È sempre difficile trovare nel voto amministrativo ragioni che sono propriamente e strettamente di politica generale.
Tuttavia in questa tornata amministrativa, appaiono degli elementi che sono al di là delle ragioni puramente locali. Certo, alcuni risultati hanno molto di locale, si pensi alla débâcle della ormai ex sindaca di Roma Raggi, che paga anche per i propri demeriti oltre che scontare l’evidente crisi dei 5 Stelle, che è rimbalzata clamorosamente dal nord al sud del Paese.
C’è una lezione politica che si trae da questo voto, caratterizzato da un astensionismo che ormai è da allarme rosso. Per la prima volta, in diverse città hanno votato meno del 50% degli aventi diritto, segno di una cronicizzazione della sfiducia (specie nei settori sociali meno protetti) nella democrazia.
La sconfitta comune dei populismi di “destra” (la Lega di Salvini) e di “sinistra” (i grillini di Conte) sono il segnale dell’affanno dei sovranisti che hanno perso d’appeal sulle popolazioni di ogni zona di Italia.
Finita l’ubriacatura dei Vaffa grillini, le intemperanze da spiaggia di Salvini, chiarito che con il Covid non si scherza e che occorreva Draghi, altro che Conte, per rimettere la barca sulla giusta rotta economica, gli italiani, dopo due anni di sofferenze per l’epidemia e con 130.000 morti che ci chiudono il cuore, si sono riscoperti pragmatici.
Ne escono ridimensionati i social, che evidentemente pur essendo dominati dagli opposti estremismi, hanno fatto poca presa, incidendo poco sull’orientamento elettorale.
Rimane però allarmante, per la qualità della nostra democrazia, il dato dell’astensionismo, che segnala un ormai endemico scontento popolare verso una classe politica priva di progettualità e incapace di guardare oltre il proprio ombelico.
Proprio per questo i vincitori hanno ben poco da brindare, la lezione è chiara e va recepita.
Se sembra ormai chiaro che il populismo è all’agonia e che non pagano le ambiguità leghiste e di Salvini, come sul tema dei vaccini e nemmeno i tediosi e provocatori spot da nostalgici fascisti e nazisti, se va sempre più chiudendosi quella fase storica che Belpoliti chiamava con un suo ottimo libro: L’età dell’estremismo, la sinistra non può ridere. Appare infatti evidente l’assenza di un piano politico chiaro. Letta e soci si arroccano dietro a Draghi (e fin qui fanno bene) senza chiarire cosa si vuole per il futuro: più ambiente o più industrie, più lavoro o più reddito di cittadinanza, per fare solo due esempi. E poi quali alleanze? Più sinistra o più centro? Più socialismo, più grillismo o più liberalismo?
Sono temi non accademici e nemmeno da salotto. In queste scelte c’è il futuro delle nostre città, il futuro delle sempre più fragilizzate giovani generazioni, c’è per la nostra parte una fetta del futuro dello stesso pianeta, il tutto nell’era del dopo Covid che ormai è alle porte.
Sono solo alcuni dei temi mai chiariti dall’attuale PD. Per Zingaretti c’era o Conte o morte, poi finalmente, con qualche piccolo aiuto, è arrivato Draghi. Ora il PD è pro-Draghi e domani?
Nella sinistra si naviga a vista, ma molto peggio sono le divisioni a destra dove ormai a parte gli sdolcinati abbracci tra la Meloni e Salvini appare evidente che i due sono in piena lotta per il proprio consenso, con Salvini sempre più nel governo, sempre più europeista, e la leader di Fratelli d’Italia all’opposto e all’opposizione di un governo che vede convintamente impegnato la Lega e i moderati di Forza Italia, con posizioni antitetiche con la loro (sulla carta) alleata.
Uccisa in culla l’idea del partito unico di destra, anche la costruzione di un programma futuro comune per l’Italia appare lontano dal divenire. E poi c’è la questione leadership che è un rebus di difficile soluzione. Va aggiunto che la crisi della Lega spezzata in due tra movimentisti (Salvini) e istituzionalisti (Giorgetti), è ossigeno puro per i moderati di Forza Italia che si giovano proprio di questa crisi dell’estremismo e di questa voglia di pragmatismo espresso con il voto di domenica dagli italiani.
Probabilmente in queste amministrative, i cittadini più che di astratte polemiche politiche o infinite questioni tutte interne ai partiti, chiedevano di avere meno buche per strada, meno alberi vecchi e malati che ad ogni tempesta di vento crollano distruggendo auto, forse chiedevano meno inondazioni e qualche giardiniere in più per la cura del verde pubblico, magari più asili nido e più luce pubblica. Tutte cose di cui, incredibilmente, la politica non parla.
Forse è proprio questo il segnale che si ricava da queste elezioni amministrative: siamo stanchi di una politica che si gioca solo in TV (e il crollo di ascolto dei talk show politici la dice lunga) o peggio sui social, siamo stanchi di essere interpellati, per poi non ascoltarci, siate pragmatici, diamo risposte concrete e innovative sui tanti temi che assillano la nostra società.
Lasciate perdere (ma davvero) le realtà virtuali dei sondaggi e occupatevi di più degli italiani, quelli reali, in carne ed ossa.
Nicola Guarino