Prima de “I misteri di Roma” avevo un concetto che mi faceva credere all’immobilità della macchina da presa di fronte a una scena da girare …. Con Zavattini il concetto diventa il seguente: liberiamo la macchina da presa dal cavalletto perché essa è come un testimone che sta nel reale, che vive la realtà partecipandovi e muoviamoci dentro ai fatti … Ergo, macchina a mano.
E’ un concetto fondamentale sul quale ha mosso i passi di celluloide Giuseppe Ferrara, che ci ha appena lasciati, all’età di 84 anni. Un cinema di impegno civile il suo, di ricerca sociale su eventi e personalità che hanno segnato la storia nazionale degli ultimi 50 anni. Autore un po’ controverso dal carattere forte, toscano di nascita ma con radici lucane (a Francavilla in Sinni). Autore che sapeva scavare in eventi col piglio dell’inchiesta. Oltre una quindicina i suoi film e altrettanti i documentari (qualcuno girato anche nella “sua” Lucania). Dalla vicenda Moro (con Gian Maria Volonté, che vinse a Berlino) a Carlo Alberto Dalla Chiesa (con un eccellente Lino Ventura, aiuto regista un allora giovane Giuseppe Tornatore), Ferrara ha lanciato nel cinema italiano una maniera non consueta di fare cinema, senza però esporsi troppo, discreto e controverso qual era.
Alcuni anni fa come CineClub “De Sica” aderimmo ad una mobilitazione per sostenere e sollecitare la concessione dei benefici della legge Bacchelli al regista. Ci si augurava che il Comune di Roma avesse mantenuto l’impegno di concedere a Ferrara un alloggio di quelli confiscati alla mafia. Appariva significativo ricordarlo considerando che proprio le cosche sono state più volte nel mirino della sua cinepresa.
L’appello lanciato da Apollo Undici e dall’ANAC contava le firme di cineasti, critici, giornalisti; da Ettore Scola a Ugo Gregoretti, Michele Placido (che fu Giovanni Falcone nel film omonimo), Sergio Rubini (“Il caso Moro”), Anna Galiena (“Guido che sfidò le Brigate rosse”), Giuliana De Sio (“Cento giorni a Palermo”), Adalberto Maria Merli (“Faccia di spia”, “Cento giorni a Palermo” e “Segreto di Stato”), il produttore Mauro Berardi (“Il caso Moro”), il regista Marco Leto e molti altri ancora.
Molta stima dal mondo del cinema, un impegno civile, oltre che politico, che Beppe Ferrara non ha mai tradito e confermato nelle sue opere che hanno avuto sempre per protagonisti casi inquietanti della nostra Repubblica: lo scandalo del Banco Ambrosiano e la morte (omicidio o suicidio?) di Roberto Calvi, l’omicidio del generale Dalla Chiesa (“Cento giorni a Palermo”), la CIA e la finanza internazionale alleata con la malavita (“Faccia di spia”), la strage di Capaci in “Giovanni Falcone”, il narcotraffico, il sindacalista Guido Rossa capro espiatorio delle BR per aver denunciato la connivenza di un operaio con i terroristi.
Da critico fondatore di cineclub e docente di cinema (in Umbria), Ferrara ha portato una ventata di pragmatismo non omologato.
Il personale ricordo va alla nostra presentazione del libro “SCHERMI RIFLESSI – tra cinema e televisione” (EditricErmes, 2010) presso la Libreria del Cinema di Roma, al fianco della scrittrice e critica Carmen De Stasio e dello scrittore Giovannino Russo. Una presenza qualificante e discreta per quella serata di cultura cinematografica. Un ricordo indelebile.
Armando Lostaglio