Il confronto tra gli “eroi” di Dumas e Manzoni evidenzia la laicità di D’Artagnan e come Renzo sia uno strumento della Provvidenza. Il romanzo di Dumas sembra più vicino ai canoni della modernità dei nostri tempi.
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Devo confessare qualcosa legata alla mia infanzia.
La mia “insana” passione per il moschettiere D’Artagnan per la sua strepitosa bravura come schermitore e l’altrettanto grande valentia nel giostrare di lingua: D’Artagnan è guascone cioè uomo del Sud capace di vanterie e di provocazioni, di inesauribile ottimismo e di spericolata audacia. È un personaggio unico che attira l’entusiasmo e la partecipazione del lettore.
Non c’è nulla di simile nel contemporaneo romanzo di Manzoni. Renzo che potrebbe alla lontana richiamarlo è un ingenuo contadino che ha un’unica battuta sospetta di guasconeria, “ci sarà giustizia alla fine in questo mondo” – immediatamente corretta dall’ironia manzoniana, “Quando un uomo non sa quel che si dica.”
Eppure il romanzo manzoniano “I Promessi sposi” è coevo a quello dei “Tre moschettieri, ma c’è una distanza abissale tra il clima storico dei “Promessi sposi” e quello del romanzo di Dumas. Confesso che tra D’Artagnan e Renzo, quest’ultimo non godeva mai della mia simpatia. È vero, è perseguitato ed in apparenza un perdente, un vinto.
Le sue bravate a Milano rasentano non la gloria ma la dabbenaggine. Si fa infinocchiare dal poliziotto che lo identifica come “reo buon uomo”, si illude su l’azzeccagarbugli e compie ingenuità strane oltremisura. Il problema è che Renzo è uno strumento nelle mani dello scrittore per dimostrare che per quanto egli si dia da fare è sempre la Provvidenza ad intervenire per sistemare la vicenda. È un personaggio a tesi per quanto il più libero forse rispetto a Lucia e dopo don Abbondio.
D’Artagnan è, invece, totalmente libero. La sua espansione vitale è un autentico slancio, non ha limiti né confini. È lo spirito dell’avventura, l’amore del rischio unito ad una straordinaria, elementare astuzia. D’Artagnan non è l’eroe dell’ingiustizia offesa, né lo specchio di un’era, vive, ribadisco, con totale libertà.
È lo stesso l’atteggiamento di Dumas nei confronti della storia. La storia, il periodo della fronda parigina, non viene giudicata. Non c’ è un peso morale sulla narrazione. Lo scrittore sceglie un campo di azione, è partigiano della monarchia. Il nemico è il cardinale per eccellenza, Richelieu. Ma l’interessa il senso dell’amicizia tra i moschettieri e lo spirito della gioventù.
Renzo non sembra esser giovane. “I Promessi sposi” è stato definito da Moravia, il romanzo d’amore senza amore, ma è anche il romanzo della gioventù senza gioventù.
“I Promessi sposi” trovano la loro grandezza nel sentimento religioso che unifica l’azione.
Carmelina Sicari