nelle nostre società, ma anche verso chi come in Francia è formalmente cittadino di quel paese (lo erano gli stessi attentatori) ma che sostanzialmente non se ne sente parte. Qui appaiono evidenti le responsabilità di fondo dei paesi occidentali e dell’Europa, e le soluzioni non possono essere le demagogiche risposte che offrono le diverse destre europee.
L’alleanza prospettata dal ministro Pinotti, tra l’Europa e le sue comunità musulmane potrebbe essere la chiave di volta per sconfiggere davvero, nei nostri paesi, la minaccia del fondamentalismo.
Come rilevato da molti studiosi e da esperti di strategie terroristiche dal 1995 ad oggi gli atti terroristici che ci sono stati sono di matrice del fondamentalismo islamico. Come dire che non tutti i musulmani sono terroristi, ma che da un paio di decenni tutti i terroristi sono musulmani e questo qualcosa vorrà dire.
Il sentimento francese, ma anche di molti italiani e di tanti europei è di una certa insofferenza nei confronti degli arabi e maghrebini, che diversamente da altre comunità hanno maggiori difficoltà d’inserimento. Basti pensare alle comunità cinesi, caraibiche, filippine e anche dell’est Europa, dove pure si sono segnalati in passato, episodi di intolleranza ma dovute direi ad una quasi “fisiologica” insofferenza di alcuni verso gli immigrati, vissuti come stranieri e pertanto, suscitatori di inquietudine.
Un qualcosa di cui all’epoca furono vittime anche gli stessi emigranti italiani.
Il problema è che sin qui la comunità islamica si è dimostrata molto resistente e permeabile, a volte ostile al modello di vita occidentale. E’ una cosa evidenziata anche dalla recente filmografia di cineasti francesi di quelle origini e che oggi sono indicati come quelli di terza generazione. E’ chiaro che non si debbano fare generalizzazioni, sempre pericolose, ma è evidente per chi conosce la realtà islamica, che quella cultura è oggi profondamente chiusa in se stessa, timorosa di perdere il proprio modello culturale, finendo per cercare d’imporlo ad una cultura che n’è particolarmente differente.
Purtroppo, malgrado la manifestazione pacifica di domenica, già si segnalano in Francia una cinquantina di atti anti-musulmani. Nelle scuole, hanno reso noto i rettorati, studenti musulmani non hanno voluto rispettare il minuto di silenzio per le vittime, mentre il comico musulmano Dieudonné (icona per molti giovani) si è lasciato andare ad una vera e propria apologia del terrorismo islamico. Alcuni insegnanti hanno poi riferito che diversi studenti erano stupiti di tanto clamore solo perché erano stati uccisi dei disegnatori blasfemi che andavano pur puniti. Sono segnali che non vanno trascurati e che indicano un malumore, una insopportazione reciproca tutt’altro che latente.
E’ quasi paradossale, ma in un certo senso la cultura islamica al suo sorgere è stata prodromica finanche dell’illuminismo sulle cui radici si è imposta l’idea della democrazia e il nostro attuale modello culturale. In effetti, la cultura islamica fu in prima fila nello sviluppo della ricerca scientifica e nello studio della matematica, nel fiorire delle arti, e dell’architettura, nella nascita delle prime e fondamentali conservazioni di beni culturali e nella raccolta dei diversi volumi di filosofia e scienza, favorendo la nascita delle prime Università e delle prime biblioteche, nel rispetto assoluto della pluralità di pensiero. L’Islam che prendeva possesso di Costantinopoli era un Islam che si guardava bene dal penalizzare le altre confessioni religiose, mostrando una “laicità” per il tempo, dalla cui forza la stessa coeva cristianità, divisa in feroci guerre religiose, non poteva che apprendere.
Nel tempo, viceversa, il mondo islamico ha finito per perdere di vista questa sua capacità illuminante e negli ultimi secoli, il pensiero musulmano ha finito per ripiegare sempre più su se stesso, anche sotto l’impulso della colonizzazione, smarrendone e dimenticandone i contenuti o fossilizzandosi solo su alcuni aspetti interpretativi del Corano. Oggi, in quel mondo dove la religione è parte dell’ordinamento statuale, diversamente da noi, le scuole coraniche, gli stessi centri islamici, sono diventati spesso luoghi di volontariato e soccorso nei confronti dei più deboli in opposizione spesso ai tanti regimi fantocci, imposti da un occidente neocoloniale. Finendo per identificare e confondere istanze politiche e sociali con il proprio credo religioso nel sogno, sempre controverso tra differenze etniche e tribali, ma mai perso, di una riunificazione del mondo arabo.
Le difficoltà d’inserimento di queste comunità con noi hanno generato risposte a volte contraddittorie e confuse, creando un senso di ingiustizia nei confronti di quelle comunità e degli stessi cittadini di cultura occidentale e anche delle altre culture e civiltà, finendo per suscitare quelle diffidenze ed ostilità di cui si è fatto cenno.
In tal senso, anche per una sorta di complesso di colpa che l’occidente si trascina per le sue crociate, le sue colonizzazioni, a volte si è avuto un atteggiamento iniquamente tollerante verso quella comunità, finendo per favorire ed accrescere le difficoltà di relazione nelle società dei paesi europei, e per offrire argomenti ad una destra xenofoba e populista.
Le risposte della cultura occidentale (ancor peggio nell’Europa) non sono state univoche, finendo da una parte per emarginare la comunità islamica e i suoi giovani, al contempo offrendo condizioni di obbiettivo privilegio per chi apparteneva a quella comunità. Un cerchiobottismo che ha finito per scontentare tutti e per generare quella insofferenza di molti cittadini che oggi sono una maggioranza silenziosa e che domani rischiano di essere i principali sostenitori di Le Pen o di Salvini in Italia.
Negare, per buonismo, timore o per quieto vivere, il fatto che le società democratiche ed occidentali hanno spesso creato situazioni di « favore » verso gli islamici (italiani, francesi o di altrove), derogando od omettendo il sistema normativo e di consuetudini su cui si fonda la nostra civiltà significa negare l’evidenza.
Ognuno potrà esporre dei casi nel quotidiano a sostegno di quanto sopra si dice.
Il fatto che come Altritaliani abbiamo documentato delle strade pubbliche occupate
(a Parigi – Chateau Rouge) ogni venerdì dai tappeti dei musulmani, che per le loro preghiere impedivano la circolazione dei cittadini, nell’assoluto silenzio dell’amministrazione pubblica, rotto solo dalle proteste degli abitanti, a cui era impedito l’uso delle auto e delle strade pubbliche è un favore. Non si dica che i cristiani fanno le processioni occupando cosi anche loro un luogo pubblico, perché questo è un argomento risibile. Intanto perché nelle nostre città si faranno si e no un paio di processioni all’anno e del resto anche i cinesi festeggiano una volta all’anno, il loro capodanno in strada ed è, nella sua estemporaneità, un motivo di festa e non di fastidio, viceversa non mi risulta che sia consentito alle altre confessioni religiose di fare ogni venerdì una processione e sempre negli stessi quartieri. Beffardamente va aggiunto che la stessa chiesa cattolica in Francia (non in Italia) deve fornire mensilmente alle Prefettura delle città, il calendario delle proprie messe per avere l’autorizzazione. Evidentemente, per tanti praticanti cattolici è un favore insopportabile ai musulmani, un argomento regalato alla reazionaria propaganda di Le Pen.
Più volte le autorità francesi hanno chiuso gli occhi su casi di poligamia, mostrati da numerosi reportage televisivi. Va ricordato che in Europa non esiste un solo paese che non consideri reato penale la bigamia, eppure si chiude un occhio. A Firenze si è arrivati ad un giudice che ha concesso attenuanti ad un marito violento, per il fatto che era musulmano (creando un pericoloso precedente giurisprudenziale) in conflitto con una norma chiara che vieta la violenza privata.
La stessa questione del velo, se non c’è chiarezza rischia di diventare un cavallo di battaglia di una destra che grazie al fondamentalismo islamico sta ritrovando vigore. In Francia si è vietato nelle scuole il velo che occulta il volto, ma in realtà si assistono a molte donne (non so quanto contente), che girano per strada a volto totalmente coperto. E’ evidente che se una cittadina occidentale gira per strada con un passamontagna sul volto rischia l’arresto immediato (specie di questi tempi). Va aggiunto, che se anche una certa sinistra l’ha dimenticato, il tema dell’identità femminile è stato un tema di conquista nei diritti delle donne e che la visione di questi abbigliamenti che tolgono ogni identità e dignità, costituisce una grave offesa al sentimento e ai valori del nostro occidente laico, valori che le donne si sono conquistate con anni di lotta e sacrifici. Restare ora silenziosi sul tema mi sembra una scelta debole ed irresponsabile.
Chi vive all’estero ha il dovere di adeguarsi al modello culturale e sociale del posto, altrimenti si può scegliere un paese diverso che magari presenta analogie culturali e di sistema con quello di origine.
Potrei continuare, ad esempio, sul tema che il nostro servizio sanitario che ha dovuto apportare modifiche in vari ambiti per venire incontro all’oltranzismo culturale di quelle comunità.
L’islam ha un suo specifico che non si riscontra in altre comunità religiose. Sono molto minori i problemi, ammesso che vi siano, con la comunità ebraica o buddhista, per fare degli esempi, che siano al difuori del modello cristiano.
Eppure in Europa, la Costituzione italiana, ad esempio, parla chiaro, sono ammessi tutti i culti religiosi purché nel rispetto delle leggi. Ed è bene ricordare che all’unisono tutti i costituzionalisti ricordano che, equiparate alle leggi, con diversa gradazione di fonte, sono anche i regolamenti e le leggi non scritte, ovvero le consuetudini. Ad esempio un padre che rifiuta la trasfusione di sangue al proprio minore perché seguace dei “Testimoni di Geova” è passibile di arresto e di condanna per tentato omicidio.
Tutti i culti vanno rispettati e quindi vanno rispettati i luoghi di culto e tutte quelle feste religiose come il Ramadan, il Kippur, o etniche come il ricordato Capodanno cinese e quant’altro. Anche se naturalmente per chi risiede all’estero vale il calendario di ferie del posto.
Insomma, il punto è che le comunità islamiche devono fare uno sforzo, con l’aiuto delle società che le ospitano, per “laicizzare” il rapporto religione e società. In tal senso e nel nome del rispetto di tutte le componenti, non devono essere più possibili cedimenti alle regole e alle leggi che le nostre società si danno con metodo democratico, cosa che del resto fanno anche le società orientali (magari con diversi metodi) a parti invertite. Perché e evidente che questa pratica “buonista”, indispettisce e non poco tutti quei cittadini che sono legati ai valori della democrazia, al rispetto delle regole e che si riconoscono con fierezza nel nostro modello culturale.
Per la lotta al terrorismo fondamentalista occorre che quelle comunità, oltre alla doverosa solidarietà per i crimini commessi da quei gruppi e lupi solitari contro simboli della cultura occidentale, siano vigili al loro interno, sensori attenti dei frequentatori, perché si sa che anche gli ultimi attentatori erano frequentatori di ambienti islamici, di moschee. Ed inoltre, nel ricordo del recente appello del presidente dell’Egitto occorre costruire un modo perché democrazia e sentimento religioso musulmano possano convivere e quindi impegnarsi nella difesa anche dei valori della democrazia. Il musulmano Ahmed Merabet è morto per difendere la Francia e i suoi valori laici e democratici. Per quelle comunità Ahmed deve diventare un eroe, un esempio, specie per i giovani musulmani francesi ed europei.
Anche l’occidente, tuttavia, deve fare degli sforzi sia nell’integrazione che non significa compromettere la nostra identità culturale, al confronto con altre culture. Per questo se in molti paesi europei è vietato il vilipendio del sentimento religioso, questo deve valere per tutte le religioni, nello spirito della nostra Costituzione e pertanto, secondo me, andrebbero impedite e punite, satire e disegni che colpiscano in profondo non i religiosi in quanto tali, ma lo stesso sentimento religioso, gli stessi simboli della religiosità. Cosa già attuata nei paesi anglosassoni che del resto, hanno vietato le pubblicazioni di Charlie Hebdo proprio perché offensive di quelle comunità che noi ospitiamo e i cui componenti sono spesso nostri concittadini.
I musulmani (almeno quelli « moderati », che sono la stragrande maggioranza) devono sapere che nelle nostre città possono vivere in pace e che non saranno più discriminati, ma devono sapere anche che quei lupi solitari quei fomentatori dell’ISIS o di Al-Qaida, non sono fratelli che sbagliano, ma criminali che vogliono colpire le nostre e loro società, che si tratta di un nemico comune che va contrastato con ogni durezza necessaria e che in tal senso, non è possibile mantenere eventuali omertà, che occorre essere insieme e in prima linea fino a quando il fenomeno non sarà cancellato dalla faccia della Terra. Questo deve avvenire con un lavoro di educazione al rispetto e alla diversità culturale, ogni giorno. Chi alla manifestazione di Parigi aveva il cartello dicendo sono musulmano e sono ebreo e sono cristiano, deve ricordarselo sempre ed insegnarlo agli altri, i quali devono capire che nelle nostre società la blasfemia non è punità con la morte, e non affermarlo solo nel momento del dolore e dell’indignazione.
Nicola Guarino
LINK:
La questione Islam e Occidente (parte 2)
La questione Islam ed Occidente (parte I).
Recommencer avec la censure et l’auto censure, en france, beaucoup de gens se plaignent du politiquement correct, quand on ne peut pas mettre en lumière les idéologues fanatiques avec de l’humour alors c’est la porte ouverte à tous les idéologues extrêmes et fanatiques. Des idéologies utilisées à des fins politiques, le politique doit être dissocié du fait religieux car en France, on est d’abord un citoyen de la république, et sa propre religion est secondaire, on a la liberté de culte mais dans le discours politique, on argumente hors la religion, il en est ainsi et celà doit le rester car c’est ce qui a été décidé.
Le problème crucial est la sécurité à l’intérieur de l’europe car déjà à l’extérieur les occidentaux sont pris ou pour cibles ou comme monnaie d’échange. Je ne souhaite pas que La terreur et la peur s’invitent dans l’europe. Nos démocraties ne sont pas parfaites mais elles garantissent la paix et beaucoup de libertés individuelles Je salue le courage des tunisiennes et des tunisiens qui se battent chacun avec leurs sensibilités pour construire un ensemble homogène où toutes les sensibilités puissent librement coexister en paix et dans la tolérance.