Pregi e difetti dell’essere italiani – Parte 1 : È razionalmente possibile affermare che esistano peculiarità caratteriali, e quindi comportamentali, che identifichino un popolo agli occhi del mondo? È quello che andremo a scoprire attraverso le opere Corinna o l’Italia (1807) di Mme De Stael (in questa prima parte della trattazione) e Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degl’italiani (1824) di Giacomo Leopardi (nella seconda).
La scrittrice affronterà la tematica attraverso la voce dei protagonisti del suo romanzo, ricercando un confronto storico e sociale fra l’Italia e l’Inghilterra, affrontando così questioni di grande attualità come il compito dell’arte, l’orgoglio nazionale, la corruzione politica, la lealtà intellettuale, la fedeltà di coppia e l’importanza della morale.
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«Gli italiani non pensavano a dimostrare il loro entusiasmo;
gli si abbandonavano, perché lo sentivano»
Madame De Stael, nel suo celebre romanzo Corinna o l’Italia, attraverso i personaggi di Corinna e Lord Nelvil, attua un confronto metaforico fra l’Italia e l’Inghilterra, due paesi molto diversi fra loro per storia e ordinamento politico e contraddistinti da un opposto carattere nazionale.
La trama racconta la storia d’amore fra Corinna, di madre italiana e padre inglese, e Nelvil raffigurante lo stereotipo del «lord britannico». Nelvil, pur essendo attratto da Corinna, nutre molte riserve verso la ragazza che, a causa delle sue origini italiane, non ha la timidezza né la compostezza delle donne inglesi. L’eroina del romanzo, al contrario, amerà talmente tanto Nelvil fino al punto di cessare, ella stessa, la relazione con lui, a causa dei pregiudizi maturati dalla famiglia inglese di fronte alla sua esuberanza e alle dicerie sull’infedeltà delle italiane. C’è chi sostiene inoltre che Corinna, donna di grande cultura e vivacità intellettuale, rappresenti un po’ l’alter ego della De Stael ma, come vedremo, i fatti sveleranno il contrario.
All’Inghilterra, prototipo di perfetta nazione, la De Stael nega l’amore del bello e delle arti, della musica, della poesia e delle «illusioni» (care a Leopardi), persino l’amore. Nelle parole della scrittrice la nazione britannica è quindi indirettamente descritta come politicamente libera ed economicamente fiorente, ma povera di immaginazione e gusto artistico. L’Italia le è perciò contrapposta in quanto paese di religione cattolica, senza una costituzione, né unità politica, senza libertà né indipendenza, non disciplinata né laboriosa, non guerriera e in piena decadenza.
CORINNA O L’ITALIA
Il romanzo è prevalentemente un susseguirsi di dialoghi e lettere fra i due innamorati, in cui Corinna e Nelvil discutono dell’arte, della politica e della società, creando un quadro complessivo dei vantaggi e svantaggi dell’essere italiani.
Alcuni dei passaggi più significativi si svolgono durante il primo appuntamento fra Corinna e Nelvil a Roma; la culla della romanità rappresenta metaforicamente l’Italia e Corinna non mancherà nel presentarne le magnificenze artistiche.
Corinna: «La nostra gloria è formata solo dal genio dell’immaginazione: ma non trovate milord, che meriterebbe un miglior destino un popolo che fa un uso così brillante dei talenti che possiede?»
Nelvil: «Sono severo con le nazioni, credo sempre che si meritino la loro sorte, qualunque sia.»
Corinna cerca di convincere Nelvil della bellezza di Roma, e in un momento riesce anche nel suo intento, strappandogli un importante apprezzamento: «Roma è un mondo animato dal sentimento, senza il quale il mondo stesso è un deserto» ma il confronto è inevitabile. Nelvil afferma che pur essendo l’invenzione e l’immaginazione di straordinaria genialità, poco servono a difendere la dignità umana e che, infine, la diffusa debolezza delle istituzioni italiane induce a dimenticare la grandiosità del paese. A queste accuse Corinna risponde con una citazione di Alfieri «Servi siam, sì, ma servi ognor frementi». Ella è infatti convinta che, prima o poi, il carattere degli italiani ne eguaglierà in importanza e valore le antiche origini, identificate complessivamente nel «genio romano». Corinna precisa che la debolezza delle istituzioni, e quindi la mancanza di una personalità guerriera, non fa degli italiani delle persone leggere e frivole. L’apparente indolenza può, infatti, «mettere nella vita intervalli di sonno e di oblio, ma non logora e danneggia il cuore».
Roma diventa il necessario espediente per far brillare il suo paese e se stessa agli occhi dubbiosi di Nelvil. In questo passaggio la De Stael riesce in quello che rappresenta uno dei suoi vincenti parallelismi fra Roma e l’Italia:
«Roma più delle altre presenta il triste aspetto della miseria e della decadenza, ma all’improvviso una colonna spezzata, un bassorilievo semidistrutto, delle pietre connesse nel modo indistruttibile degli antichi architetti, vi ricordano che nell’uomo c’è una potenza eterna, una scintilla divina e che non bisogna stancarsi di ravvivarla in noi e accenderla negli altri.»
Corinna non affronta apertamente la dolorosa questione dell’Italia invasa ed afferma che, dallo studio della storia e dall’osservazione dell’incessante mutevolezza umana, si impara a smettere di stupirsi di fronte agli avvenimenti storici e ad accettare il corso degli eventi con una maggiore consapevolezza. Ella comunica così, indirettamente, la sua rassegnazione di fronte alla questione politica italiana ma non si nega la speranza che giungano anni più felici e gloriosi.
La De Stael affronta la passionalità latina, in quanto peculiarità del carattere degli italiani, nella descrizione della danza napoletana cui Corinna partecipa:
«Gli italiani non pensavano a dimostrare il loro entusiasmo; gli si abbandonavano, perché lo sentivano. Non sono uomini avvezzi alla società e al relativo amor proprio per preoccuparsi di fare effetto; la vanità non li distrae dal loro piacere, né gli applausi dal loro scopo.»
Ma lo spettacolo non può che suscitare in Nelvil gelosia e rabbia. Egli infatti inveisce contro Corinna affermando che la stessa infedeltà in Inghilterra è più morale che il matrimonio in Italia e che, nel nostro paese, non c’è alcun riguardo verso i costumi ma, al contrario, completa indifferenza nei confronti dell’opinione pubblica. Nelvil trova inoltre che la sfacciataggine del comportamento degli italiani, che non mostrano alcun riserbo nei confronti dei sentimenti ma li esprimono con grande disinvoltura, sia sintomo di volubilità. Corinna, quindi, non gli appare una donna affidabile, ella incarna tutte le caratteristiche dell’Italia: «grave nei sentimenti e leggera nei gusti; indipendente e fiera nell’animo e tuttavia schiava dei divertimenti». Gli uomini italiani, inoltre, vengono da lui descritti come femminei nell’atteggiamento di fuggire il dolore e nel ricercare spasmodicamente la felicità.
«Dei ricordi dell’antichità resta loro qualche cosa di grandioso nelle espressioni e nel fausto esteriore; ma a lato di questa grandezza senza base, vedete sovente gusti volgarissimi e una miserabile bassezza nella vita domestica. E’ questa la nazione Corinna che preferite alle altre?»
Corinna reagisce sostenendo che il non preoccuparsi di seguire i costumi è indice di lealtà intellettuale e prosegue affrontando come alcuni tratti caratteriali si ripercuotano sulla politica, riconoscendo che la corruzione fra gli italiani è una realtà ma che nelle relazioni private sono sinceri e fedeli.
«Subiscono l’effetto dell’interesse e dell’ambizione, ma non dell’orgoglio e della vanità; dan poca importanza alle distinzioni di casta; niente società, niente salotti, niente moda, niente espedienti quotidiani per emergere in particolare.»
La questione della mancanza di «una società italiana» è un tema che verrà ripreso anche da Leopardi. Sarà interessante capire cosa viene inteso per società e quali siano le motivazioni a sostegno di tale supposizione. Anche in riferimento agli uomini italiani Corinna ribadisce infatti come l’assenza di una società li induca ad avere un temperamento femmineo, affermando:
«Essi antepongono la vita agli interessi politici, che non li riguardano perché non hanno patria… Anche l’onore cavalleresco ha poco effetto in mezzo a un popolo, in cui l’opinione e la società non esistono.»
La società per la De Stael è un’organizzazione di poteri pubblici, cosa che in Italia non esisteva né a livello unitario né, nella maggior parte dei casi, a livello di singoli stati. Corinna, al fine di supportare la “causa italiana” contro quella inglese, connota positivamente questa realtà, ricordando che «in un paese dove non c’è società, ha più influenza la bontà naturale.»
La protagonista, a seguito della fine della storia con Lord Nelvil, tratterà più ampiamente la questione, colpevolizzando la società, e in particolare quella inglese, che gli aveva irrigidito l’anima impedendogli di amarla.
«In presenza del sole e del firmamento stellato, non si ha bisogno che di amarsi e di sentirsi degni uno dell’altro. Ma la società, la società! Come rende duro il cuore e frivolo lo spirito. Come insegna a vivere perciò che si dirà di voi! Se gli uomini potessero un giorno incontrarsi, liberi dall’influenza degli altri, quale soffio di aria pura entrerebbe nell’anima.»
L’opera della de Stael si conclude con una critica alla società inglese e con una riabilitazione della passionalità e dell’interesse degli italiani per il «genio» in sé.
«Qui non c’è emulazione: la vita non vi è più che un sopore di sogni sotto un bel cielo; ma date uno scopo a questi uomini e li vedrete in sei mesi divenir capaci di tutto. (…) Non si può non interessarsi vivamente a questo popolo, che respira con avidità quel po’ d’aria che l’immaginazione fa penetrare attraverso i limiti, che lo rinserrano.»
Giulia Del Grande