Incontrando Lory Muratti si ha la sensazione di essere catapultati dentro l’essenza del rock ma non solo, perchè dietro il suo nuovo disco “Scintilla” c’è un libro e dietro il libro c’è un lungo viaggio on the road, e dietro al viaggio c’è una ricerca di senso e dietro la ricerca di senso…
Volevo già da subito farti i complimenti per il disco, ma Scintilla non è soltanto un disco, puoi presentarci tutto il progetto artistico?
Scintilla è stata anzitutto una visione, la visione di una donna fugace apparsami durante un vernissage del pittore piacentino William Xerra. Da quest’apparizione è nato un viaggio che mi ha portato “on the road” per lunghi mesi attraverso tutti gli Stati Uniti alla ricerca di “verità”.
Un viaggio disseminato di esperienze e di incontri che mi hanno condotto fino nel deserto del Nevada dove ho partecipato attivamente a un esperimento di collettività abitativa, un festival privo di sponsorizzazioni e basato sulla “radical self expression” chiamato “Burning Man”. Lì, nel bel mezzo di un non-luogo dove “tutto smette di essere”, ho iniziato a scrivere il romanzo che avrebbe dovuto raccontare tutta quell’incredibile esperienza e il viaggio all’inseguimento di Scintilla. Sempre nel deserto, a bordo di un camper, ho altresì pre -prodotto i brani che compongono l’album di cui stiamo parlando e che, a quella storia e quindi al romanzo, è completamente ispirato.
Declinare il mio mondo interiore e le mie opere in musica e letteratura è la chiave di lettura del mio modo di “vivere l’arte” da sempre. Scintilla, da questo punto di vista, è a oggi la mia opera più coerente e quella di cui vado maggiormente fiero.
Cosa hai dovuto lasciare per partire, quanto hai deciso di perdere per trovare, quali consapevolezze hai acquisito durante il viaggio on the road?
È una domanda particolarmente interessante e attinente visto che “lasciare e ricominciare” è stato uno schema che si è ripresentato più volte durante tutto il lungo viaggio che mi ha condotto alla pubblicazione di Scintilla. Non solo il viaggio americano, ma anche il “viaggio dentro me”.
Ci sono imprese che richiedono davvero di “liberarsi di tutto” per poter essere compiute e questo progetto si è preso tutto di me in quel senso. Da un punto di vista spirituale mi sono dovuto spogliare di timori e false credenze e in parallelo, da un punto di vista pratico, ho dovuto investire tutto quello che avevo per rilanciare più volte e continuare lo strano viaggio di fede che avevo iniziato. Credo che in parte sia ancora così. Mi trovo anche ora “on the road”, ma adesso so più chiaramente dove sono diretto.
Presentati e presenta i musicisti e gli artisti che fanno parte di Scintilla.
Lory Muratti e prima di lui Tibe (questo il nome d’arte con cui ho firmato le mie produzioni fino a qui) nasce come musicista fortemente attratto dalla scrittura. Come dicevo poco fa i due “media” sono stati dentro me sempre profondamente legati. Sono cresciuto con la musica classica e il jazz, ma la mia vera estrazione elettiva è quella della new wave, del post punk e soprattutto di certo rock di matrice esistenzialista degli anni ’90 che ho iniziato a seguire e suonare sin da ragazzino. Tutto questo si mescola in me creando qualcosa che non saprei definire e che generalmente ha come obiettivo quello di “emozionare e farmi emozionare”.
I musicisti che lavorano stabilmente con me (Cristian Bartoccetti, Manuel Cazzola, Andrea De Taddeo e Paolo Zangara) sono stati ribattezzati “Testimoni”. Si tratta infatti di un gruppo di persone a me vicine non solo professionalmente, ma anche umanamente. Persone informate sui fatti della mia vita, sul mio percorso interiore, sui miei demoni e su “ciò che è stato”. Sono le persone più adatte, sia musicalmente che umanamente, a riprodurre il mio mondo e le mie visioni rielaborandole attraverso la loro sensibilità.
Oltre a loro all’album hanno lavorato anche Leo Abrahams, eccezionale musicista e producer inglese, che a soli 38 anni ha al suo attivo collaborazioni stabili in varie vesti con nomi del calibro di Brian Eno, Marianne Faithfull, Pulp, Brett Anderson, Imogene Heap e Natalie Imbruglia. Il sound designer Xelius e il geniale violoncellista Zeno Gabaglio. Tutte figure dalla storia affascinante e complessa che hanno contribuito al suono di questo lavoro da me prodotto artisticamente.
E’ un disco veramente intimistico, che tratta sensazioni, punti di vista, considerazioni, citazioni come hai vissuto la stesura e sei riuscito a renderlo condivisibile con chi t’ascolta?
La cosa che sintetizza l’universo di questo disco ai miei occhi è il suo essere nato sul confine tra solitudine e profonda condivisione. La scrittura è qualcosa che nella maggior parte dei casi nasce per me nottetempo nella più totale intimità, ma il passo successivo è sempre quello della condivisione con il mio gruppo di lavoro e con la mia “Congrega Visionaria” che con me rende vivi i miei fantasmi.
Scintilla è un disco registrato “alla vecchia” e “di pancia”. I brani sono stati suonati in presa diretta per ciò che concerne il cuore di ogni canzone (in questo caso basso, chitarra principale, pianoforte e batteria). Un disco che è stato poi però lavorato per circa tre mesi in uno studio che è diventato di fatto la nostra abitazione per tutto quel periodo.
Hai perfettamente ragione nel dire che si tratta di un disco intimista, ma anche da “grandi spazi aperti”, per questo spero che chi con noi lo condividerà possa viverlo nel proprio tempo notturno così come ad alto volume durante i nostri concerti.
Nei testi c’è molto il senso del “ricominciare” e del dare voce a chi non l’ha, è un emergenza che senti come personale o è un j’accuse verso la società in cui viviamo?
Direi entrambe le cose. Da un punto di vista strettamente personale il tema del “ricominciare” è stato ed è alla base del mio “non arrendermi” a una società che molto spesso cerca di scoraggiare le nostre migliori iniziative. Il centro del mio scrivere è posto però sull’individuo e sulla società di riflesso alle sensazioni del singolo. Analizzare la condizione psicologica ed emotiva dell’uomo contemporaneo immerso nel teatro di finzioni dentro il quale ci muoviamo, è una delle mie fascinazioni. Non credo di essere in grado di analizzare la società nel suo complesso e nella sua complessità così mi limito a osservare, raccogliere e raccontare il mio vissuto, sperando che questo possa servire da specchio per altri aiutandoli magari a continuare laddove anch’io a volte avrei pensato di fermarmi o cambiare strada.
In Scintilla c’è molto la riflessione su Dio, la fede e gli angeli: in una società laicizzata come la nostra ha ancora senso?
Credo che abbia senso ora più che mai. Riflettere sul tema della spiritualità e vivere all’interno della stessa penso sia un nostro dovere come individui, una cosa indispensabile per dare un senso alle nostre vite. Parlo però di spiritualità e di divino nel senso più esteso del termine e nel senso più adattabile alla sensibilità e al vissuto di ognuno di noi. Non mi riconosco del tutto in nessuna chiesa, ma nutro una forte spinta verso il “divino”. Atteggiamento che da alcuni potrebbe addirittura essere considerato blasfemo e che io reputo invece essere un modo più che opportuno di manifestare il proprio credo da uomini liberi. Nel brano Scintilla canto infatti: “ed io voglio un dio all’altezza di Dio, un dio senza un nome…”
Questo è esattamente quello che penso e quello in cui credo.
Ascoltandoti mi è ritornata la voglia di quel rock che si percepisce sulla pelle, quello che è stato della New Wave italiana e internazionale: secondo te è possibile ritornare al grande rock di massa oppure rimarrà una realtà parcellizzata e commercializzata?
Il rock di cui parli è proprio quello a cui sono più affezionato. Credo che il grande rock esista ancora, ma è diventato purtroppo, citando Ivano Fossati, “un mestiere piccolo”. Il problema dell’arrivare alle masse con contenuti importanti non sta nel fatto che non esistano più artisti in grado di parlare quella lingua universale, ma nell’annebbiamento delle coscienze che stiamo vivendo. Ora più che mai dobbiamo cercare di togliere il velo che quotidianamente le cose del mondo attorno a noi continuano con grande cura a calare sul nostro sguardo. Il grande rock è lì, suona e scalpita nelle cantine d’America come in quelle del nostro paese, ma è nascosto sotto quintali di falsi idoli e di musica da primo ascolto. Cose facili che ci distraggano un po’; è sotto i milioni di strati di quella spazzatura che abbiamo smesso di sognare ed è da lì che dobbiamo riprenderci il nostro spazio alla luce del sole.
Musicalmente Scintilla è un rock accompagnato da un’ottima session di piano, non sempre usuale per questo stile di musica, suonata come se tessesse la trama di ogni canzone del disco. Come vivi questo strumento e come lo esporterai nei live?
Il pianoforte è il mio primo strumento ed è per me fondamentale in fase di scrittura.
Sono particolarmente contento dello spazio che sono riuscito a dedicargli all’interno di un disco che picchia duro come questo. È un’anomalia di sistema e di questo sono fiero. Dal vivo mi alterno tra chitarra e pianoforte che suono in piedi e in modo decisamente rock. Nella formazione di “Lory Muratti e i Testimoni” il pianoforte è per buona parte componente portante della sezione ritmica con basso e batteria e a tratti si eleva portando chi ascolta verso lidi intimisti e inaspettati.
Posso fare una provocazione: se cantassi Scintilla in inglese molto probabilmente sarebbe un album da chart europea. Perché hai scelto l’italiano? Quali sono i pregi e i difetti della nostra lingua nel rock secondo te?
La tua “provocazione” è assolutamente bene accettata e anzi ti ringrazio della tua considerazione che sposa anche una mia generale sensazione che mi porterà presto a realizzare una versione del disco anche in inglese. L’italiano però è la mia lingua ed è una lingua stupenda, musicale e piena di possibilità espressive. Le mie canzoni nascono così anche per via del profondo legame che intercorre per me tra musica e storia da raccontare. La nostra lingua mi ha sempre aiutato nel raggiungimento di quest’obiettivo ed è la cosa per quanto mi riguarda, più spontanea da mettere in opera. Se devo indicarti quale sia per me il suo più grande difetto da un punto di vista musicale affermo in modo convinto che non ne ha alcuno se non l’essere una lingua minore del panorama mondiale, usata solo in un paese dove la musica e la cultura sono considerate attività altrettanto minori rispetto alle esistenze che viviamo.
Cosa manca a Lory Muratti in questo momento della sua carriera?
Credo che mi mancherà sempre qualcosa e che quell’assenza sarà il motivo per continuare in quello che faccio. In questo momento in particolare quello che mi manca è solo guardare negli occhi le persone là fuori, per le strade, dai palchi, in un teatro, da dentro una canzone e sentire che stanno viaggiando con me.
Pietro Bizzini
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