Su questo tema, ospitiamo un intervento del costituzionalista Giancarlo Rolla: «Rimpatrio dei migranti, il voto popolare può giustificare una lesione della Costituzione?»
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Pochi giorni fa, il 14 ottobre, una nave militare italiana è partita in direzione Albania, con sedici migranti a bordo. Era la prima applicazione di un accordo tra il governo italiano e quello albanese: la costruzione di due centri, sotto giurisdizione italiana ma in territorio albanese, per l’esame delle domande di asilo e gli eventuali rimpatri dei migranti.
L’idea (poi bocciata dalla Corte Suprema di Londra) era già venuta all’ex premier conservatore del Regno Unito Rishi Sunak, che i migranti voleva mandarli in Ruanda. A Giorgia Meloni non è andata meglio: dei sedici migranti, quattro sono tornati indietro subito (due perché in condizioni vulnerabili, due risultati minorenni). Ora, il Tribunale di Roma ha bocciato tout court il trasferimento, sulla base di una sentenza della Corte di Giustizia Europea: nei paesi di origine (Bangladesh ed Egitto) ci sono violazioni dei diritti umani, quindi non si possono applicare le procedure “accelerate” previste in caso di paesi “sicuri”. Gli esponenti della maggioranza hanno contestato la decisione del tribunale, dicendo che sarebbe di intralcio alla politica di un governo legittimamente eletto dai cittadini italiani. Uno scontro istituzionale.
Personalmente, ci sono alcune cose che mi colpiscono, in questa vicenda.
La prima: come è possibile accettare, in Italia, in Europa, in quella che consideriamo la patria (le patrie) del diritto e del rispetto dei diritti umani, il principio di prendere persone che non hanno alcuna colpa (se non quella della povertà, e di venire da situazioni e paesi difficili), e spostarli da un paese all’altro? Come oggetti, come merci, come se fossero niente e non esseri umani? E a cosa serve portarli fuori dall’Italia? In Albania? A rinverdire i presunti “fasti” coloniali di un tempo che fu? A rassicurare gli elettori della maggioranza, dicendo che i migranti vengono portati fuori dalle scatole, per poterli più facilmente dimenticare, scartare come spazzatura?
E poi c’è un secondo aspetto. Evidentemente i principi della separazione dei poteri e del “governo della legge” (come diceva Bobbio) non fanno parte del bagaglio della destra attualmente al potere. Chiunque, buono o cattivo che sia, eserciti un potere che non è limitato da un altro, diceva Montesquieu, presto o tardi sarà tentato di abusarne. Ma la destra italiana sembra invece più affezionata a un principio diverso: chi è al governo comanda, e il resto (siano essi gli altri poteri dello stato, o l’informazione, o l’opposizione), se non sono assoggettati e funzionali al potere, sono intralcio, perdita di tempo, complotto, tradimento, infamia.
Ma il principio della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) è invece fondativo della democrazia liberale. Non è facoltativo. E dovrebbe costituire la grammatica comune di tutti, a sinistra come a destra. Antonio Gramsci parlava del sovversivismo delle classi dirigenti: in Italia mi sembra, a sentire le dichiarazioni di questi giorni, che ce ne sia un esempio purtroppo clamoroso.
Su questo tema, e sulle sue implicazioni giuridiche, pubblichiamo su Altritaliani un intervento di un importante costituzionalista, Giancarlo Rolla.
Maurizio Puppo
Rimpatrio dei migranti, il voto popolare può giustificare una lesione della Costituzione?
di Giancarlo Rolla (Costituzionalista)
Il modo scomposto (e arrogante) con cui la Presidente del Consiglio, diversi ministri e deputati della maggioranza, editorialisti di giornali hanno reagito alla decisione del giudice di Roma (competente in materia) di non autorizzare il trasferimento in Albania di alcuni migranti in attesa di essere…in Egitto evidenzia come essi ritengano che la legittimazione popolare ricevuta dal voto li autorizzi a considerarsi al di sopra delle leggi e della stessa Costituzione. In Italia è stata introdotta, con scarso senso dell’opportunità e un pizzico di cinismo, come risposta al tragico naufragio di migranti a Cutro (94 morti, di cui 35 bambini, oltre a diversi dispersi): solo con la conversione in legge del c.d. decreto Cutro, si è pervenuti alla disciplina di una procedura accelerata di frontiera autonoma e differenziata dalle altre procedure. Inoltre, va preliminarmente precisato che in base al Protocollo siglato con l’Albania, questo ordinamento consente l’uso di alcune aree al solo scopo di svolgervi le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla legge italiana, in tal modo l’Italia ha ampliato “creativamente” le proprie frontiere all’interno di uno Stato sovrano.
Anche dal punto di vista della memoria storica è abbastanza inquietante che l’Italia abbia ritenuto di dover ingrandire i suoi confini estendendoli in Albania, come già avvenuto durante il fascismo. Ad ogni modo, come ha ripetutamente affermato la Corte di giustizia europea, ogni Stato può usare i nomi di fantasia che desidera, ma non può pretendere di farne derivare conseguenze giuridiche lesive di diritti fondamentali, cioè in ogni caso i diritti riconosciuti in ambito europeo debbono essere sostanzialmente garantiti.
La reazione del Governo alla determinazione del giudice conferma ulteriormente che non tutti i nostri rappresentanti accettano alcuni principi cardine della nostra Costituzione: l’art.1 in base al quale la sovranità appartiene al popolo, ma non è assoluta in quanto la esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione; l’art.13 Cost il quale afferma che “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria” (principio generale che riguarda tutti gli individui che si trovano nel nostro Paese); l’art. 117,1 primo comma Cost. il quali precisa che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato nel rispetto…. dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
La decisione presa dell’esecutivo e non legittimata dall’autorità giudiziaria competente avrebbe, quindi, violato tutti questi articoli della Costituzione. La strategia di istituire dei centri di rimpatrio fuori dal territorio dello Stato è nata da un innamoramento della Presidente del Consiglio per l’idea perseguita dal precedente premier di trasferire cittadini stranieri dal Regno Unito in Ruanda. Tuttavia, la presidente italiana non sapeva – o non era stata informata dai molti consiglieri che la circondano – che tale progetto ha avuto un esito infausto, in quanto il provvedimento ministeriale che prevedeva il trasferimento di almeno sei cittadini stranieri dal Regno Unito al Ruanda è stato definitivamente annullato il 15 novembre 2023 dalla Corte Suprema (“Supreme Court”) britannica sulla base dell’argomentazione che vi era “un rischio reale che le autorità ruandesi non valutassero adeguatamente le domande di asilo delle persone trasferite, così esponendole ad un concreto rischio di violazione dei loro diritti fondamentali in conseguenza di un rimpatrio o di ulteriore trasferimento verso un altro paese non sicuro.
Un altro elemento non può essere trascurato: l’Italia aspira a vedersi riconosciuta la presenza all’interno della Commissione europea di un Vice-Presidente con poteri esecutivi. Tuttavia, nello stesso tempo intende prendere dei provvedimenti che vanno contro le determinazioni di un altro organo fondamentale dell’Unione europea, cioè la Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha competenze assimilabili a quelle della nostra Corte di Cassazione e Corte costituzionale.
Il Governo italiano non può non sapere che ripetutamente la Corte di giustizia si è pronunciata più volte e in modo univoco in materia precisando che il rimpatrio è possibile solo verso Paesi “interamente sicuri”, nel senso che la garanzia del rispetto dei diritti deve operare sostanzialmente su tutto il territorio nazionale. D’altra parte, la decisione presa nei giorni scorsi dal giudice di Roma non deve stupire dal momento che già diverse volte i giudici nazionali hanno valutato l’impossibilità di riconoscere come ‘Paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della “procedura di frontiera ». Inoltre, tale valutazione deve essere compiuta nel territorio italiano, non certo in uno Stato terzo come l’Albania.
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Giancarlo Rolla è un giurista italiano. Ha insegnato Diritto costituzionale, Istituzioni di diritto pubblico, Diritto pubblico comparato nelle Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari e Genova, alla Bocconi di Milano e nella Facoltà di economia di Siena, di cui è stato anche Preside. Ha svolto un’intensa attività nel campo del diritto, dirigendo i dipartimenti di diritto pubblico dell’Università di Cagliari e di Diritto dell’economia dell’Università di Siena, e insegnando ai Master in Derecho constitucional europeo di Granada, Derecho comparado del Centro de estudios políticos y constitucionales di Madrid e al Master dell’ITAM di Città del Messico.