ExpatClic è un portale internazionale gestito e partecipato da donne italiane, ma non solo, che vivono all’estero da anni. Il ‘Té letterario’ di ExpatClic è un gruppo di lettura a distanza in cui ogni venerdi ci si incontra per parlare di libri. In questo spazio Giuliana Arena, expat originaria di Milano e ora a Bucarest, ha dialogato con le altre expat del suo romanzo ‘Il nido di vetro: Una piccola storia d’amore’ (Edizioni San Paolo).
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Leggere, anzi, ‘leggersi’. Dico ‘leggersi’ non a caso, non solo perché qui si parla di libri, ma soprattutto, perché nella lettura si ritrova quel silenzio fatto di ascolto, che è ormai bene raro e prezioso.
Ci sono spazi preziosi, essenziali al benessere e all’equilibrio. Luoghi di condivisione dove è possibile crescere, trovare, imparare, curarsi e lasciarsi curare. Ci sono tempi malati, insani, come questo, che per essere vissuti necessitano di luoghi di cura speciali. Uno di questi luoghi è il ‘Té letterario’ di ExpatClic, gruppo di lettura, animato da donne espatriate, nebulosa sparsa nel mondo, che in uno spazio Zoom ogni venerdi s’incontra e ‘si legge’.
ExpatClic è un portale internazionale gestito da un gruppo di volontarie che vivono all’estero da anni. Un crescente gruppo di collaboratrici arricchiscono il sito con articoli, informazioni dai loro paesi, traduzioni, e molto ancora. Tutte insieme formano una comunità estesa, vivace e solidale, che aiuta donne espatriate in tutto il mondo a installarsi felicemente e a instaurare un rapporto aperto, sereno e positivo con i loro paesi d’accoglienza.
Sono soprattutto italiane, ma non solo. Sono donne, lavoratrici, figlie, sorelle, mogli, madri. Il Covid le ha trovate preparate, pronte a ricevere la domanda di aiuto e di supporto per poter affrontare questo momento tanto epocale quanto destabilizzante. Sono donne che hanno dovuto, nel corso della loro vita di espatrio, continuamente declinare se stesse ad altre culture, usi, costumi, sviluppando una forte attenzione all’altro, un senso profondo della comunicazione, della solidarietà linguistica, il valore della parola, il logos come luogo d’incontro. Cosi il ‘Té letterario’, creato in occasione del confinamento Covid, è subito spazio priviligiato e ritagliato al tempo altro, un ‘nido’ che è zona di conforto e di crescita.
Il ‘Té letterario’ di ExpatClic non è un semplice ‘Book Club’, soprattutto è esperienza di lettura: ogni venerdi non un libro in particolare, ma piuttosto il rapporto con i libri: quale libro avresti voluto scrivere? Quale hai odiato? Cartaceo o digitale? In lingua originale o in traduzione? Perché andare ad una presentazione? Quale genere letterario? E molto altro ancora.
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Nell’intreccio di parola, lettura e ascolto ci si è ritrovate a parlare di maternità. E lo si è fatto con Giuliana Arena, expat originaria di Milano e ora a Bucarest, autrice de ‘Il nido di vetro: Una piccola storia d’amore’ (Edizioni San Paolo). La ‘piccola storia’ di Giuliana inizia nel 2011 quando il suo secondo figlio nasce con più di tre mesi di anticipo e appena 800 grammi di determinazione a vivere. Si aprono dunque per Giuliana lunghi mesi nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale del Mangiagalli a Milano, tra alti e bassi, incertezze, dramma e speranza.
Nel dialogo tra Giuliana e le altre expat è emerso un concetto più vasto di maternità. Ne sono emersi i contorni ruvidi, il mito ha ceduto il posto al tono giusto, pacato, all’umanità che ci vede fragili nel momento di estrema difficoltà.
Il merito riconosciuto a Giuliana Arena è l’aver saputo dar voce alla solitudine della maternità, al senso di abbandono che molte madri provano. ‘Il nido di vetro’ racconta quella stanchezza di cui non si riesce a parlare, il senso di colpa taciuto, poiché non pare ammissibile che una madre possa cedere al proprio ruolo, non sentirsi sempre e in assoluto appagata in esso.
Federica (originaria di Prato, attualmente a Ramallah in Palestina/Cisgiordania) ha voluto sottolineare proprio queste emozioni, sentimenti, riflessioni, con cui difficilmente si riesce a confrontarsi:
La narrazione dà voce e corpo a sensazioni, paure, gioie, ansie, delusioni, lacrime, sollievi, ritmi di vita sovvertiti in cui molte donne, inclusa la sottoscritta, possono facilmente ritrovarsi indipendentemente dal tipo di maternità che vivono.
Maternità, parola maltrattata, strumentalizzata e troppo spesso sradicata dalla sua materialità emozionale e intellettiva.
I toni pacati, sereni, il lessico sobrio e preciso con cui Giuliana restituisce alla maternità tutta la sua complessità multidimensionale e attraverso la sua esperienza incrociata con quella di altre donne e uomini delinea come le donne si confrontano e articolano le proprie risposte ad eventi stravolgenti, faticosi, disturbanti, inaspettati, tra saperi, emozioni, sentimenti che mettono in crisi ogni tentazione di facile semplificazione”.
Ed è con gratitudine che Federica riconosce a Giuliana “l’onestà intellettuale nel raccontare con genuina e piacevole resa pensieri sgradevoli che attraversano i nostri corpi”.
Non è eroina Giuliana, non è senza macchia, spesso cede ai perché: ‘perché io?’, lei milanese cosi ben tagliata nel suo mondo certo e sicuro, si ritrova in un mondo fatto di ‘imperfezioni’, in compagnia di donne, spesso straniere, spesso sole, in estrema difficoltà, cosi diverse da lei, cosi tragicamente simili a lei. Si ritrova faccia a faccia con il desiderio di mollare tutto. Si ritrova a sentirsi in colpa per non essere riuscita ad adempiere al compito, affidato ad ogni madre, di portare a compimento la sua gravidanza. Vacilla tra il senso d’impotenza e incompiutezza, il desiderio che tutto finisca e il desiderio che tutto si risolva.
Questa capacità di narrare il dolore senza veli o falsi pudori è giustamente sottolineata da Rossella (originaria di Bergamo, attualmente a Londra), il dolore nei suoi aspetti più insinuanti, ma anche la capacità di accoglierlo e lasciarsi da questo ricostruire, da questo ripartire:
“Ci ho ritrovato situazioni condivise, sensazioni ed emozioni, belle e brutte, che ho provato anche se il mio percorso di mamma è stato meno accidentato del suo.
Mi è tanto piaciuta una sua frase, che parla di ogni cicatrice come di un tesoro. È difficile anche solo pensarlo quando lo si vive, ma sapere che è davvero così può fare la differenza, quando si è soli ad affrontare una situazione più grande di noi. Per questo ringrazio Giuliana, e sono convinta che il suo libro sia fondamentale per ogni mamma, papà, medico, figlio, infermiere, donna, uomo, consapevoli che c’è un mondo che sta accanto al nostro, in cui si vive e si lotta con i nostri stessi sentimenti”.
Giuliana si ritrova dunque confrontata con un mondo ospedaliero di cui nulla sapeva o poteva immaginare, in quell’ospedale a pochi passi da casa sua, dove qualche anno prima aveva partorito, felicemente, il suo primo figlio. L’ospedale cosi grigio e distante si fa ora casa, abitata da un personale ospedaliero nel continuo sforzo di comunicare con i genitori, di aiutare, confortare, capire e farsi capire.
Giuliana riesce a sottrarsi alla narrazione personale, per restituire tutto un mondo: padri e madri, medici e infermieri. Uomini e donne, soli nella loro umanità.
È proprio questo aspetto universale, che va ben oltre il concetto di maternità, che Cristina (originaria di Napoli, attualmente a Castro dei Volsci in provincia di Frosinone, dopo un anno in UK nel Wiltshire) ha fortemente sentito nel leggere ‘Il nido di vetro’:
“Quando regalerò o consiglierò questo libro ad un’amica già so quale sarà la mia recensione. Le dirò ‘Amica, preparati, leggendolo ti sentirai a posto, ti sentirai normale, ci ritroverai dentro le tue crisi e le mie, i miei e i tuoi pensieri indicibili di donna, di mamma, di amica, di moglie’. E aggiungerei, ‘Questo amica ti accadrà anche se non hai mai trascorso quei mesi durissimi’. Lei e la sua storia sono vivi dentro di me, segno evidente che Giuliana ha parlato a me esattamente come io avrei parlato alla mia migliore amica”.
Su questa stessa linea di pensiero è Venusia (abruzzese, attualmente a Strasburgo e presto di ritorno a Oslo):
“Trovo che ‘Il nido di vetro’ parli ad ogni madre, ad ogni genitore, e persino a chi figli non ne ha. Giuliana ci fa riflettere sulle difficoltà, le gioie, le abitudini e le contraddizioni della nostra vita. Ci mette davanti agli stati d’animo legati alle scelte complicate, ai valori chiave della vita, misti alle superficialità a cui siamo affezionati e alle quali non vogliamo rinunciare. Racconta la forza che abbiamo a volte, quando serve, e come viviamo nei momenti di emergenza totale, quando le nostre forze sono tutte concentrate sulla nostra sopravvivenza fisica, mentale o spirituale, o su quella delle persone che amiamo. Questo libro che pensavo essere un racconto legato ad una storia particolare, mi ha parlato anche della mia vita”.
‘Il nido di vetro’ non è un semplice libro, ma un cammino, da cui si uscirà cambiati, è chiudere uno dei cerchi della vita, perché è questa, a volte, la vera bellezza del leggere, è ritrovarsi e riuscire a fare quel passo in più con se stessi per poi potersi dire, come Cristina si è detta: “Ecco, cosa mi mancava di sapere”.
Carla Cristofoli
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‘Il nido di vetro: Una piccola storia d’amore’, Giuliana Arena, Edizioni San Paolo
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SINOSSI – Nel 2011 il secondo figlio dell’autrice nasce con più di tre mesi di anticipo e un peso di 830 grammi. Alcuni anni dopo, Giuliana Arena decide di raccontare, in questo mémoire, il lungo e difficile percorso nella Terapia Intensiva Neonatale. L’intento è di mettere a fuoco il vissuto di una madre che si trova, inaspettatamente, in un mondo del quale neanche sospettava l’esistenza, a lottare con il suo bambino per la sopravvivenza e per una vita dignitosa. Le emozioni contrastanti, la solidarietà con le altre mamme, la strana normalità che si crea in un luogo di regole diverse e lontane da quelle a cui siamo abituati, gli alti e bassi, la gioia per progressi minimi, che assumono lì dentro un valore immenso, la relazione complessa con la vita all’esterno, con l’altro figlio, con il compagno, il rapporto con i medici e gli infermieri, particolare e denso di umanità: tante storie di disperazione, ma soprattutto di speranza, intrecciatesi a quella dell’autrice. Il racconto si chiude con la fine di quel percorso, che ha portato il piccolo Matteo a casa, lasciando nella sua famiglia la consapevolezza di aver compiuto un viaggio straordinario nel mistero della vita.