Nell’Europa “unita” ci sono 28 paesi e si parlano 24 lingue diverse. Il 25 settembre alle ore 18.00, un interessante incontro alla Maison d’Italie, 7, Bd Jourdan, Paris 14e, sarà dedicato alla babele linguistica nell’UE. Ne dà occasione un libro di Antonella Leoncini Bartoli, professoressa di lingua francese e traduzioni alla Facoltà d’Economia de “La Sapienza” a Roma, dal titolo: “Guide de Rédaction et traduction dans le cadre de l’Union Européenne”, che per l’occasione sarà presentato con l’autrice.
A fronte di 6 lingue ufficiali all’ONU (inglese, arabo, cinese, spagnolo, francese e russo) e di 2 lingue ufficiali all’OCSE (inglese e francese) 24 sono quelle ufficiali nell’UE, composta da 28 Stati di cui l’unico ad aver scelto l’inglese è la Gran Bretagna che ne esce (l’Irlanda avendo scelto il gaelico e Malta il maltese)!
Così, tanto l’UE nelle sue regolamentazioni uniforma i requisiti sulle confezioni dei barattoli, quanto invece favorisce la pluralità delle lingue a difesa delle rispettive culture.
In questa circostanza la materia delle traduzioni è dunque ancora più attuale, non solo perché nei sondaggi del 2012 dell’“euro-barometro” più del 60% degli intervistati ne ha riconosciuto l’importanza ai fini dell’educazione, dell’apprendistato, della sanità, dell’occupazione, dell’uso dei servizi pubblici e degli ozi (TV, films, letture, ecc.), ma soprattutto perché l’adattamento delle legislazioni nazionali a quelle comunitarie e alle minacce esterne (terrorismo e cybercriminalità) è ancora più impellente.
A questo fine è innanzitutto necessario che, in cambio della loro partecipazione all’UE, gli Stati membri s’adoperino per la chiarezza delle loro direttive (così sollecitandola ancora di più alla fonte) anche per i riflessi nelle procedure penali. E così si amplifica dappertutto anche il concetto di trasparenza, che previene il ricorso a queste ultime.
La chiarezza nelle traduzioni delle norme comuni nei sistemi nazionali implica dei criteri di semplificazione, finché non confinano con la superficialità.
Al bando, dunque, i sofismi lunghi e inutili, e “le choc de simplication” di Hollande può essere riecheggiato con alcuni dei criteri riportati da Antonella Leoncini Bartoli (Professoressa di francese e traduzioni alla facoltà d’Economia de “La Sapienza” a Roma) nel volume Guide de Rédaction et traduction dans le cadre de l’Union Européenne (edizioni del Centro d’Informazione e Stampa Universitaria, Roma 2016) presentato il 25 settembre alle ore 18 alla “Maison d’Italie” della “Cité Universitaire”, 7 Bd. Jourdan, 75014 Paris, tra gli altri dal Direttore Roberto Giacone, dal Presidente della “Dante Alighieri” Michele Canonica e da Nicola Guarino la cui esperienza giuridica professionale del passato ben si combina per l’occasione con il suo insegnamento all’Université de Paris 12.
Tra questi criteri: titoli e sottotitoli del testo devono già darne un’idea; un’ulteriore schematizzazione verticale ed eventualmente per colonne è preferibile alle frasi ridondanti nei paragrafi sottostanti, in ognuno dei quali è meglio esporre un solo concetto.
La maggior chiarezza nei testi nazionali delle norme dell’UE non può che rafforzarne l’immagine. A questo fine il suo servizio delle traduzioni ha creato negli Stati membri delle “antenne del multilinguismo” incaricate di studiare (nel quadro “3D”: democrazia, dialogo e dibattito) le consuetudini linguistiche locali per meglio adattarvi le traduzioni stesse, alle quali perciò, e sempre per il rispetto della pluralità culturale di ogni lingua, non si può applicare la “standardizzazione”.
Rispetto che arriva fino al punto di riportare in originale e corsivo quei termini che non hanno un’esatta equivalenza nelle altre lingue o gli altri Paesi: esempi: “Länder”, “Bundesamt”, “solicitor”, e rispetto che evita il più possibile gli anglicismi: esempi: “groupe de pression” anziché “lobby”, “crédit-bail” anziché “leasing”, “savoir faire” anziché “know-how”, “médiateur” anziché “ombudsman”.
I principi fin qui esposti fanno parte della guida comune del Parlamento, del Consiglio e della Commissione per i redattori dei testi normativi dell’UE che nelle ultime edizioni (2013) ha tenuto conto dell’ulteriore evoluzione del corpo giuridico derivante dai trattati di Lisbona e che raccomanda ancora la chiarezza delle disposizioni che altrimenti possono essere soggette a un’interpretazione restrittiva da parte della Corte di Giustizia europea; chiarezza anche a costo di ripetere i termini senza omonimie ossia facendo prevalere i concetti precisi sull’estetica.
L’uniformità per le varie lingue può essere forzata solo nei tempi dei verbi: “doit”, “deve”, piuttosto che “shall”. L’uso delle abbreviazioni dev’essere dosato in funzione dei diversi destinatari.
In caso d’ambiguità, meglio rielaborare l’originale piuttosto che la traduzione. Originale che deve comunque tener conto dei diversi contesti giuridici dei Paesi (“common law” o “diritto civile”) cui è destinato, e tener conto del diverso significato di alcuni termini nelle lingue: “control” è più imperativo di “contrôler” o “controllare”; l’“agenda” inglese è spesso “l’ordine del giorno”, il “via” inglese o francese è il “tramite” e non la “voie” o “strada”; l’inglese “competition” è “concorrenza” e non competizione, ecc., per cui sono comunque da scartare le traduzioni letterali.
E anche se si volesse istaurare un “eurojargon”, che faccia assomigliare “illegal” a “illecito”, “disparità” a “differenza”, “omogeneo” a “equivalente” ecc. non c’è motivo di non tradurre (sempre per il rispetto delle rispettive lingue e culture o usi) “package” in “forfait” o “tutto compreso”, “cross border” in “transfrontaliero” o, all’inverso, “rispettare” in “have regard”.
L’introduzione del termine “cybercriminalità” sembra generalizzato ovunque, ma con una diversa frequenza nelle varie lingue perché convive ancora con “crimine informatico” o “crime informatique” o “delitos informaticos” o “hightech Kriminalität”, come “spyware” convive con “logiciel espion” e come “spam” convive con “courriers éléctroniques non sollicités”.
Infine “inter alia”, “sui generis”, “mutatis mutandis”, “ad hoc” ecc., anche se rispettano la cultura dei Paesi latini, non possono che apparire sempre più raramente.
Allora il mancato o attenuato rispetto delle diversità linguistiche è un “tradimento” o diverrà una “transizione” di questi principi?
Sono queste le riflessioni che Antonella Leoncini Bartoli (insieme a tutti i dettagli tecnici, scientifici e metodologici e le numerose citazioni delle opere degli esperti) espone nel libro, la cui presentazione da parte francese è affidata all’esperta in materia Freddie Plassard, Maître de conférence dell’Université Paris 3 Sorbonne Nouvelle e alla Direttrice di Ricerca emerita del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS) Catherine Wihtol de Wenden.
(Ingresso libero)
Lodovico Luciolli