È evidente a tutti, che nelle immagini di sofferenza di bambini, donne e uomini che a Gaza lottano per la sopravvivenza contro la fame, sotto il fuoco dei soldati israeliani e a volte dei miliziani di Hamas c’è qualcosa di insopportabile, di inguardabile e inaudito. La determinazione con cui Netanyahu conduce la guerra contro i terroristi di Hamas che portarono orrore e lutti tra i coloni ebrei al confine di Gaza, appare a noi europei qualcosa che non può più giustificarsi e nemmeno concepirsi.
Tuttavia, se si vuole fare dell’analisi politica, in questo caso di geopolitica, allora occorre, sia pure con difficoltà, mettere da parte il fiume di emozioni che ci travolge e cercare di capire come concretamente si può uscire da tanta tragedia e riprendere quel percorso a ostacoli per arrivare a una definitiva soluzione nel conflitto israelo/palestinese.
Ci si domanda sul valore e sulla efficacia del recente riconoscimento dello Stato palestinese, promosso da Macron in Francia e che è stato ripreso anche dal governo inglese. Da un punto di vista puramente simbolico si può considerare la mossa del presidente francese un atto forte, probabilmente motivato anche dalla fortissima presenza musulmana in Francia, un gesto che non a caso è stato ripreso dalla Gran Bretagna che ne ha un’analoga consistente presenza nel suo suolo.

In realtà, la sensazione è che questo gesto da una parte sottolinea la disperazione di chi assiste al martirio di quel popolo, dall’altra parte riflette come, finanche in questa occasione, l’Europa non riesca a tenere una linea comune di politica e di intervento.
Francamente, il riconoscimento dello Stato palestinese ora, se non fossimo innanzi a una tragedia, suona finanche ridicolo. Il problema non è tanto riconoscere la Palestina, cosa peraltro che ben prima della Francia avevano già fatto un centinaio di paesi nel pianeta, il tema vero è liberare Gaza e la Palestina da quei numerosi gruppi terroristici che, approfittando della drammatica realtà di quelle regioni, conducono, fuori da ogni ipocrita demagogia, la loro personale guerra alla civiltà occidentale e al sionismo.
Equivoca presenza si diceva, perché se è vero che una parte dei palestinesi sogna di liberarsi del giogo dei filoiraniani, un’altra parte, specie i giovani, ne vanno ad ingrossarne le fila, esprimendo in ogni occasione l’odio verso gli ebrei (clamorosa la vicenda della studentessa di Gaza che ospitata in Francia a spesa dello Stato che ne ha fornito casa, borsa di studio e viaggio, salvo poi scoprire che la stessa inneggiava sui social a Hitler e allo sterminio degli ebrei, postando truculente immagini di ebrei torturati e uccisi).
La chiave per la soluzione in realtà resta Hamas, questo è il vero punto, come ha evidenziato la Lega araba che insiste perché Hamas sia disarmata e lasci la Palestina ai palestinesi. In assenza di questo risultato, la mossa di Macron e altri finisce per essere pura demagogia che concretamente non risolve nulla.
Non è certo il riconoscimento di uno Stato che mai come ora non è esistente che fermerà Israele dal proposito di liquidare i terroristi che ne minacciano la frontiera.
Il vero tema è di liberare la Palestina, restituire all’imbelle Autorità Nazionale palestinese i suoi territori, premere perché altrove, come in Cisgiordania si arresti il processo di colonizzazione e si riprendano i fili di quel trattato di Abramo che stava avviando un processo di riconoscimento reciproco tra le parti in causa e di pacificazione.
Del resto l’attacco di Hamas del 7 ottobre del 2023, con tutta la sequenza di orrori che ha trascinato fino ad oggi, era mirante proprio a questo: interrompere, se non liquidare, il trattato di Abramo per impedire la pacificazione in quei territori.
Meno retorica, meno simbolica ma più pragmatica appare la posizione del governo italiano, il quale mira al riconoscimento dello Stato palestinese, ma di uno stato che sia sovrano e non succube del fondamentalismo musulmano, il punto è arrivare all’obbiettivo di rendere concreto il famoso teorema dei due popoli e due Stati.

Assegnare la colpa solo a Israele (quale colpa? Quella di essere una democrazia occidentale?) è un evidente errore che in qualche modo aiuta proprio quel terrorismo che tanto male ha fatto anche qui in Francia.
Sul punto occorrerebbe anche una presa di coscienza proprio dei palestinesi che a mezza voce, a bocca storta, criticano i terroristi senza mai arrivare a chiedere esplicitamente, anche attraverso la propria autorità nazionale, di sgombrare il campo, una posizione controproducente e che fa da alibi allo stesso Netanyahu per proseguire nel suo massacro.
Israele ha la fortuna di essere una democrazia occidentale e quindi lì è possibile esprimere il dissenso e anche agire politicamente contro l’offensiva della destra più estrema che governa quel paese, purtroppo, ciò manca nelle realtà del mondo arabo dove decisamente i valori della democrazia occidentale non rientrano nella cultura politica locale e pur tuttavia questo non deve impedirci, senza dimenticare l’orrore per i bambini di Gaza che muoiono di malnutrizione, di perseverare comunque per le vie più giuste e utili per una soluzione definitiva di un problema che ancora oggi appare senza soluzione.
Nicola Guarino




































Non si puo’ mettere sullo stesso piano i Palestinesi e Israele. I palestinesi non hanno territorio, non hanno stato, non hanno esercito, non hanno economia, vivono da 80 anni in campi di profughi, sotto l’occupazione dell’esercito israeliano, non hanno passaporto, non hanno cittandinanza, non si possono muovere, uscire dal loro territorio, circondati da mura.
Vivono della protezione internazionale. Israele è uno stato ricco, che ha l’esercito più tecnologico al mondo e vende armi anche in Europa. Se L’Autorità palestinese ha perso ogni autorità, è perché Israele l’ha voluto imprigionando i suoi dirigenti, fra cui Marwan Barghuti da 20 anni nellle carceri israeliane e questo ha favorito Hamas.
Il 7 ottobre non è un fulmine a ciel sereno ma la conseguenza di una politica israeliana agressiva, che non vuole uno stato palestinese.
Israele non vuole una rappresentanza autorevole dei Palestinesi perché vuole impossersarsi di tutta la Cisgiordania (il grande Israele messianico) e lo fa favorendo l’istallazione illegale di coloni agressivi, espropriando i Palestenesi, non rispettando le risoluzioni internazionali dell’ Onu.
Rifiutando di far entrare gli aiuti umanitari a Gaza, bombardando continuamente una popolazione alla stremo, Israele sta commettendo un genocidio.
L’Europa sta assistendo a un genocidio senza fare nulla, bisognerebbe boicottare la vendita d’armi e gli accordi commerciali con Israele.
Il minimo che si possa fare è appunto il riconoscimento anche se simbolico di un ipotetico stato palestinese, per dire alla comunità internazionale che i Palestinesi hanno diritto anche loro a un territorio, uno stato e spero che molti paesi lo faranno.
Gentile lettrice,
è fuori da ogni dubbio ed è la posizione di tutta la politica italiana, che occorre arrivare a due popoli e due Stati. L’autorità palestinese ha perso potere e prestigio non tanto e non solo per l’opera dello Stato israeliano ma anche per il sostegno dei palestinesi che nelle elezioni hanno premiato l’oltranzismo di Hammas e di altri gruppi fondamentalisti.
Dal resto le eloquenti immagini del 7 ottobre hanno mostrato i palestinesi di Gaza (e non solo) in festa per la strage perpetrata da Hamas, arrivando a sbeffeggiare, insultare e colpire i poveri ostaggi, spesso donne e bambini, catturati da Hamas.
Credo che l’odio dei palestinesi si assomma a quello degli israeliani e francamente trovo difficile giustificare i primi a danno di una democrazia che ancora oggi garantisce libertà al suo popolo.
Grazie
Grazie per i bei quadri della rubrica estiva, e soprattutto per il saggio di Nicola Guarino. L’articolo di N. Guarino è un capolavoro! Intelligente, sottile, obiettivo, e sensibile. Spero sarà letto da molte persone (e governi).
Buon Ferragosto 🌞
Colpe collettive e reciprocità
“Sono troppe nelle ultime ore le voci che denunciano che a Gaza i feriti non vengono soccorsi, che morti e feriti sono lasciati insieme fra le macerie. E molti sono bambini! Occorre avere il coraggio di fermare Hamas, ma occorre avere il coraggio di alzare la voce e di dire ad Israele che non è questa la strada che la porterà a vivere in pace e sicurezza. Così come questa non è la strada che porterà i palestinesi a vivere con dignità in uno stato senza più occupazione militare, libero e sovrano, ma che è stato ridotto alla fame.”
Queste righe sono tratte da un articolo, “Gaza: difesa o massacro?”, pubblicato dalla rivista “Intervento nella Società, gennaio/marzo 2009 e di cui è autore don Gianni Toni.
Avete letto bene: gennaio/marzo 2009. Questa denuncia è quindi ben anteriore al 7 ottobre 2023, data indicata da molti come la causa e l’inizio dello spargimento di sangue in atto nella martoriata Gaza.
Lo spaventoso conflitto in Palestina mette in evidenza un principio su cui è utile riflettere: la reciprocità, ossia il voler restituire ciò che si è ricevuto. Natanyahu fa bombardare la popolazione palestinese senza fare troppe distinzioni. Vuole restituire, con gli interessi, la morte e il sangue che i terroristi di Hamas hanno inflitto agli israeliani con la loro feroce mattanza di un giorno. I combattenti di Hamas, da parte loro, hanno voluto restituire il dovuto per le morti, le umiliazioni e i tormenti subiti dai palestinesi nel corso degli anni. Reciprocità, in questo caso, vuol dire anche vendetta. Il legame collettivo che esiste all’interno di una Nazione, o anche di una comunità, di una collettività, di un gruppo, con una storia distinta è fonte di un’encomiabile solidarietà tra i membri del gruppo, ma alimenta l’avversione che i membri del gruppo provano per le entità collettive nemiche.
Gli ebrei della diaspora potevano vivere, nei paesi che li accoglievano, secondo la propria Legge e i propri costumi. Essi rifiutavano l’adesione ai valori storici della terra che li ospitava e rigettavano per la propria comunità gli usi e i costumi locali. Gli israeliani, oggi, violano il principio di reciprocità, a casa loro, nel loro Stato esclusivista, che è a carattere etnico religioso. Ha scritto l’intellettuale israeliano Avraham Yehoshua: “Nelle nostre relazioni con le nazioni del mondo, noi violiamo un principio di reciprocità.” Se infatti le altre nazioni avessero associato nel passato, quando noi ci rifugiavamo da loro, “una appartenenza religiosa ad una appartenenza nazionale specifica, [il normale processo d’integrazione e quindi d’assimilazione veniva rifiutato dagli ebrei, in perenne attesa di tornare a Gerusalemme] l’identità nazionale specifica del paese da cui venivamo accolti, noi non avremmo avuto modo di esigere uno status civico e nazionale tra loro, e tutti gli ebrei avrebbero dovuto abbandonare la diaspora e tornare in Israele”.
La mancanza di misura dimostrata da certi dirigenti d’Israele, vedi Netanyahu, nei confronti dei palestinesi, spesso trattati come se appartenessero ad un’umanità inferiore, rischia di avere una grave ripercussione sull’enorme capitale morale che gli ebrei hanno accumulato in Occidente quali membri di una comunità vittima nei secoli e nei millenni di un odio inspiegabile rivolto contro di loro, il fatidico antisemitismo. L’antisemitismo, secondo la Doxa, farebbe parte del nostro DNA. Ebbene, la storia degli ebrei, nati per essere sempre e solo vittime, rischia di subire un riesame alla luce di questi tremendi eventi. I quali ci dimostrano, stando al trattamento fatto subire alla popolazione palestinese, che gli ebrei non sono poi tanto dissimili da noi, non ebrei. E spero, poiché li assimilo a noi, di non essere accusato di revisionismo o di antisemitismo: accuse che fanno ancora paura.