IA – L’illusione di onniscienza: dalla caverna di Platone agli algoritmi

Proseguiamo grazie ai contributi di Simona Michelon, impegnata in Italia in un dottorato di ricerca sull’uso dell’intelligenza artificiale (IA) nell’istruzione e la scuola, il nostro dossier su questo appassionante tema dalle mille sfaccettature.

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Viviamo in un’epoca in cui l’informazione (e la disinformazione) è a portata di mano o, meglio, di clic.

Con l’intelligenza artificiale generativa, la sensazione è ancora più forte: basta scrivere una domanda (qui sto semplificando), e in pochi secondi si ottiene una risposta articolata, a volte brillante, capace di sembrare definitiva e verosimile.

Questa rapidità e apparente completezza può generare un’illusione sottile: quella dell’onniscienza. Come se le macchine sapessero davvero tutto, come se la conoscenza fosse finalmente piena, totale, senza più sforzo.

Eppure, già Platone ci aveva messo in guardia da questa tentazione con uno dei miti più celebri della filosofia: la caverna.

Nel settimo libro della Repubblica, Platone descrive una scena che da secoli accompagna la riflessione sull’educazione e sulla conoscenza. Immagina uomini incatenati dentro una caverna, costretti a guardare solo la parete di fronte. Alle loro spalle, un fuoco proietta le ombre di oggetti portati da altri uomini. I prigionieri, non potendo vedere altro, credono che quelle ombre siano la realtà.

Per Platone, la conoscenza non è restare a contemplare le ombre, ma avere il coraggio di spezzare le catene, uscire dalla caverna, affrontare la fatica di guardare la luce del sole, scoprendo che la verità è più complessa e più luminosa di quanto sembri.

La metafora è potente: ci ricorda che non tutto ciò che appare è reale. Le ombre possono sembrare convincenti, ma non coincidono con la verità.

Oggi potremmo dire che le ombre della caverna sono gli output degli algoritmi. Le risposte dell’intelligenza artificiale generativa hanno una forma simile a quella della verità: sono fluide, coerenti, ben scritte. Ma non sempre corrispondono alla realtà.

Possono essere incomplete, imprecise, talvolta inventate.

La forza dell’IA non è nel sapere, ma nella capacità di costruire rappresentazioni plausibili e risposte apparentemente credibili.

Il rischio è confondere queste rappresentazioni con la conoscenza autentica. L’illusione di onniscienza nasce qui: pensare che, perché una risposta appare convincente, sia automaticamente vera. È la stessa illusione che Platone ci aveva mostrato con i prigionieri della caverna: scambiare le ombre per cose, le simulazioni per realtà.

C’è un aspetto che spesso dimentichiamo: la conoscenza è fatica, lentezza, confronto. Non basta avere informazioni; occorre elaborarle, interpretarle, criticarle. È un processo che richiede tempo, esercizio, capacità di discernere.

La tentazione dell’IA è offrirci scorciatoie: tutto subito, tutto pronto. Ma imparare significa attraversare la difficoltà, allenare lo sguardo alla luce, proprio come nel mito della caverna.

Il prigioniero liberato soffre, all’inizio, accecato dal sole. Solo a poco a poco impara a distinguere le forme, a riconoscere le cose. La conoscenza è un cammino, non una consegna immediata.

In questo senso, l’IA rischia di ridurre l’apprendimento a consumo rapido di contenuti, facendoci dimenticare che sapere è un atto critico, non passivo.

L’educazione, oggi più che mai, ha il compito di allenare al senso critico. Non si tratta di rifiutare le tecnologie, ma di imparare a usarle senza esserne ingannati. Come distinguere le ombre dalla realtà? Come evitare di scambiare l’output di un algoritmo per verità assoluta?

Serve formare cittadini capaci di interrogare le fonti, di verificare, di mettere in discussione ciò che leggono. L’IA può diventare una straordinaria alleata dell’apprendimento, ma solo se l’utente mantiene viva la capacità di giudizio. Diversamente, diventa una nuova caverna: confortevole, ma ingannevole.

La scuola, in questo contesto, non deve limitarsi a trasmettere nozioni, ma deve insegnare a pensare. Non a memorizzare risposte, ma a porre domande. Non a consumare contenuti, ma a costruire significati. È questa la via d’uscita dalla caverna digitale: l’esercizio critico, la ricerca di senso, l’educazione al discernimento.

Se rimettiamo l’IA al suo posto, possiamo riconoscerne i vantaggi. Non è un oracolo, ma uno specchio che riflette i dati che ha ricevuto. Non è onnisciente, ma uno strumento che amplifica la nostra capacità di accesso all’informazione.

L’illusione di onniscienza cade se accettiamo che l’IA non “sa”: elabora probabilità, costruisce testi, organizza pattern. L’intelligenza resta nostra: nel decidere se fidarci, nel confrontare le fonti, nel dare significato.

Proprio come il prigioniero della caverna, dobbiamo avere il coraggio di guardare oltre le ombre: non accontentarci della superficie, ma usare gli strumenti per andare più a fondo.

Il mito della caverna ci insegna che la conoscenza è sempre liberazione da un’illusione. Oggi l’illusione è quella che ci consegna l’IA: l’impressione di un sapere immediato, completo, assoluto. Ma non basta avere risposte: bisogna imparare a riconoscerne i limiti, a leggere oltre, a non fermarsi all’apparenza e soprattutto porre le giuste domande alle questioni della vita.

Il vero rischio dell’intelligenza artificiale non è che ci renda ignoranti, ma che ci faccia credere di sapere tutto senza aver realmente imparato nulla. L’educazione deve custodire questa verità semplice e radicale: il sapere non è mai un’ombra proiettata su uno schermo, ma un cammino faticoso verso la luce.

Simona Michelon

DOSSIER INTELLIGENZA ARTIFICIALE SU ALTRITALIANI – link qui sotto:

L’Intelligenza artificiale è solo una sfida al cambiamento

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Simona Michelon
Simona Michelon è un'insegnante italiana di economia, ora impegnata in un dottorato di ricerca nazionale sul tema dell'uso dell'intelligenza artificiale nell'istruzione. Collabora con Generazioni Connesse del MIM e si occupa da anni di progetti e formazione docenti. Attualmente sta concludendo il coordinamento di un polo di formazione POLO-ONLIFE volto alla formazione del personale scolastico sull'uso della tecnologia nell'insegnamento.

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