Stravincono i populisti. Oltre il 32% al Movimento a 5 Stelle, Lega primo partito della coalizione di destra staccando largamente Forza Italia. Crollo del PD intorno al 19%, nel centrosinistra è il solo partito che ha raggiunto il quorum. Dimissioni del segretario Renzi, dopo la formazione del nuovo governo. Liberi e Uguali non raggiunge nemmeno le percentuali di Rifondazione comunista, fermandosi al 3,2%, Italia spaccata in due. Al nord domina la destra a sud 5 Stelle ovunque.
Passata la buriana metereologica, in Italia è arrivata quella politica. Prima coalizione è la destra, che sarà a guida della Lega di Salvini. Primo partito, largamente, M5S che stacca i secondi (il PD) di 13, 14 punti. Quadro politico sconvolto e difficili soluzioni per la governabilità. Il Quirinale dovrà verificare a chi e come assegnare il mandato per la formazione del nuovo governo.
Partiamo dalla destra, coalizione vittoriosa in questa tornata elettorale. La vittoria della Lega imporrebbe il conferimento del mandato a Salvini che ha già chiarito di voler ascoltare tutti ma che alla fine sarà ben saldo sulle sue proposte programmatiche (abolizione Fornero, stretta sull’immigrazione, flat tax, ecc.) Appare tuttavia evidente la difficoltà del Centro-Destra nel poter formare un governo senza l’apporto di ulteriori forze politiche, mancano troppi seggi per il raggiungimento della maggioranza. In base alla nuova legge elettorale, occorrono il 40% dei seggi mentre la coalizione si è fermata intorno al 36%.
La realtà è che, in base ai numeri raggiunti, l’unico governo che il parlamento puo’ esprimere sarebbe una coalizione tra M5S poco sopra il 32% e Lega sopra il 18%, magari con l’aggiunta di Fratelli d’Italia con il suo 4,5%.
I 5 Stelle nelle immediate ore dopo il voto hanno gonfiato il petto di soddisfazione affermando, con Di Battista, che tutti i partiti saranno costretti, per il futuro del paese, a parlare con loro.
L’evidenza del voto dimostra che gli italiani reclamano una discontinuità. Al PD non è stato sufficiente: l’uscita dalla crisi, i segni evidenti della ripresa economica, per indurre gli elettori a confermare l’attuale formula di governo. Anzi la sconfitta inequivocabile del partito di Renzi e il sostanziale insuccesso di Forza Italia, provano che gli italiani chiedono una chiara svolta politica, quindi niente grosse coalizioni, come in Germania, niente inciuci, come volgarmente vengono definite le grandi intese per il bene nazionale.
Una svolta chiara che si palesa nel successo dei populismi di M5S che gode del sostegno di un cittadino su tre e della Lega che è da considerare, sul piano politico e non solo dei numeri, il vero vincitore di queste elezioni.
Lega e 5 Stelle per ovvi motivi domandano entrambe la guida del paese, e alla base del successo grillino, vi è certamente l’aver abbandonato la veste puramente contestataria per assumere un profilo istituzionale che Di Maio ha voluto affermare più volte nel rassicurare l’Europa, nell’aprirsi a possibili alleanze di scopo sul proprio programma, il limite è che i 5 Stelle vorrebbero un sostegno senza concedere nulla ad eventuali alleati, vorrebbero creare una sorta di monocolore di minoranza che goda della non sfiducia del parlamento, siamo, insomma, alle vecchie alchimie della prima repubblica.
La realtà è che i populisti, dopo un risultato cosi chiaro ed inequivocabile, hanno il diritto ma soprattutto il dovere di governare. Questo anche per le tante affinità che i due partiti hanno presentato, su temi essenziali della loro campagna: L’abolizione della legge Fornero, la contrarietà all’Europa, lenita tatticamente nelle ultime settimane di campagna elettorale, pur restando sul piatto l’uscita dall’Europa per referendum che è nel programma della Lega e che fino a ieri era una proposta di Grillo; la lotta all’immigrazione e il prima gli italiani, che accomuna entrambe le forze, certo vi sono anche differenze nette, ma vi furono anche tra Berlusconi e Bersani che tuttavia, per senso di responsabilità, sostennero il governo Monti, senza dire del governo Renzi con Alfano e parte del centrodestra in coalizione.
Si tratta di una prova di maturità per chi come loro, oggi invoca di sedere a Palazzo Chigi. Una prova a cui non si puo’ poi, nei fatti, venire meno. Chi ha votato ha detto: “No! A grosse coalizioni, Si ad un governo a guida populista”.
La Lega sembra tentata da questa possibilità anche se, ancora in queste ore, propone di andare a questo dialogo con tutto il centrodestra di cui è guida. E’ evidente che la sconfitta di Berlusconi, che si assomma alla caduta del PD, sconsiglia in primis a Berlusconi di andare in coalizione con Di Maio, ma in secondo luogo per i 5 Stelle sarebbe indigeribile un governo con il loro nemico, con colui per il quale nacque il “Vaffa day”.
Ecco perché l’unica vera possibilità sarebbe l’assunzione di responsabilità di M5S con l’apertura ad un possibile accordo con Lega e magari anche Fratelli d’Italia. Ipotesi forse gradita a Di Maio ma molto meno a Grillo. Le remore grilline sono tutte nel calcolo delle perdite che questa scelta comporterebbe tra i suoi elettori, la dove la consistente componente di origine a sinistra, mal sopporterebbe un accordo con l’estrema destra.
Pero’ va ricordato che quando Renzi antepose il Paese al partito, sapeva bene che si sarebbe impantanato contro le opposizioni interne ed esterne al PD, ma lo fece nell’interesse di dare un governo e riforme sostanziose ad un paese che era sull’orlo dell’abisso.
Viceversa, Lega ed M5S con eventuali altri supporti, si troverebbero un Paese che obbiettivamente, nei numeri, sta molto più in salute di quanto lo fosse nel 2013, questo dovrebbe rendere meno amaro l’onere e più gradito l’onore di guidare la nazione.
La gente li ha votati questa volta non perché facessero ancora dell’opposizione (e a chi, verrebbe da chiedersi, a questo punto), ma perché dessero al paese un governo senza equivoci (in tal senso il no ad ipotesi di grosse coalizioni) con la speranza che si realizzassero le promesse elettorali più volte sbandierate.
L’elettorato ha premiato questa svolta “moderata” dei nostri populismi e non è un caso che, sia la destra neo-fascista di Casa Pound e Forza Nuova che le contestatarie forze dell’estrema sinistra LeU o Potere al Popolo hanno avuto percentuali infime. Hanno premiato questa svolta, proprio perché chiedono di essere governate da queste forze che sono considerate nuove e per certi versi del tutto differenti dalle tradizionali forze politiche che hanno gestito l’esecutivo lungo tutto il corso della seconda Repubblica.
L’altro tema che esce dalle urne è quello della sinistra italiana, la quale vive una crisi non dissimile dalle grandi formazioni della sinistra europea. Il Partito Socialista in Francia è scomparso, idem in Spagna, malissimo in Germania dove la SPD è ai suoi minimi storici. Tuttavia, nella débâcle del Partito Democratico, vi è molto di nostrano.
Il PD di Renzi sconta una serie grave di errori che si sono assommati e che devono indurre quel partito ad un serio ripensamento dei suoi programmi. In primo luogo un non errore ma un motivo di difficoltà grave fu certo l’aversi fatto carico di un governo con un parlamento non “proprio”, uscito dal pasticcio elettorale del 2013.
Un esperienza questa utile all’Italia che ne ha beneficiato uscendo dalla crisi ed avviando la ripresa, ma che ha indubbiamente logorato l’immagine di quella dirigenza, con continue divisioni interne, con compromessi che hanno offuscato quel coraggio di proporsi fino in fondo quella rottamazione di idee e di personale che era stato promesso nel partito ma anche nella gestione della cosa pubblica. In realtà, solo dopo quattro anni di guerriglia il PD ha visto uscire la vecchia nomenclatura, un po’ tardi.
Solo dopo quattro anni ha iniziato a vedere i frutti del proprio impegno governativo.
Come se non bastasse vi è stata poi la pessima gestione del referendum costituzionale, con la personalizzazione da parte di Renzi di un tema che andava ben al di là della sua pur capace persona, una cosa che ha indispettito molti elettori e che ha definitivamente segnato la fine del feeling tra l’ex sindaco fiorentino e i cittadini che in adorazione l’avevano sostenuto fino a far scalare il PD la ragguardevole soglia del 41%.
L’uscire di scena con le dimissioni, per poi subito rientrare, come la difesa giusta ma inopportuna della validissima ministra Boschi, il legame a personaggi come Marchionne o ad una certa establishment economico e finanziaria, del tutto legittimo per chi fa il capo del governo, hanno concorso tuttavia ad incrinare ulteriormente i rapporti con una grossa parte dell’elettorato che ha da sempre un’autentica idiosincrasia verso quelli che un po’ banalmente e spesso erroneamente sono chiamati ‘poteri forti”.
La realtà è che Renzi gode di un fortissimo sostegno interno alla base del suo partito, ma è definitivamente (ma in politica non c’è mai nulla di definitivo) inviso alla stragrande maggioranza degli italiani. Il PD è un partito che deve aspirare alla conduzione del Paese e questo impone evidentemente di modificare il quadro dirigente a partire dal suo leader.
Ma il problema non è solo negli uomini, la colpa non puo’ essere ridotto al solo Renzi, sarebbe non solo ingiusto ma anche fuorviante. La realtà è che va ripensato cosa è (se è) la sinistra del terzo millennio. Il grottesco risultato di Liberi e Uguali che ha detta di D’Alema sarebbe pervenuto alla doppia cifra e che a conti fatti prendo meno di quello che prese il già piccolo partito di Rifondazione Comunista, dimostra una cosa, che al sottoscritto appariva già chiara da tempo, non esiste più un elettorale tradizionale della sinistra.
L’essere usciti dal PD per unirsi a gruppetti sparsi dell’infinita e divisa galassia della sinistra, non ha permesso di recuperare né i voti che andavano ai grillini, e tanto meno quelli degli scontenti del PD « renziano ».
A questo punto i democratici devono porsi all’opposizione, sarebbe un errore tragico fare la stampella di un governo a guida grillina, far fruttare la posizione comoda di chi contesta e critica, dopo un quinquennio faticosissimo che tuttavia aveva dato dei suoi risultati.
E’ evidente che la politica di oggi non puo’ più solo fondarsi sui dati reali, sui numeri di occupati, sulle fabbriche salvate, sul denaro evaso e recuperato, sulla riduzione della criminalità, ed altro. Oggi occorre fare i conti anche su una verità percepita che magari non è oggettiva, reale, ma che diventa reale nello scontento di chi non ha usufruito direttamente delle migliorie e dei progressi che il governo ha realizzato.
Si impone cosi una presenza ed una vicinanza della politica alle persone ai loro disagi quotidiani ed esistenziali, operare non solo sulle cose ma, oserei dire, anche sulle sensazioni.
Va presa coscienza una volta e per tutte, che sinistra novecentesca è finita. Anche noi cercheremo di capire cosa è oggi la sinistra italiana, ma è forse prematuro affrontare un tema cosi complesso nelle immediatezze del voto quando ancora si stanno spegnendo i riflettori dei comitati elettorali.
E’ evidente che se a Bologna Casini travolge Errani, se nella sua Palermo, Grasso leader di LeU prende poco più del 5%, se a Sesto San Giovanni vince la destra, è evidente che non ha più senso di parlare di tradizione nel voto. In primo luogo perché è cambiato il mondo e anche l’Italia, in secondo luogo perché non c’è più quella geografia ideologica che ha caratterizzato tutto il nostro novecento.
Probabilmente è il concetto di sinistra che va anche rivisto, chiedendosi se non sia l’ora di abbandonare le infantili posizioni di supremazia morale, di antifascismo da trincea, quando la nuova destra ha forme e contenuti diversi da quello che fu il ventennio di Mussolini. Occorre chiedersi se sia ancora cosi semplice coniugare quella uguaglianza e libertà che furono il tema del libretto di Norberto Bobbio (Destra e Sinistra) che ha costituito in questo ventennio il primo riferimento della sinistra italiana post berlingueriana e che costitui una mirabile e condivisibile sintesi se connessa a quel secolo che il pensatore aveva appena lasciato, e se non sia piuttosto l’ora di capire che, nel mondo di oggi e nelle democrazie di oggi, il concetto di eguaglianza non puo’ più essere quello semplice e semplicistico che caratterizzo’ le rivoluzione francese e poi l’utopia sovietica del 1917, chiedendosi se oggi non sia proprio la libertà il valore principe del nostro tempo.
Ma questa è un’altra storia e magari noi ci torneremo, ma certamente anche la sinistra nelle sue varie articolazioni ci tornerà.
Elezioni italiane : Trionfo a 5 Stelle.
Caro Nicola,
non son mica convinto che Renzi sia tutt’oggi tanto amato all’interno del suo partito …
D’altra parte, gli Italiani hanno chiesto 2 cose :
lavoro
sicurezza
e credono più alle promesse di un M5S acchiappatutto oppure a quelle sovrane della Lega …
Elezioni italiane : Trionfo a 5 Stelle.
Gentile Giampaolo,
probabilmente ancora oggi dentro al PD, Renzi non è molto amato, certamente lo è molto dalla base degli iscritti. Sicuramente, non è molto amato dagli italiani, credo che a questo scarso amore abbia contribuito molto l’informazione urlata e sensazionalista delle televisioni. Difficilmente all’estero si vedono premier, magari con maggiori demeriti, cosi offesi e vilipesi come in Italia. Gli italiani volevano lavoro ed in effetti, i governi Renzi e Gentiloni avevano sensibilmente migliorata l’occupazione, evidentemente cio’ non era sufficiente, malgrado la spaventosa crisi economica mondiale da cui veniamo. Credo che tuttavia, a bocce ferme, molti dovranno riconsiderare Renzi per quello che è stato e che avrebbe potuto essere. Oggi l’Italia è culturalmente divisa ma insieme attratta da due sirene, che aimé sono foriere di sventura. A nord un abbassamento di tasse, impossibile con il nostro debito pubblico e che comunque alimenterebbe le diseguaglianze nel paese. A Sud dalla speranza (che avvilisce) di avere nuovo assistenzialismo con la promessa (impossibile da realizzare) del reddito di cittadinanza, una misura oltretutto che avvilisce ancora di più i meridionali che viceversa dovrebbero invocare più lavoro e dignità.