In occasione della mostra « Il Rinascimento parla ebraico » che si tiene fino al 15 settembre presso il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara (MEIS), l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi organizza il 13 maggio alle 19.00 un incontro con i due curatori, Giulio Busi e Silvana Greco, Simonetta della Seta (direttore del MEIS) e Claire Decomps (conservatrice presso il MAHJ, Musée d’Art et d’Histoire du Judaisme) per discutere dell’importante ruolo giocato dalla minoranza ebraica italiana nella costruzione plurale del Rinascimento. Da Pico della Mirandola a Andrea Mantegna e Cosmè Tura, il pensiero e l’arte rinascimentale parlano anche la lingua del giudaismo. (Prenota qui per l’evento dell’IIC: “Rinascimento plurale. La cultura ebraica in Italia tra XV et le XVI secolo”).
Da Ferrara, Maria Cristina Nascosi Sandri ci introduce nella mostra, in corso nella sua città:
Ha aperto da poche settimane al MEIS di Ferrara, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, per durare fino al 15 settembre, la mostra Il Rinascimento parla ebraico, curata da Giulio Busi e Silvana Greco.
È organizzata dallo stesso MEIS, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Emilia-Romagna, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI, della Comunità Ebraica di Ferrara e del comune locale. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale.
Il Rinascimento fu un periodo aureo del dialogo tra cristianesimo ed ebraismo nel Paese, decisivo per l’identità di una nazione ancora ben lontana dal suo formarsi, ma forte di tante piccole e ben definite identità, diverse tra loro, piene, al contempo, di genialità che si andavano realizzando nei vari campi del sapere e della conoscenza.
Fu l’epoca della grande Arte, della nuova creatività, della ripresa con nuove forze ed idee della tradizione classica che riemergeva, novella araba phoenix, dalle sue ceneri, per proiettarsi verso un Futuro grande unico, come fu, per l’appunto, quel Rinascimento che – non è da dimenticare – nacque da un Medioevo e poi un Umanesimo unici, imprescindibili prodromi, specie quest’ultimo, di una messe di cui tuttora possiam vivere e godere i frutti – se solo riuscissimo a capirli…aujourd’hui !
Durante il Rinascimento, così vivo, quell’incredibile agglomerato di staterelli che poi diverrà l’Italia, influenza il gusto e gli ideali culturali di tutta Europa.
Per usare una metafora un po’ scherzosa, si potrebbe citare una frase dal sapore un po’ paradossale di Orson Welles, a proposito del periodo rinascimentale:
“In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.
Battute a parte, per tornare in argomento, si potrà ben affermare che il Rinascimento italiano non sarebbe esistito senza l’Ebraismo, inserito e ritrovabile più o meno subliminalmente in tante opere, sociali, artistiche, pittoriche.
La mostra del Meis, dunque, affabula sulle sue pareti di questa stagione unica grazie ad un dialogo che si svolgeva nelle città rinascimentali italiane quali Ferrara, Firenze, Mantova, Pisa, Venezia e poi Napoli, Roma tra ebraismo e cristianesimo, un do ut des che proseguirà proficuamente, a volte ‘nonostante’, certo, per i secoli successivi.
E son gli ebrei italiani a dialogare proprio in questa stagione splendida, ‘molto italiana’, che detterà legge a tutta l’Europa che, pure, stava nascendo.
Dalle opere dei sommi artisti che portano nomi come il grande ferrarese Cosmè Tura, padre dell’Officina pittorica ferrarese, una stagione artistica unica, con la sua Pala Roverella, Ludovico Mazzolino, e poi Andrea Mantegna, Vittore Carpaccio, l’immenso Michelangelo, Raffaello, per non citarne che alcuni alla filosofia di pensatori controcorrente, del tutto originali come Giovanni Pico della Mirandola, gli spunti, i riferimenti all’ebraismo son molti e basilari.
Il Rinascimento è nei dipinti, nei cartigli in essi raffigurati, nei libri, nella vita vissuta, quotidiana ed immaginata.
La mostra scorre tra fine Duecento fino a metà Cinquecento, descrivendo le città rinascimentali in cui vivevano e operavano gli Ebrei, le sinagoghe dove si raccoglievano a pregare, le professioni e i mestieri che svolgevano, gli studi in cui eccellevano, e l’arte in cui si cimentavano, inclusa quella esoterica della qabalah.
Son presenti e ricordate pure donne ebree di valore, donne che son al fianco del lavoro del padre, del marito, di supporto ai figli, esiste una cultura di genere che riesce ad imporsi: un nome su tutti, quello di Doña Gracia Nasi.
Il Rinascimento parla ebraico e parla, dunque, anche ‘al femminile’.
Il regista israeliano Amos Gitai, circa un anno fa, fu a Ferrara, proprio al Meis: presentò in anteprima il suo nuovo progetto cinematografico, un film appunto su Gracia Nasi.
Di antico casato ebraico e proveniente dalla Spagna e poi dal Portogallo – era nata probabilmente nel 1510 a Lisbona – aveva dovuto abbandonare i suoi luoghi d’origine dopo l’editto di espulsione degli Ebrei, firmato da Isabella e Ferdinando di Castiglia nel 1492, proprio l’anno della scoperta dell’America (il Mondo Nuovo, la nascita dell’Evo Moderno) da parte di Cristoforo Colombo ed il suo là propugnare la religione cattolica : caso o destino?
In ogni caso ella fu tra le figure più formidabili del mondo, sefardita ed ebraico in generale, dell’epoca.
All’inizio del ’500, seppur per pochi anni, animò anche la vita ferrarese.
Qui, grazie all’apertura dei Duchi d’Este, ebbe il coraggio di riavvicinarsi all’Ebraismo, la religione della sua famiglia, promuovendo la cultura ebraica con passione ed intraprendenza.
Maria Cristina Nascosi Sandri
+ INFO: http://www.meisweb.it/