Le peggiori mistificazioni nei nostri ultimi anni si sono avute sul valore dell’Uguaglianza, uno dei cardini della democrazia moderna. Sì, moderna perché nell’Atene democratica, per vedere un po’ di parità si dovette attendere Pericle. Per molti anni infatti la democrazia ateniese non riconobbe diritti, se non limitatissimi, agli stranieri, per non parlare delle donne, e finanche il reddito pesava nelle decisioni del dèmos.
In effetti l’articolo 3 della nostra Costituzione andrebbe interpretato con attenzione cosa che i giuristi fanno e che i nostri politici, spesso privi di preparazione culturale e di onesta intellettuale, fanno molto meno.
In realtà, se il primo comma di quell’articolo costituzionale esprime un concetto generale ed astratto, sostenendo che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, il secondo comma, in modo molto più sostanziale e pragmatico, aggiunge che: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Colpiscono due cose che derivano dall’enunciato del costituente. La prima è che le diseguaglianze impediscono lo sviluppo (evidentemente libero) della persona umana. La seconda è la consapevolezza che l’uguaglianza, o meglio la ricerca dell’uguaglianza, sia sempre in divenire. Infatti è compito della Repubblica rimuoverne gli ostacoli.
Peraltro, nella norma si accenna alla libertà, argomento a cui è dedicato l’articolo precedente, questo spiega un’altra cosa che si è uguali davanti alla legge nel rispetto tuttavia delle tante differenze che compongono il nostro Paese. Differenze, storiche sociologiche e finanche linguistiche e direi personali, caratteriali. Questo, viva il Dio, è per dire che, come ricordava nel film “Palombella Rossa” Nanni Moretti: “Siamo uguali, ma siamo diversi”.
La nostra Costituzione, diversamente dalle esperienze di altri paesi, riconosce, garantisce e quindi tutela le differenze, le diversità, e mi sento di aggiungere, riprendendo il pensiero dell’antropologo Aime, che è proprio la diversità che rende viva la cultura di un popolo. Pertanto, la legge nel suo attuarsi, e la giurisprudenza nei suoi provvedimenti interpretativi e nelle sue sentenze, deve tenere conto di ciò. Ad esempio mandare in prigione uno studente di Oxford o Al Capone non ha proprio lo stesso valore e la stessa efficacia e soprattutto può essere iniquo, specie se la pena deve avere un valore riabilitativo.
Ad esempio, i recenti provvedimenti legislativi, i famigerati DPCM, di cui il governo Conte ha abbondato, sono risultati spesso illogici ed iniqui, magari la Corte Costituzionale appena ne avrà occasione ne farà giustizia.
Perchè chiudere i ristoranti alle ore 18,00? E perchè i supermercati sono aperti e i cinema o le palestre no? Quasi che il governo abbia voluto riconoscere una prevalenza del diritto alla somministrazione di alimenti rispetto al diritto allo sport e alla salute o al diritto alla cultura. Una valutazione che, comunque la si voglia vedere, è arbitraria ed iniqua specie per chi gestisce, per restare all’esempio, una palestra o una sala cinematografica.
Certamente il guardiano e testimone dell’eguaglianza è il “merito”, in Italia, uno sconosciuto.
Il merito evidentemente è frutto di talento, ma anche di lavoro, sacrificio, abnegazione e, perché sia riconosciuto, occorre che non vanti privilegi. È evidente, ad esempio, che un figlio di una famiglia benestante e colta sia avvantaggiato nei suoi progressi scolastici rispetto al figlio di una famiglia povera, incolta e che magari vive in una depressa periferia urbana o in uno sperduto villaggio in campagna. Ma se vi è un’uguaglianza di partenza (e qui compito della Repubblica sopperire alle differenze sociali di base, spesso inevitabili nella realtà fattuale), il merito va riconosciuto.
Invece, troppo spesso in Italia, ma devo dire anche altrove, questo riconoscimento non avviene. È vero che da sempre, ingiustamente, il merito gode di pessima letteratura politica. A destra troppo spesso nei potentati sono prevalsi il favoritismo, il nepotismo, la pratica clientelare, spesso condivisa anche dalla sinistra storica. Per cui il meritevole era spesso penalizzato a vantaggio di parenti, amici, amanti, o procacciatori di voti del politico e non solo. Identiche pratiche si sono avute con i baronati universitari, nelle Pubbliche Amministrazioni e finanche nella magistratura. Mi sono chiesto come mai i figli dei giudici (concorso pubblico) fossero così spesso a loro volta giudici e per non dire di altre autentiche caste come quella giornalistica. Date un’occhiata alla televisione e ai giornali e se avete passato i sessant’anni troverete una quantità di giovani giornalisti figli e nipoti di già note firme. Per non parlare del settore scientifico e della ricerca.
L’orrendo collettivismo dell’estrema sinistra ha frustrato e penalizzato da sempre il merito. Ero ragazzo e al liceo, gli agguerriti gruppi dell’extreme gauche sostenevano il sei politico (in Italia il voto minimo per essere promossi a scuola n.d.r.) e l’obbligo della promozione per tutti i figli di famiglia proletaria anche se avessero trascorso l’anno a guardarsi l’ombelico.
Ma ancora l’anno scorso a Parigi, dove insegno all’università, ho avuto una responsabile (passionaria per il terrorismo B.R. e simpatizzante degli anarco-insurrezionalisti), che siccome c’è l’epidemia di Covid ha imposto, sostenendo che la libertà didattica va piegata alle logiche del collettivismo (e all’università l’estrema sinistra purtroppo pesa ancora), che bisognava promuovere tutti con voto 16/20, come dire che in Italia si dovevano promuovere tutti con voto 27/30. Pertanto, alla fine della fiera, avendo allievi che avevano 4/20 sono stato obbligato a mettergli 16. Ma la cosa per me ancora più grave è stata che, avendone altri che avevano 18/20, ho dovuto abbassargli il voto perché l’estremista in questione mi ha spiegato, con toni che non ammettevano repliche, che siccome siamo tutti uguali, tutti dovevano avere lo stesso voto. Insomma a quei talentuosi ragazzi che avevano sgobbato per avere un ottimo voto ho dovuto, volenti o nolenti, abbassarglielo.
Ma anche tra i populisti, notoriamente democratici illiberali, il merito non conta nulla. La loro tesi è che “uno vale uno”, un concetto che sembra espressione di uguaglianza ma che in realtà è profondamente iniquo. Uno non vale uno. Io non valgo Pasolini, e un ignorante non può, non essendone capace e non avendone le qualità, contraddire chi ha esperienza e conoscenza. Oggi assistiamo a persone che senza nessuna competenza confutano solide realtà scientifiche, censurano virologi di fama mondiale sostenendo arbitrariamente e nel silenzio complice di tutti, che i vaccini non vanno fatti, che sono pericolosi e il peggio è che sfruttando la credulità popolare godono finanche di seguito. C’è stato tra gli altri un parlamentare italiano dei grillini che è arrivato a dire che: “Nel mare esistono le sirene” ed è ancora là, nella Camera dei deputati.
Decisamente e fortunatamente, nel bene e nel male, non siamo uguali, siamo tutti diversi. Per fortuna non siamo omologati come certo statalismo di sinistra o populista vorrebbe, siamo tutti diversi, ma vorremmo essere riconosciuti per il nostro merito e il nostro demerito.
Insomma, date a Cesare quel che è di Cesare…ma questo per fortuna la Costituzione lo dice e i costituenti lo sapevano. Occorrerebbe solo dirlo con forza anche ai politici che ci guidano, in questi anni oscuri.
Nicola Guarino
Enfin une parole libre.
La parola d’un ignorante non vale quella d’una persona competente. Dobbiamo cambiare di modello educativo. Si deve apprendere e non indovinare le regole…. Riconoscere il merito del merito e della conoscenza, l' »auctoritas » degli antichi Romani.
Il merito è amico del tempo, della tenacia, del lavoro. Su quest’ultimo tema bisognerebbe riflettere molto. Lavorare stanca ma arricchisce e fortifica le coscienze. Nella ricerca il lavoro è movimento, elargire gli orizzonti, non semplificare. E il principio zen dell’arco e della freccia, in questo entra anche la gioia della fede.