E’ tornato nelle sale italiane un film da ri-vedere, più attuale che mai. La pellicola, simbolo per molti cinefili della Nouvelle Vague, è stata sottoposta a un lungo restauro da parte della Cineteca di Bologna con l’aiuto finanziario di diversi enti francesi nell’ambito di un programma di salvaguardia del patrimonio cinematografico.
Una recensione, dopo averlo rivisto con emozione.
Più che uno splendido film, un capolavoro. E questo capita a molte opere prime, perché tale fu, HIROSHIMA, mon amour per Alain Resnais, nel 1959, dal punto di vista della fiction, sorretto, comunque, da un altrettanto splendido soggetto e sceneggiatura di cui fu autrice una Marguerite Duras in gran forma.
Difficile, a volte, nel corso del film, capire la mano dell’uno o dell’altra. Ma sapida, la trama, piena di spessore, di significati e di antecedenti metaforici e simbolici che precederanno tanto cinema ‘venuto dopo’, sempre ed in ogni caso. Un manifesto sulla pace, sull’amore, quello vero, quello disperato, come la vita che ti dà tutto e poi, pian piano, tutto ti prende, a cominciare proprio dal grande Amore.
Per fortuna l’oblìo, che tutto toglie o ‘finge’ – in senso leopardiano – di dare. Ed allora i piani si scompongono, divengono visionari, tornano realistici per un’esistenza da affrontare fino alla fine, perché questo è il ‘senso della vita’, quella vita che per dirla con Wilde « …è una tragedia per chi ha cuore ed una commedia per chi ha cervello« .
Ma come diceva Bassani « …ma poi che ne sa il cuore? Appena un po’ di quello che è già stato » ed anche « …più che il vivere le cose, a noi interessa la memoria di esse vissute, perché…si muore almeno una volta, per poter continuare a vivere« .
Le citazioni potrebbero continuare all’infinito, perché infinito è il racconto di un’esistenza che si interseca con un’altra che poi sono la somma – o la sottrazione – di molte altre.
Allora le città di Nevers e Hiroshima – distanti migliaia di kilometri l’una dall’altra – possono divenire un punto solo, idealmente, nell’occhio di chi guarda, ama, soffre, per poi scomparire, per permettere ai protagonisti la sopravvivenza.
Interpretato magistralmente, con estrema sensibilità e delicatezza, da Eiji Okada e da Emmanuelle Riva, icona quasi immortale del cinema francese – mutatis mutandis, come la Moreau – che due anni fa, ultra-ottantenne ci ha ‘donato’ un’interpretazione meravigliosa, insieme con Jean – Louis Trintignant, in Amour, di Haneke, il film si avvale di una splendida fotografia in b/n di Sacha Vierny e della glossa musicale a quattro mani del grande Georges Delerue e del ‘nostro’ Giovanni Fusco, per anni musicista per Michelangelo Antonioni al cui neorealismo a latere è ‘facile’ affiancare, idealmente, ma non troppo, la Nouvelle Vague di un Resnais comunque fuori ed al di sopra di ogni canone e schema.
Maria Cristina Nascosi Sandri
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Il restauro. Un video della Cineteca di Bologna
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