L’amicizia tra Bassani e Pasolini è durata 25 anni durante i quali i due scrittori si sono frequentati assiduamente parlando di poesia e di poetica, scambiandosi opinioni, idee e consigli, condividendo l’amore per la parola che porterà alla loro collaborazione cinematografica.
Diverse sono le sceneggiature che hanno scritto insieme e Bassani leggerà le poesie di Pasolini ne La ricotta e ne La rabbia (entrambi del 1963), versi affini allo scrittore ferrarese per la simile tematica del passato e della vulnerabilità del bello. La figlia Paola Bassani, presidente della Fondazione Giorgio Bassani, descrive questo incontro artistico: «Come non ricordare poi il coinvolgimento con cui ha letto i versi (come fossero i suoi…) di Pier Paolo Pasolini, ne La rabbia?» (Se avessi una piccola casa mia. Giorgio Bassani, il racconto di una figlia, La Nave di Teseo, 2016, p. 55), sottolineando quanto la loro amicizia fosse profonda e allo stesso momento privata, al di fuori delle scene intellettuali del tempo.
Si erano incontrati nel 1950, grazie alla richiesta di Pasolini di frequentarsi per parlare di letteratura (13 febbraio 1950):
Caro Bassani,
ricorderai forse che noi due ci siamo conosciuti a Firenze, dove siamo stati insieme non più di un quarto d’ora. Adesso approfitto di quel nostro fulmineo incontro per chiederti se tu voi che ci incontriamo ancora, magari un po’ più a lungo. […] Avrei veramente bisogno di qualche amico: Caproni l’unico che conoscevo qui si trova ora in una situazione grave […] e non voglio essergli di peso con la mia presenza che, in fine, puzza sempre di letteratura. Sii sincero: se ti secca incamminarti per la strada sempre troppo piena di formule e di disagi di una nuova conoscenza, dimmelo; in caso contrario fammi sapere dove e quando ti posso trovare.
Scusami tanto, Bassani, e ricevi i più cordiali saluti dal tuo
Pier Paolo Pasolini
Bassani e Pasolini si incontrano a Roma e scoprono di avere la stessa formazione universitaria bolognese, avuta a pochi anni di differenza, con Roberto Longhi e Carlo Calcaterra con i quali entrambi si laurearono. Più avanti, Bassani appoggerà la pubblicazione di alcuni suoi scritti su «Botteghe Oscure» mentre Pasolini su «Officina» e «Nuovi Argomenti», ma il loro incontro artistico avviene nel 1954, con la collaborazione alle sceneggiature de La donna del fiume di Mario Soldati, del primo romanzo di Giovanni Testori Dio di Roserio, de Il prigioniero della montagna di Luis Trenker l’anno successivo e di Teresa Etienne di John Knittel; poi a teatro con lo spettacolo Giro a vuoto con Laura Betti le cui canzoni sono scritte, tra gli altri, da Antonioni, Arbasino, Flaiano, Fortini, Moravia, Soldati (All’Insegna del Pesce d’Oro, 1960).
La loro amicizia, in mancanza di un ricco epistolario che ce ne possa dare una prova documentata, va cercata altrove, in luoghi meno evidenti e nascosti, ma non per questo meno importanti. Sembra che il loro dialogo si sia tradotto nelle collaborazioni, nella lettura delle poesie in due film, nelle trame dei romanzi, nel loro ragionare sulla parola poetica. Eppure, abbiamo l’impressione che il loro rapporto sia essenziale, forse più importante e incisivo di altri, pur se di tracce evidenti ne rimangono poche. Probabilmente, non è alla sostanza che dobbiamo porre la nostra attenzione, ma i due amici ci spingono a cercarla nelle intenzioni, nel modo di concepire l’arte, che sia cinematografica, poetica o narrativa. A me sembra Bassani abbia insegnato a Pasolini i valori della memoria e del passato, mentre Pasolini abbia indicato a Bassani la via per screditare la borghesia senza temere di rappresentarne le contraddizioni. Bassani diventa così più sfrontato di Pasolini nelle poesie, ne prende il coraggio di film come Salò o le 120 giornate di Sodoma per mettere di fronte ai tipi che rappresenta i loro veri limiti, le indecenze delle quali si sono resi colpevoli. Pasolini, d’altro canto, diventa più nostalgico e profondo ancorandosi a quella tradizione del passato su cui Bassani costruisce la propria scrittura. Forse questo incrocio, questo scambiarsi le parti, può essere una chiave di lettura e uno spunto per futuri approfondimenti.
Pier Paolo è entrato davvero nell’intimo della sua letteratura, scrivendone, del resto, pagine bellissime. Ha anche fornito a mio padre consigli tecnici decisivi. Basti un esempio: al tempo delle Cinque storie ferraresi, il papà (e lo attesta il carteggio con l’editore Einaudi) era incerto sulla disposizione dei cinque racconti ed è stato proprio Pasolini a convincerlo del fatto che l’ordinamento cronologico fosse quello migliore. Mio padre a sua volta è stato un editor occulto delle Ceneri di Gramsci. Si leggevano a vicenda, discutevano.
(Paola Bassani, Se avessi una piccola casa mia, cit., p. 73)
Le due recensioni che Pasolini scrive alle poesie di Bassani sono dichiarazioni di poetica condivisa, oltre a un’attenta disamina delle sillogi poetiche. Lo spessore del suo piglio critico, si avverte tra le righe, è dato da qualcosa in più che una lettura, ma da una frequentazione, appunto, personale e privata con lo scrittore ferrarese. La prima recensione è a Un’altra libertà, uscita in «Paragone-Letteratura» nel 1952 e la seconda a Epitaffio, in «Tempo» nel ’74.
Se Bassani si lascia andare a un moto completamente irrazionale, a una vera nostalgia (e ciò avviene nella lirica forse più bella, la XIV) oggetto non ne sarà quel se stesso anteriore: ma quello che egli sarebbe stato:
M’avessi da bambino
serbato alla tua Legge.
Stato sarei del gregge
dei morti a capo chino,
vittima persuasa
di un’altra libertà…
Ora, nel gioco di una coscienza troppo invadente, indiscreta, profanatrice (nello scetticismo che consente quello che è psicologicamente se non poeticamente la «ricaduta» della seconda parte del libro), Colui che era stato il suo celeste nemico, o che lo sarebbe stato, non è ridotto che a un nome, e il grosso dramma al filo di un’inquietudine: «’Tis but thy name, that name is my enemy» è la significativa citazione da Shakespeare che Bassani pone come epigrafe del Te lucis ante. Se il pudore per il contenuto e le sue forme più immediate di espressione impedisce a Bassani di fare di questo libro un vero messaggio, una testimonianza «intera», la coesistente nostalgia verso quel contenuto gli fa superare la mediazione letteraria cui è legato, spostando l’interesse della sua poesia (e qui si dà l’importanza di Bassani in questi anni di transizione) da valori estetici a valori più largamente spirituali.
(Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani, «Paragone-Letteratura», a. III, n. 30, giugno 1952, pp. 76-78)
Nel 1952 erano solo due anni che i due scrittori si conoscevano e Bassani non era ancora il romanziere celebre che conosciamo, ma aveva pubblicato, oltre ai racconti giovanili, due sillogi di poesia, Storia dei poveri amanti (Astrolabio, 1945) e Un’atra libertà (Mondadori, 1951), di cui Pasolini traccia una complessa analisi che ancora oggi, in occasione dell’uscita delle Poesie complete di Bassani per la cura di Anna Dolfi (Feltrinelli, 2021), possiamo tornare a leggere tenendo a mente la recensione dell’amico, che può aiutare ad avvicinarsi ai suoi versi.
Anche la seconda recensione, questa volta al primo libro della seconda stagione poetica di Bassani, Epitaffio del 1974, (entrambe riproposte nel volume Dal particolare all’universale. I libri di poesia di Giorgio Bassani, Giorgio Pozzi Editore, 2020), è stata scritta dopo una lunga e salda amicizia. Ora, la penna di Pasolini aggiunge all’analisi della scrittura poetica di Bassani, il faticoso rapporto dell’uomo con il mondo esterno:
Il quadro umano (con tutte le possibili implicazioni) in cui tale libro si iscrive è il quadro di un autore che ha compiuto un giro di boa: quello davanti a cui si para la fine. Il paesaggio è lo stesso, l’ora non è cambiata, eppure le prospettive sono diverse; e la stessa luce radente di poco prima causa un nuovo sentimento. Nessuna tragedia, nessun dolore, nessuna paura: se mai un senso di irrisione. Il rimpianto stesso, è, in fondo di maniera.
È l’irrisione del mondo e del suo groviglio psicologico-sociale (un piccolo, meraviglioso, irripetibile pasticcio) che ispira questi versi di Bassani: tale irrisione – appunto perché, soprattutto, irrisione di illusioni – mette a nudo la realtà del mondo, e quindi si fa espressione dell’unico vero amore possibile per il mondo: che consiste nel vederlo com’è.
(Pier Paolo Pasolini, Amare il mondo vedendolo come è, «Tempo», 21 giugno 1974, p. 70)
La loro amicizia, abbiamo detto, durerà 25 anni, dal 1950 fino a quel tragico 2 novembre del 1975, quando Pasolini fu assassinato all’Idroscalo di Ostia, sulla foce del Tevere. Due mesi prima, nel settembre dello stesso anno, Giorgio Bassani scrive una poesia dedicata all’amico dal titolo Modena Nord. Pubblicata nella raccolta In gran segreto (Mondadori, 1978, p. 47; ora in Bassani. Poesie complete, p. 247) si legge questa nota dell’autore: «stesa nel settembre del ’75, uscì subito sulla “Stampa” di Torino, dedicata a Pier Paolo Pasolini, alla cui cara memoria torno ora a dedicarla».
L’amicizia vera, l’affetto profondo può portare a prevedere gli eventi, i pensieri, gli accadimenti, ma la portata profetica di questa poesia è abbacinante:
.
Modena Nord
Lasciala finalmente dimenticala l’atroce fiumara di sangue e di metallo esci
a sinistra nella intimidita verde quiete
improvvisa
passa oltre qualcuno laggiù a Ferrara forse t’aspetta però non scordartene mai
più fin quando avrai vita fino a che
respirerai
dell’esile stradone a perpendicolo fiancheggiato da pioppi altissimi appena appena
serpeggiante che hai scorto a un tratto a lato della vecchia
provinciale delle lucciole
e in fondo al quale al termine del suo deserto della sua bigia tiepida
polvere era già
sera
Una poesia profetica, appunto, in cui non è più un raggio di sole a rendere immediata la sera, come scriveva Quasimodo nel 1930, ma il grigiore della polvere alzata dal passaggio di una macchina lungo la provinciale che porta via dalla città, dalla vita, martoriando il corpo di un intellettuale che è riuscito, pagandone il caro prezzo, a mettere di fronte alla politica, alla società del suo tempo, al «ceto moderato italiano eternamente / traditore e incolpevole da sempre / fascista e innocente», le vere e pesanti responsabilità (Bassani, 15 giugno 1975, Poesie complete, cit., p. 246).
Rileggendo i versi di Modena Nord e riflettendo sulla loro tragica portata profetica, ci domandiamo se la «fiumara» del primo verso a cui fa riferimento Bassani alluda alla Grande Fiumara di Fiumicino, la parte finale del fiume che passa di fronte all’Idroscalo di Ostia, nei pressi della quale nel 1966 Pasolini aveva girato una scena significativa di Uccellacci e Uccellini e dove nove anni più tardi verrà ucciso. Le ultime scene del film mostrano il funerale di Palmiro Togliatti con il popolo italiano che sfila in lacrime nella camera ardente del politico e con i pugni chiusi e le bandiere rosse per le vie di Roma, con la disperazione sui volti senza più speranza, uomini e donne atterriti per il futuro della nazione. Poi, il corvo riprende a parlare seguendo il cammino di Totò e Ninetto Davoli: «Ormai non ve lo chiedo più dove andate. Sento che arriveremo alla fine e io che so tante cose questo non lo saprò mai. Ma il cammino incomincia e il viaggio è già finito». È in questo momento che i due incontrano una sedicente prostituta, Luna, una lucciola sulla provinciale sterrata o, per dirla con i versi di Bassani appena citati, l’incontro avviene «a un tratto a lato della vecchia / provinciale delle lucciole», mentre a pochi passi gli aerei del progresso atterrano e decollano dalla pista 16R dell’aeroporto di Fiumicino. Non appena i due personaggi si rimettono in cammino, il corvo-profeta ricomincia a parlare: «Dio, patria, famiglia, quante ne avrei dette un giorno contro. Oggi forse non ne vale più la pena. O forse io sono pigro. È passata la mia ora. Le mie parole cadono nel vuoto. Non pensi però signor Totò che io pianga sulla fine di quello in cui credo. Sono convinto che qualcun altro verrà e prenderà la mia bandiera per portarla avanti».
In effetti, arriverà Bassani con la sua poesia a ricordare e a profetizzare la «fiumara» del Tevere, la foce che incontra il mare, in quel punto di dantesca memoria dove le anime incontrano l’angelo nocchiero, il traghettatore delle anime che le conduce in Purgatorio, dove il ricordo degli affetti allevierà la loro pena.
Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto
dove l’acqua di Tevero s’insala,
benignamente fu’ da lui ricolto.
(Purgatorio II, 100-102)
Valerio Cappozzo
Grazie ancora Giuseppe! Se hai scritto qualcosa su Sciascia-Pasolini sarei felice di leggerlo (vcappozz@olemiss.edu). Ti farò sapere le mie date francesi del periodo natalizio. Cari saluti, Valerio
Giusto, caro Valerio, del resto su questa remora, come dici tu, mi ero già posto un problema simile (ma l’esito era differente) un paio di anni fa, quando lavoravo sul rapporto di Pasolini con Sciascia (… di convegno in convegno!), e poi… ma non riveliamoci tutto subito… Fammi sapere esattamente le date del tuo arrivo, e mandami l’articolo certo: che si intreccino le parole scritte e anche quelle orali! Un caro saluto. Giuseppe
Articolo veramente molto interessante, grazie. Leggendoti, mi sono ricordato di una idea – accesa da un’associazione banale, ma forse l’idea valeva di più – che ebbi quando moltissimi anni fa lessi “Gli occhiali d’oro” (è con questo racconto che, quasi per caso, sono entrato nel mondo di Bassani, che allora di fatto conoscevo solo di nome). In sostanza mi chiesi se questi due grandi pensatori coevi – e non solo scrittori – si fossero mai incontrati, frequentati: qualcosa, della dolcezza, della cultura e della tragicità di Fadigati, della sua latente emarginazione, mi aveva fatto evidentemente pensare a Pasolini. Ora, al di là della collaborazione pubblica, scopro e seguo nelle tue parole un vero e proprio itinerario di amicizia, che rimonta all’inizio degli anni 50. “Gli occhiali d’oro” se non ricordo male è della fine degli anni 50: forse sarebbe interessante esplorare la pista di un possibile confronto proprio su quelle pagine? Un caro saluto. Giuseppe Samonà
Caro Giuseppe, grazie per il commento e dici bene, ottima intuizione, « Gli occhiali d’oro » e il personaggio di Fadigati sono il risultato della loro frequentazione (e anche, credo, la latente emarginazione del personaggio, come dici bene te, è frutto della remora dello stesso scrittore verso l’omosessualità che riesce però, certo grazie a Pasolini, a rendere appunto narrativa). Per gli atti del convegno parigino approfondirò anche questo aspetto e poi ti mando l’articolo e spero avremo occasione di parlarne a voce a Parigi a dicembre. Un caro saluto a te, a presto, e grazie ancora. Valerio