La destra al governo dell’Italia: il pericolo Meloni.

Già dall’avviata di questo esecutivo si stanno manifestando le prime perplessità sulla Meloni che segue il sobrio e concreto governo Draghi.

Il fatto è che la premier dimostra sin da subito, con i primi annunciati provvedimenti, tutta la sua pericolosità. Non perché sia fascista, neofascista, protofascista, queste critiche sono assolutamente ingiuste, fuorvianti, forse utili a questa destra e pertanto non centrano il problema reale.

Che la Meloni non sia fascista e nemmeno neo o proto, lo dice la sua anagrafe ed anche il fatto che in alcun modo esprime una deriva nostalgica per il Ventennio tragico che ebbe inizio giusto un secolo fa. Lei, come noi del resto (ex comunisti) siamo usciti anche da quella sanguinosa fase iper-ideologica che caratterizzò gli anni Settanta (all’epoca la premier peraltro non era nemmeno nata), ragion per cui siamo tutti consapevoli che quell’epoca non esiste più e non esiste nemmeno più quel sentimento politico che fece delle ideologie del tempo una sorta di fede religiosa.

Cionondimeno, la Meloni è la più pericolosa espressione di una nuova ideologia nata poco dopo l’esplosione della globalizzazione che ha trovato la sua ragion d’essere proprio nella fine della politica dei blocchi e nella crisi di quelle ideologie che ne furono l’asse portante.

Giorgia Meloni

Parliamo dell’ideologia populista che in Italia coinvolge le due estreme in un populismo di destra (Lega e Fratelli d’Italia) e uno di sinistra o pseudo-tale (Movimento 5 Stelle o semplicemente il partito di Conte).

Se è vero che finanche il populismo deve inchinarsi a logiche geopolitiche che impongono il non cambiamento di campo anche per il governo di destra che resta filo USA, filo Ucraina e filo Europeo, in Italia il discorso si va facendo diverso e questo impone una riflessione.

Nella logica tipica del populismo, la Meloni sembra già aver dimenticato le rassicurazioni fatte a Mattarella e Draghi, sul piano di una politica economica e sociale che doveva continuare sulla virtuosa traccia indicata dal ex presidente della Banca Centrale europea ed incardinata nell’azione per il PNRR per il rilancio economico del Paese, non solo ma sembrano anche dimenticate le concrete ed immediate emergenze indicate in sede di propaganda elettorale, quando ci si impegnava a fare da subito fronte al caro energia e al conseguente caro bollette, sulle quale sta andando in scena la sanguinosa crisi delle imprese e del lavoro.

Ecco, quindi, che nello sconcerto di molti politologi ed opinionisti politici, le prime mosse della Meloni sono state l’allentamento, anche psicologico, delle misure anti-Covid, proprio mentre l’emergenza e non solo in Italia sembra riesplodere. Misure che riammettono i medici no-vax nelle strutture sanitarie pubbliche, allentano le misure di deterrenza che dovevano indurre al massimo della copertura vaccinale, una sorta di azione alla Bolsonaro che oltre a rimettere in pericolo milioni di persone, alimentano anche le divisioni tra fautori del vaccino e no-vax. Un elemento di divisione di cui l’Italia di oggi non aveva alcun bisogno. A seguire, le misure contro i Rave-party che pur avendo un loro giusto fondamento, per diversi motivi (dall’occupazione spesso di suolo privato o pubblico senza alcuna concessione, per le vicende di violenze che generano, per lo spaccio e consumo anche di droghe pesantissime e vietate), certamente non ci sembra la priorità per un paese che si trova nel pieno di un processo di recessione, con una guerra in Europa i cui sviluppi sembrano ancora pericolosamente imprevedibili, con un’emergenza climatica che non ci lascia più tempo, mentre infuria una crisi energetica che non conoscevamo dal 1973.

Tuttavia, essendo la più pericolosa espressione di quelle democrazie illiberali tipiche del populismo, la Meloni punta a foraggiare quelle forze antidemocratiche che mirano ad azzerare le competenze e il merito (a proposito del quale dovrebbero fischiare le orecchie a parte della sinistra), per portarci ad un’Italia fondata su credenze e pregiudizi che degraderebbero ancor più la già sofferta condizione culturale del paese.

Ed è bene dire che la sofferenza culturale, la scarsità d’informazione, sono anche elementi fondanti della crisi sociale del nostro paese ad in primis del nostro Mezzogiorno.

Presa questa china la Meloni tra poco ci spiegherà che con la cultura non si mangia e poi che la scuola e la ricerca non hanno bisogno di risorse, che le mafie non si battono con i libri e la cultura ma con più polizia, che ci vuole l’ergastolo ostativo per i mafiosi come se fosse stato l’ergastolo a fare paura ai vari Riina o Provenzano.

Il vero pericolo, dunque non è la deriva fascista, il cui peso si è visto a Predappio per le solite nostalgiche manifestazioni per il defunto duce, con alcune centinaia di persone pateticamente in camicia nera, tra gli sberleffi della Tv e della stessa Meloni che si dichiarava lontana da loro.

No, il vero pericolo è la deriva populista. Quella che banalizza la complessità politica a fenomeno da social, quello che ascolta gli umori di un popolo semianalfabeta e li asseconda invece di educarli e guidarli. Quel populismo che ammalia il popolo e che dal popolo si fa ammaliare, senza assumersi responsabilità politiche anche a rischio dell’impopolarità. Quel populismo che si prepara, in nome di un malsano senso della democrazia, a schiacciare i diritti delle minoranze, a tacitare qualsivoglia forma di dissenso nel nome di una dittatura della maggioranza.

La cartina di tornasole delle politiche del governo sarà il reddito di cittadinanza, perché là si giocherà il derby tra il populismo di destra e quello di Conte che proprio sulle promesse clientelari di estendere quel reddito ha costruito la sua modesta fortuna elettorale.

Lì si capirà che senso hanno le parole, le promesse, per la Meloni, perché per troppo tempo, con Berlusconi prima e con Salvini poi, abbiamo assistito ad un corto circuito schizofrenico tra idee e fatti concreti.

Con Draghi il senso dello Stato, sempre cercato da Mattarella, sembrava essersi ritrovato, dopo gli allucinati balletti dei governi Conte. Con le sue prime mosse da premier, la Meloni, quel senso sembra già averlo perso dopo poche settimane. Ma la cosa peggiore è che sembra già smarrita quella via alla concretezza e alla sobrietà su cui Draghi aveva fatto scuola.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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