Un italiano a Parigi. I francesi e le vacanze.

I francesi e le vacanze

Le vacanze, in Francia, sono una cosa seria.
Appena inizia il nuovo anno, l’articolo più cliccato sul sito di Le Monde è inevitabilmente “Comment tombent les jours fériés et les ponts en 2024?” (ma valeva anche per il 2023 e per il 2022…). E non appena la SNCF apre le prenotazioni (“Les billets pour les vacances sont en ligne!”), si scatena una frenetica caccia al biglietto del treno, paragonabile solo alla ressa dei saldi. Poi gli amici iniziano a chiederti: “Cosa pensi di fare nelle vacanze di ottobre?” e ti tocca rispondere: “Non lo so, in fondo siamo solo ai primi di gennaio”.

In Italia, i giorni festivi sono relativamente pochi: Ognissanti, l’8 dicembre, la settimana natalizia, un paio di giorni per Carnevale e per il binomio Pasqua-Pasquetta, il 25 aprile, il 1° maggio e qualche festività locale. Insomma, “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, con i soliti servizi televisivi: “Quest’anno, gli italiani hanno scelto il mare e le città d’arte” (Ma va? Non era già così gli anni scorsi?). Poi arriva l’estate e chiude tutto. Prima le scuole, con la lunga pausa di tre mesi, poi le aziende, per buona parte di agosto. Il Belpaese vive ancora sui ritmi delle fabbriche. Anche i pensionati, che sarebbero liberi tutto l’anno, continuano ad andare al mare a Ferragosto, quando le spiagge sono un inferno. E i mass-media descrivono l’apocalisse del “grande Esodo”, con ore di coda nelle autostrade intasate da milioni di Fantozzi con le loro nuvolette di pioggia.

i francesi e le vacanze
« Chassé-croisé des vacances »

In Francia, non si sente mai parlare di Esodo (né di Levitico né di Deuteronomio, peraltro), ma del “chassé-croisé des vacances”, l’incrocio continuo di chi parte e di chi torna. Ma come è possibile? I francesi hanno cinque settimane di ferie, oltre alle festività religiose per Natale e Pasqua (ribattezzate laicamente “vacances d’hiver et de printemps”). Poi arriva maggio, inframmezzato da così tanti ponti da assomigliare a un viadotto: la Festa del lavoro, la Fine della Seconda guerra mondiale (8 maggio), il giovedì dell’Ascensione e il lunedì di Pentecoste (due festività di cui non si sente mai parlare in Italia, dove però si celebra l’Immacolata Concezione). Ma non è tutto. Nel 1997, il governo Jospin istituì le 35 ore. Uno degli scopi era quello di alleggerire la giornata di ufficio per un migliore equilibrio tra vita lavorativa e personale, favorendo anche le attività associative e non profit. In realtà, è successo il contrario. Infatti, le 35 ore sono solo la durata legale settimanale e ovviamente è consentito lavorare di più. Ma le “heures sup’” vengono recuperate sotto forma di “RTT” (réduction du temps de travail), cioè due o tre settimane di vacanze in più. In compenso, è aumentata la durata delle giornate di lavoro. Tra le vacanze e l’equilibrio personale, i francesi hanno scelto la prima opzione. Poi con il Covid si è aggiunta la possibilità di lavorare da remoto e – guarda caso –  i giorni scelti per il “télétravail” sono quasi sempre il venerdì o il lunedì.

La società francese è strutturata dal ritmo delle vacanze scolastiche: ogni sei settimane di lezione, ci sono due settimane di vacanze. Ma i periodi di vacanza non coincidono mai, perché il territorio francese è diviso in tre zone. Appena finiscono le due settimane della zona A, scattano quelle della zona B; e poi dopo, è il turno della zona C. Questo è indubbiamente un vantaggio per la pianificazione delle stagioni turistiche. In Italia, la settimana bianca si svolge quasi sempre tra Natale e Capodanno, con folle oceaniche agli impianti di risalita (e così si scia ben poco). In Francia, la lobby del turismo sciistico è riuscita ad imporre le vacanze di febbraio, con il “chassé-croisé” delle tre zone. E così  la stagione invernale non dura solo un paio di settimane, ma un paio di mesi.

Benissimo – mi direte – ma ciò riguarda i bambini delle scuole, mica gli adulti. Errore gravissimo. Perché le vacanze sono diventate uno status symbol trasversale: non è semplicemente concepibile restare a casa per le ferie. Dal momento che i figli sono in vacanza, i genitori spaccano il porcellino delle RTT per una bella partenza in famiglia. E se proprio devono lavorare (ogni tanto, può capitare!) sono i nonni a doversi organizzare in base alle vacanze dei nipoti. Ne consegue che, durante i congés scolaires, le città si spopolano. Ciò incide anche sulle attività associative. Quando si cerca di organizzare una manifestazione culturale, salta sempre fuori qualcuno: “Ma quella data è assolutamente improponibile! Ci sono le vacanze, non verrà nessuno!”

Giardino del Lussemburgo vuoto, foto Alessandro Giacone

Tutto questo è particolarmente esacerbato nei parigini, che sono più abbienti rispetto alla media francese, ma vivono in spazi più ridotti. Per molti di loro, la capitale è solo la città del loro lavoro, da lasciare appena c’è mezzora di vacanza. “J’ai trop de boulot. J’ai besoin de décompresser” è una frase che si sente molto spesso. Compressione e decompressione. Un mese fa ho scritto un sms a un’amica che non vedevo da tempo. “Je suis en vacances jusqu’à lundi”. Ho provato a scriverle il giovedì seguente. “Je suis partie pendant quinze jours dans le Midi”, mi ha risposto. Una vera e propria frenesia da vacanza. Ma non eri appena tornata? “Oui, mais je dois me mettre au vert”. E allora viene spontanea la domanda: ma perché non andare a vivere proprio in campagna? O la sua fonte di stress non sarà proprio questa continua successione di viaggi?

Con l’inizio dell’anno olimpico, le cose sono ulteriormente peggiorate. Oggi va molto di moda dichiarare con un piglio tra il provocatorio e il risentito: “Cet été, je ne resterai pas à Paris pour les J.O., ça va être le bordel!” Un atto di eroismo a costo zero, tanto non si è mai visto un parigino a Parigi a fine luglio e ai primi di agosto.

Incontrare un parigino a Parigi è quindi diventata una missione quasi impossibile. È molto più semplice vederlo in un altro paese o in un altro continente. Basta prendere appuntamento a gennaio per le vacanze di ottobre. Altrimenti bisogna accontentarsi di guardare su Facebook la foto dei suoi piedi (spesso in ritardo di una pedicure) su uno sfondo marino, ed aggiungere tristemente un like.

Per questo motivo, frequento quasi esclusivamente italiani: i francesi sono sempre  o impegnatissimi o in vacanza. All’inizio, il fenomeno è osservato con una certa sorpresa dall’altrotaliano che viene ad abitare a Parigi: “Ma questi francesi, sempre in vacanza!”. Ma anche lui si abituerà in fretta, e dopo un po’ di tempo, si comporterà esattamente come un francese, a parte il fatto che trascorrerà le vacanze in Italia.

Viaggiare può essere molto bello. Il problema sta nell’istituzionalizzazione e nella programmazione, che ha fatto perdere ogni spontaneità. Una volta, ci si poteva svegliare al mattino ed improvvisare un viaggio (un vero e proprio “atto libero”, come nei romanzi di Gide). Ricordo con una certa nostalgia un lungo viaggio in treno, trent’anni fa. Sembra preistoria, ma nel 1993 era possibile prendere un biglietto Napoli-Torino senza la minima prenotazione. L’unica condizione era quella di effettuare la tratta entro un mese. Sì, avete capito bene: si poteva partire il 1° giugno da Napoli, fermarsi dieci giorni a Roma, una settimana a Firenze, farsi un giretto a Pisa e a Genova (la linea passava sulla costa tirrenica) ed arrivare a Torino il 30 giugno. Alla fine, mi fermai solo una giornata a Roma, perché avevo finito i soldi. Ma la vera libertà era quella di poterlo fare, senza averlo previsto mesi prima.
Poco dopo, arrivarono, prima in Francia poi anche in Italia, i sistemi di prenotazione obbligatoria. Fine della libertà del viaggio: da quel momento bisognava per forza viaggiare quel giorno, in quel treno, in quell’orario. Negli ultimi anni, le tariffe dei voli aerei e biglietti ferroviari sono gestite da algoritmi: più la richiesta è alta, e più aumenta il prezzo. Oggi viaggiare last minute è diventato un lusso per ricchi. Non parliamo neanche dei periodi festivi, quando prendere all’ultimo un volo Parigi-Roma costa come andare a New York, a condizione di trovare ancora un biglietto. Insomma, lo stress da vacanza è diventato uno dei mali del secolo (che ne ha già visti altri).
Ma ormai ho trovato la cura: rimango sempre a casa durante le vacanze francesi.

Alessandro Giacone

LINK: Altri contributi dell’autore nella rubrica “UN ITALIANO A PARIGI”.

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Alessandro Giacone
Alessandro Giacone habite à Paris depuis 1990. Il est "Professore associato di Storia" à l'Université de Bologne et vice-président de l’association Italiques.

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