Fotografia. Letizia Battaglia: la sincerità di uno sguardo (opere dal 1970 al 2020)

Fino al 11 gennaio 2026, il Museo San Domenico di Forlì – dove si svolgono sempre mostre di grande qualità – dedica un’ampia retrospettiva alla famosa fotografa e fotoreporter siciliana Letizia Battaglia, scomparsa il 13 aprile 2022. La mostra ripercorre tutta la sua carriera, dal 1970 al 2020. Una recensione di Elisa Castagnoli con una bella scelta di foto a corredo.

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“Chi ha in mano una macchina fotografica ha un mezzo potente e meraviglioso per esistere, per essere, per incontrare il mondo. E ha anche una grande responsabilità”. “La fotografia diventa o, meglio, è la vita raccontata”[1], afferma Letizia Battaglia e in tale binomio imprescindibile tra il mondo e  il suo modo di diventare immagine – significante, intuitiva, poetica – vive oggi più che mai tutta la sua opera fotografica visitabile in retrospettiva fino al prossimo 11 gennaio al Museo san Domenico di Forlì. Un percorso creativo visto in molteplici sfaccettature dagli esordi ai primi anni duemila ma sempre e comunque legato dal filo rosso dell’impegno civile imprescindibile dal suo lavoro artistico.

Pasolini al Circolo Turati, Milano, 1972

Negli esordi a Milano, agli inizi degli anni ’70, Battaglia entra nel dibattito culturale dell’epoca realizzando reportage sull’evoluzione dei costumi italiani. Immortali restano di quest’epoca alcuni primi piani su Pasolini alla Palazzina Liberty di Milano insieme ad altri intellettuali e artisti noti di cui trapela l’intensità di un volto segnato dal dolore e dall’ardore dell’esistenza, pregnante di idee, intellettualità e poesia, designandosi iconico nella memoria collettiva.

A partire dal 1974 la fotografa torna definitivamente nella sua terra d’origine, la Sicilia, che diviene a Palermo fonte prima di ispirazione e imprescindibile necessità documentaria, in definitiva soggetto esclusivo per la sua fotografia. Battaglia inizia la sua storica collaborazione con il quotidiano “L’ora” da un lato schierandosi politicamente attraverso la denuncia e la lotta contro la mafia nel territorio, dall’altro documentando la realtà sociale delle classi più indigenti. Un’immagine poliedrica e sfaccettata di Palermo ne emerge, messa a nudo nei suoi reconditi di violenza, illegalità e miseria come d’altronde intrisa di bellezza e poeticità nei suoi volti, luoghi, e scorci di vita che solo un’artista visceralmente legata alla propria terra avrebbe potuto restituire.

Palermo

Negli anni ‘70 quando ho cominciato a lavorare come fotografa volevo raccontare la mia città, Palermo e le sue contraddizioni, in particolare il divario di classe tra i ricchi e i poveri. Non mi sentivo ne pensavo di essere un’artista, facevo fotografie per mantenermi e fermare in immagini quello che mi suscitava rabbia, pietà, amore e bellezza.”[2]

La città in Battaglia vive attraverso la fotografia, pulsa di vita propria negli scatti sorpresi in strada di volti limpidi e meravigliosi ma incarna, anche, nel reportage di denuncia sociale le miserrime condizioni di vita in cui verteva la frangia ultima del sottoproletariato urbano. In un’immagine simbolica un gatto e un topo sono immortalati alla stessa stregua per strada, sazi vicino ai rifiuti lasciati nei cassonetti: né vincitori né vinti, tutti vittime della stessa corruzione politica e sociale in un’immagine fortemente critica e oppositiva al potere. Le fotografie in bianco e nero mostrano con taglio incisivo abitazioni fatiscenti, una stanza senza acqua né luce dove vivono una madre e i suoi sette figli, un neonato morsicato da un ratto mentre dormiva insieme ai fratelli, infine una bambina al lavoro come lavapiatti in una trattoria.

Palermo 1978. La donna ed i suoi bambini stanno sempre a letto. In casa non ci sono ne luce ne acqua.

Da un altro punto di vista, la sincerità delle immagini in bianco e nero dallo stile nitido, puro e definito di ispirazione quasi neorealista – una bambina sorpresa a mangiare un pezzetto di pane appena acquistato nel rione Kalsa di Palermo – rivela attraverso il suo volto una  grazia e bellezza inattese al cuore di un mondo senza speranza e senza voce. Un gesto dalla poeticità innata che sublima forse quel reale dalla sua effettiva condizione di nefandezza e miseria.

La mafia

Un vetro del cruscotto di un’auto infranto da una pallottola di cui resta solo il foro insieme a una miriade di minuscole schegge infrante che si propagano da quel punto iniziale dove il proiettile ha colpito la vettura. Tale immagine fortemente simbolica (Palermo, 1977)apre la sezione fotografica  incentrate sul tema della mafia in Sicilia. A partire dalla metà degli anni ’70 Battaglia inizia la sua storica collaborazione con il quotidiano “L’ora” documentando in un lavoro di reportage quotidiano – unica donna reporter in quel contesto prettamente maschile – i crimini che si  susseguono in maniera violenta e tragica per più di un decennio tra Palermo e il resto della Sicilia nella più totale assenza di uno Stato forte o di Istituzioni che non fossero colluse con la medesima.

Come scrive Battaglia: “Tutto è precipitato, è iniziata la guerra civile: da un lato giudici, polizia e popolo onesto, dall’altro i mafiosi con le loro armi micidiali” (…) Ho iniziato a fotografare questa carneficina con una modesta camera, fotografavo i mafiosi e le vittime con il cuore in tumulto, con un’angoscia che negli anni è diventata disperazione.”[3].

Battaglia. L’arresto del feroce boss mafioso Leoluca Bagarella. Palermo-1979

In quegli anni Battaglia fotografa omicidi di personaggi noti come di perfetti sconosciuti eseguiti per mano mafiosa,  tra gli altri l’uccisione di Boris Giuliani capo della squadra mobile di Palermo quello di Piersanti Mattarella (1980) trovato assassinato nella propria auto di fronte alla moglie e ai figli e lì soccorso dal fratello Sergio, infine l’omicidio dell’attivista politico Peppino Impastato.

Palermo, 1980. Viale della Libertà, giorno dell’Epifania, ore 13.00. Il Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella, democristiano, è stato appena colpito a morte da killer mafiosi, davanti alla moglie e alla figlia

Fotografa quelle morti avvicinandosi il più possibile alla scena con un taglio incisivo, netto, estraniante rispetto al soggetto esasperando i contrasti tra luci e ombre come se non ci fosse spazio per altro commento o compianto se non la necessità di denunciare, esporre, rendere palesi i crimini perpetuati, le vittime innocenti, i politici collusi, i giudici a rischio della propria incolumità, infine i personaggi integerrimi che perderanno la vita come il generale Dalla Chiesa.  La morte è mostrata nelle foto di Battaglia come parte del quotidiano in quella Palermo insozzata, bagnata dal sangue di infiniti delitti in un sistema di esecuzioni e vendette, di mandati e mandanti, tra le linee più banali della vita per strada come nelle aule di Giustizia o nei tribunali. Una per tutte spicca l’immagine del giudice Falcone al funerali del Generale Dalla Chiesa (1982): lui camminando in primo piano con il vento in faccia sullo sfondo delle forze dell’ordine e dell’esercito schierati a commemorare Dalla Chiesa nella gravità tragica del momento forse già presentendo, sulla scia dell’amico, l’ombra di un destino comune.

Il giudice Giovanni Falcone ai funerali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia. Letizia Battaglia, Palermo 1982

Tra le  pagine più oscure e sanguinose della storia italiana Battaglia ci lascia sprofondare attraverso il suo obbiettivo  come precipitando dentro un buco nero e senza fondo; fino all’inizio degli anni ’80 nel suo integerrimo e rigoroso lavoro di messa a nudo fotografica continua a documentare la lotta per il potere tra i due più potenti clan di “Cosa Nostra” cui segue l’avvio di maxi-processi fino alle stragi di Capaci e via D’Amelio con le tragiche morti di Falcone e Borsellino. È allora che Battaglia sospende temporaneamente la sua attività di reporter stremata dalla violenza e dall’omertà della propria terra.

Ritratti, anni ‘80

Ho usato la fotografia come mezzo non solo per documentare ma per restituire forza ai più deboli, soprattutto alle vittime, agli emarginati, a quelli considerati “matti”, agli ammalati di solitudine in cerca di ascolto. Era come se ogni volta fotografassi me stessa, in ogni fotografia ci sono, da qualche parte, anche io”[4].

Palermo per Letizia Battaglia diviene un universo a tutto tondo nelle sue contrastanti e inconciliabili sfaccettature, dove si intrecciano l’attualità raccontata attraverso la macchina fotografica e la vita stessa: “i morti ammazzati, le vittime e le loro famiglie” così come “le bambine dagli occhi gravi e sognanti”. Il reportage, afferma Battaglia, non implica la necessità di andare altrove quanto quella di “scavare, andare a fondo, cercare il nucleo segreto delle persone, delle cose nel luogo in cui vivi” perché non è il soggetto scelto ma la forza di uno sguardo a rendere grande la fotografia, così come “la voglia di onorare il mondo e raccontarlo”.

Nella sezione “ritratti” a Palermo negli anni ‘80  è “l’incanto dell’infanzia” ma anche  le sue crepe di tristezza o inquietudine lì tra le linee celate; la povertà e insieme “l’arroganza della ricchezza”, nelle classi più agiate, infine i volti di bambini e ragazzi nei quartieri popolari. Sono scene di svago e momenti di gioia sulle spiagge vicino a Palermo o primi piani di volti in strada in controcanto allo spargimento di sangue dei delitti mafiosi. Sullo sfondo di abitazioni fatiscenti emergono scorci colmi di leggerezza: una famiglia in vespa, bimbi semi-nudi nei viottoli del rione Kalsa, volti limpidi e meravigliosi di bambine e altri ancora a rischio di vita simulando con armi giocattolo una gang malavitosa nei quartieri popolari di Palermo. Indimenticabile nella memoria collettiva  resta indelebile l’immagine de “la bambina con il pallone” (1980).

Essere umane mostra Forli

In quel primo piano sul suo volto “indomabile e selvaggio” ritratto per caso a Monreale la fotografa rivede forse sé stessa, “la bellezza e il coraggio della bambina che ero” ribelle e gioiosa, soave e seriosa insieme che ancora a distanza di anni “insegue i suoi sogni malgrado tutto”, lì sorpresa in un bianco e nero perfetto ed essenziale, spogliato di ogni superfluo.

Rosaria Schifani

“La fotografia da sola, purtroppo, non ha il potere di cambiare il mondo, ma come un buon libro può contribuire a far luce nelle coscienze delle persone. Di lì può partire il cambiamento”[5].

Rosaria Schifani

Con la macchina fotografica ma anche con l’attivismo politico e civile e l’impegno editoriale Battaglia ha perseguito tutta la vita la lotta e la denuncia contro il sistema mafioso in Sicilia attraverso una poetica ispirata dalla vita che si rivela all’obbiettivo nella sua bellezza inconfutabile nonostante la miseria o l’orrore, con il coraggio, infine, di difendere i propri ideali nella piena libertà personale.  L’immagine scelta per chiudere il percorso espositivo incarna perfettamente tale visione: il ritratto di Rosaria Schifani vedova dell’agente di scorta Vito in primo piano in controluce a una finestra che ne illumina a metà il volto lasciando l’altra metà nella più totale oscurità; una foto scattata a pochi giorni dall’omicidio del giudice Falcone e di tutta la sua scorta. Luce e ombra, vita e morte lì sul suo volto come due metà perfette e imprescindibili, lei con gli occhi chiusi  in una sorta di tragica e muta contemplazione. Battaglia cerca l’essenziale per arrivare a raccontare “il dolore delle donne”, ciò che di più tragico e irreparabile accade come il momento della perdita lasciando parlare il contrasto netto tra luce e ombra come la lotta tra  vita e morte sul suo volto figurate. Ancora una volta l’immagine in Battaglia coincide con la vita e contiene in sé stessa un mondo, una narrazione, una poesia.

Elisa Castagnoli

[1] Letizia Battaglia, Sabrina Pisu, Mi prendo il mondo ovunque sia, pag. 128 Einaudi
[2] Ibid., pag. 15
[3] Ibid., Battaglia pag. 127
[4] Ibid., Battaglia pag. 127
[5] Ibid., Battaglia pag. 136

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Elisa Castagnoli
Nata a Ravenna ma viaggiatrice e cittadina del mondo Elisa Castagnoli si è laureata in Lingue e Letterature Comparate all’Università di Bologna proseguendo con un Master alla University of Toronto. Insegna lingua e civiltà inglese nella scuola secondaria di II grado, collabora con varie riviste letterarie on-line e scrive un blog personale sull’arte. Simultaneamente, segue la danza contemporanea nella sua connessione tra corpo, movimento e scrittura.

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