Il 5 maggio è la morte di Napoleone, duecento anni fa.
In Francia le commemorazioni ci saranno ed immagino intense, anche se si sono scatenate polemiche sulla sua figura e la sua eredità.
Colpa del virus ma anche di una stanchezza tutta nostra, da noi in Italia si celebra meno.
Eppure l’occasione si presta alla risposta alla fatidica domanda manzoniana. Fu vera gloria?
Manzoni rinvia. Ai posteri l’ardua sentenza. E i posteri siamo noi.
La posterità napoleonica certo non sembra all’altezza del mito, è piuttosto indaffarata in tafferugli vari, in percorsi aspri di sopravvivenza. In una parola non sa più cosa sia la gloria e perchè Napoleone ne sia considerato il sacerdote supremo.
I tempi, descritti da Manzoni con estrema rapidità ed efficacia, dei manipoli celeri che sui campi di battaglia eseguivano impetuosamente il dettato del generale, sono lontani. I campi di battaglia sono le frontiere sanitarie ormai. Lontani sono il clangore delle tube, gli inni guerrieri, l’entusiasmo ed il sangue scorrente a iosa nei campi della gloria. La celebre parola.
La gloria era il tema della cultura giovanile romantica. Essa sognava di spendere la vita in cambio di essa nei campi di battaglia.
La folgore della gioventù napoleonica celebrata da Carducci nei sonetti di Ca ira, ne ha costruito il mito. Desaix, Kellermann, lo stesso Murat, promossi generali appena ventenni perché credevano alla gloria.
Ma quella di Napoleone fu vera gloria?
Guardata dal suo punto finale, dalla conclusione, da Waterloo e dalla morte il 5 maggio a S. Elena, certo no.
La terra al nunzio della sua morte resta attònita, scrisse Manzoni nell’ode “Il cinque maggio”. La terra che aveva atteso da lui il fato, quando dopo gigantesche battaglie il generale divenuto imperatore divideva i popoli, ne alterava i confini, li distribuiva a fratelli e sorelle.
La proposta che viene da più parti è di trascurare il bicentenario perchè Napoleone fu dittatore, megalomane, misogino, trafugatore di opere d’arte, colui che ha ripristinato nel 1802 la schiavitù abolita dalla Rivoluzione francese.
Eppure il sogno della gloria si univa in lui con quello di un’unità europea.
Sogno fallito, ostacolato mortalmente dall’Austria, ma sogno grandioso.
E non era lo stesso sogno di unità che animò Alessandro Magno?
E non è esso singolarmente attuale?
Sogni che si infransero con la morte prematura e misteriosa dei due condottieri.
Ma l’uomo è ciò che sogna.
Non ciò che mangia ma ciò che sogna.
E dunque sotto questo profilo fu vera gloria quella di Napoleone.
Ne sono convinta anche se ora la sua cruenta polvere sembra dissiparsi al vento dell’oblio.
Carmelina Sicari
Link interno : “Bicentenario di Napoleone. Macron media tra Cancel Culture ed esaltazione della Grandeur” di Paolo Modugno
Link esterno: Spoliazioni napoleoniche: le ragioni giuridiche e culturali delle asportazioni, un articolo di Finestre sull’Arte del 6 maggio 2021 – Tra il 1796 e il 1815, le armate di Napoleone sottoposero i territori occupati in Italia a ripetute spoliazioni, che condussero in Francia una gran quantità di capolavori. Quali i principali? E quali le ragioni giuridiche e culturali con cui si motivarono le asportazioni?