Per Missione poesia, in questo articolo, la poetica di Franco Casadei, un autore in dialogo con la giornalista Marina Corradi, della quale riprende gli articoli di cronaca pubblicati su Tempi e Avvenire, per ripercorrerne le possibilità di riscrittura in poesia e, quale che sia il legame che unisce il poeta e la giornalista la valenza del lavoro del primo – che in questa sede analizziamo – è innegabile.
Franco Casadei nasce a Bertinoro di Forlì. Medico di professione, vive e lavora a Cesena.
Ha pubblicato le raccolte di liriche I giorni ruvidi vetri (Il Ponte Vecchio, Cesena 2003); Se non si muore (Ibiskos, Empoli 2008); Il bianco delle vele (Raffaelli Editore, Rimini 2012).
È stato primo classificato nei premi: Ungaretti, 2005; C. Levi, 2005; Giovane Holden, 2008; C. Pavese, per medici scrittori, 2013; G. Gozzano di Agliè, 2013; R. Fucini, 2015.
Fra i primi classificati nei premi: Neruda, 2006; D.M. Turoldo, 2011; J. Prévert, 2011; Kafka, 2012; “Ossi di Seppia”, 2012; Premio nazionale di Filosofia, sez. paradossi, 2012; G. Pascoli di Barga, 2014; Antonia Pozzi, 2014.
Sue poesie tradotte in spagnolo e in lingua romena.
È fra gli ideatori de “La poesia nelle case”, una proposta di divulgazione della poesia in vari luoghi della città.
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Conosco Franco Casadei da diversi anni. Di lui ho apprezzato da subito la gentilezza di modi, l’eleganza, l’educazione nel porsi di fronte alle questioni e al modo di trattarle, comunicarle. Non sembri una cosa scontata – specie pensando a un autore di poesia – perché non lo è. Franco riesce sempre a trovare la giusta misura per porsi nei confronti degli altri e delle questioni, grandi o piccole che siano, la giusta attenzione, la giusta dimensione comunicativa.
Le sue poesie sono infarcite di questo suo modo di essere e per questo, sono godibili, autentiche, apprezzabili per contenuti e modalità stilistica. Ci siamo incontrati varie volte, in contesti letterari di vario genere e, sempre, ho avuto modo di apprezzare queste sue doti che ritornano anche nel suo ultimo libro, La firma segreta, di cui parleremo in questo articolo di Missione poesia.
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LA FIRMA SEGRETA
Poesie in dialogo con Marina Corradi
In comune, la poesia e la cronaca giornalistica non hanno niente. Sono due modi completamente diversi di vedere la realtà, due visioni lontane anni luce, due generi frequentati da un pubblico ben specifico, da autori che spesso non s’incontrano mai: il poeta cerca l’ossatura della verità forgiando le parole come un fabbro fa col ferro, misurandone e pesandone il significato, il suono, la dimensione stilistica nel giusto rapporto tra musicalità e senso, aggiunge spesso una propria visione per rendere catartico l’impatto sul lettore; il giornalista di cronaca cerca di rappresentare i fatti così come si sono svolti, descrive l’evento, racconta le voci, nulla toglie e nulla aggiunge a quanto visto o riportato, non cede all’impulso di commentare con una sua opinione quanto espresso, che deve essere il più possibile aderente alla realtà.
Eppure, nell’intreccio di generi letterari dove “tutto si tiene”, sembra non essere stato così difficile compiere l’impresa che ha portato Franco Casadei alla stesura del libro La lettera segreta, ovvero quella di trarre ispirazione per la propria poesia proprio da certi articoli di cronaca, della giornalista e scrittrice Marina Corradi, pubblicati sul settimanale Tempi e sul quotidiano Avvenire.
Il lavoro trova giustificazione, secondo l’autore stesso, nel fatto che la prosa della Corradi contiene in se il senso della vita quotidiana rintracciabile nei drammi umani che la compongono, e il suono di una sorta di prosa poetica, riscontrabile in molti dei passaggi degli articoli presi in considerazione: senso e suono che sono i due elementi fondamentali del parlare poetico. La Corradi, dal canto suo, reagisce a queste sollecitazioni, con un commento finale al libro, una postfazione nella quale, pur confessando di non essersi mai dedicata alla poesia, né tantomeno di aver mai intenzionalmente ritenuto di ispirarvisi per la stesura dei suoi articoli riconosce che, in taluni di questi, possa esserle accaduto di aver raccontato qualcosa di più autentico, di non censurato dall’io partecipe e commosso, e che questo possa aver colpito un lettore attento come Casadei, a fare proprie quelle parole, quei sentimenti, per restituirli ad un altro pubblico, rivisitati di nuova veste, che tuttavia non tradisce le originarie intenzioni ma, al contrario, ravviva e serve a condividere – anche a distanza – momenti quanto mai dolorosi vissuti in coincidenza di determinati fatti.
Quale che sia il legame che unisce, nel nostro caso, il poeta e la giornalista, la valenza del lavoro del primo – che in questa sede analizziamo – è innegabile. Vi sono passaggi nei testi di Casadei, ripresi dai fatti di cronaca, dai luoghi, dai personaggi di riferimento che destano certamente riflessioni, che pongono questioni, che portano a considerare ancora una volta la parola poetica – se di vera poesia si tratta – come parola necessaria, che sa andare al nocciolo, al cuore di quanto propone. Così, non c’è più un confine – e non sembra neanche tanto necessario – tra il parlare giornalistico e il parlare poetico; così tutto si concentra sui fatti e su quanto da essi e su di essi c’è da capire, c’è da imparare. Ci sono testi in questo libro dei quali non interessa affatto l’origine, ci sono testi che hanno una portata interpretativa così profonda che non necessitano di commenti o parafrasi, ci sono testi che potrebbero essere il comune denominatore per la vita di ognuno, nel vissuto o nell’immaginario universale che sia. Il fatto poi che il poeta sia anche un medico, accentua la sensibilità o la competenza sulla dimensione di certi episodi fondanti della poetica del libro.
Tra i passaggi più significativi, a mio avviso, possiamo citare le poesie che raccontano la poetica dei luoghi e che hanno come sfondo la città di Milano, la Moldavia, l’Uganda; quelle nelle quali non si dimentica la natura: ecco i girasoli, il mare, le rose; quelle dove i personaggi protagonisti sono gli ultimi della lista sociale: ecco i clochards che aprono la notte di Milano alla chiusura delle eleganti vetrine cittadine, ecco l’anziano coniuge che non si arrende alla morte della moglie e le parla ancora mentre i soccorritori li riaccompagnano a casa; ecco qualcuno – non identificato nel genere o nella condizione – che stanco di solitudine lascia questa vita con un gesto disperato. E potremmo continuare ancora mentre un capitolo, in specie, mi preme sottolineare, un capitolo laddove la figura femminile di Maria sembra racchiudere tutte le figure femminili, soprattutto quelle che soffrono o che lottano per qualcosa, e che riporta anche alla dimensione religiosa della poesia di Casadei.
Esemplare in questa direzione la poesia Tutte Maria, nella quale è raccontata la vicenda che nel 2014 vide occupare una miniera in Sardegna da un gruppo di donne che lì lavoravano, e che adottarono il motto “Abbiamo un nome solo, chiamateci Maria”.
Per concludere, uno stile elegante e semplice, chiaro e musicale, un dettato stilistico che rende l’autore riconoscibile nella sua cifra poetica, com’è riscontrabile in altri suoi lavori precedenti, fanno de La firma segreta un piccolo gioiello incastonato nella poesia italiana contemporanea.
Alcuni tesi da: La firma segreta
Milano, quando il cielo schiara
L’ora in cui questa città è più vera
la mattina, quando il cielo schiara.
L’ora in cui Milano si alza, si affretta e palpita,
le finestre illuminate in un rapido susseguirsi
le colonne di auto che incalzano alle sue porte
e ai caselli i fari, occhi impazienti, accesi.
La colonna sonora di Milano:
borbottii di caffettiere
rombo di motori messi in moto,
l’impercettibile rimbombo del metrò
che corre spedito nel cuore della terra,
il frastuono degli ultimi camion della spazzatura
mentre ingurgitano cassettoni gonfi di rifiuti,
poi lenti si avviano verso le periferie
come animali notturni che quando nasce il giorno
si nascondono nelle loro tane.
Si agita una febbre in questo collettivo
veloce alzarsi e correre al lavoro e a scuola.
Quale tristezza trovarsi dentro questo vortice
e non avere un luogo dove andare.
Quanti, senza nessuno che li aspetti,
restano a dormire o speranzosi
leggono le offerte di impiego sui giornali.
Mentre nelle chiese si celebra la prima Messa
si invoca il pane quotidiano,
la maggioranza della gente che corre
stamattina, là fuori, forse non sta pregando.
Eppure, nell’affrettarsi sui banchi e negli uffici,
una grande domanda resta ferma nell’aria .
in questa mattina d’autunno, nel Cielo di Milano.
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Addio fra vecchi sposi
Milano, I985
Sera di luglio, un’afa soffocante sul Naviglio.
E domenica, le strade silenziose e vuote.
Si ferma un’ambulanza a sirene spente,
i lettighieri scendono con una lentezza strana.
Sulla barella una donna anziana
mortalmente pallida, con gli occhi chiusi.
Le è accanto il marito: «siamo a casa, cara».
Incrocio lo sguardo di un barelliere: è morta,
forse lo era già negli ultimi istanti in ospedale
quando, per fare contento il marito,
l’hanno rimandata a casa.
Ma lui – ignaro? – continua a parlarle,
le dice che ha fatto la spesa,
in frigo c’è qualcosa da mangiare.
I giovani lettighieri e io ammutoliti
per questo addio fra vecchi sposi.
Il marito inizia a parlarmi lieto, per un istante,
di violare la sua murata solitudine.
Il sole rosso fuoco intanto
va calando, giù in fondo al Naviglio.
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I Clochards montano di guardia
Milano, corso Vittorio Emanuele
Passate le nove di sera, gli ultimi negozi
hanno calato a metà le saracinesche:
ne escono, chinando la schiena,
giovani commesse stanche.
La folla degli acquisti se ne è andata
lasciando sui marciapiedi carte
biglietti di tram, scontrini accartocciati.
Il corso sembra la sala di una festa
quando l’ultimo invitato si è congedato.
Ma è anche l’ora in cui, nel cuore di Milano,
si insedia un altro tipo di uomo.
Sotto ai portici i clochards
sistemano il giaciglio per la notte.
Due, ancora giovani, piazzati
l’uno accanto all’altro i sacchi a pelo,
si mettono a contare una manciata
di spiccioli, la cassa di giornata.
Un vecchio invece si è sdraiato, quasi dorme,
stretto a un cane come un bambino
che la sera stringe il suo pupazzo,
così che anche un uomo da tutti abbandonato
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La firma segreta
Chi cuce
la trama del destino,
segretamente imbastendone
il disegno?
Il caso?
o una mano misteriosa
che tesse,
costantemente tesse
il tuo cammino?
L’enigma irrisolto,
la mancanza sento, una mancanza,
la firma segreta
che sta dentro le cose.
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Oltre il segno
La luce è un filo alla finestra
che adombra un’invisibile presenza
per andare altrove
non occorre andarsene lontano,
ciò che sta oltre il segno
richiede un istante di libertà, di sosta
la verità
sta in un’ansa recondita dell’anima
Cinzia Demi
Bologna, maggio 2017