Proprio in questi giorni moriva, dieci anni fa, Noberto Bobbio, autore del fortunatissimo “Destra e Sinistra”. Strenuo difensore dell’eguaglianza e della libertà. Con Gramsci e Lombardi tra i costruttori di una sinistra che si opponeva agli autoritarismi, difendendo la sua identità. Al tramonto del berlusconismo, il suo pensiero ritrova intatta la sua attualità.
Se si dovesse procedere con ‘le droit d’inventaire’, il diritto di inventario e bilancio della cultura e del pensiero con relativa prassi politica della sinistra italiana, questo mirabile 2014, l’anno delle elezioni europee, impone e pretende, per tre straordinarie ricorrenze, di dovere fare i conti con Antonio Gramsci, che 90 anni fa, il 12 febbraio 1924, fondava l’Unità, e con l’anniversario della morte 10 anni fa, il 9 gennaio 2004, di Noberto Bobbio, e 30 anni fa, il 18 settembre 1984, di Riccardo Lombardi.
Soltanto nomare questi tre grandi ‘uomini di cultura’ e dire e raccontare della loro storia umana e politica, rende immediatamente visibile l’enorme baratro incolmabile che li divide dall’attuale personale politico che, affetto da profonda ‘in-cultura’, procede a tentoni, brancola nel buio, senza alcuna bussola d’orientamento verso quelli che sono stati invece i valori, libertà, uguaglianza, giustizia sociale ed i principi, rigore e coerenza, etica e laicità, che hanno contraddistinto la vita dei tre ‘uomini di cultura’.
Certo, si può obiettare, non siamo più nel secolo scorso, e temporalmente è vero, ma se ci si riferisce ai valori, ai principi e alle idee che hanno mosso i comportamenti e le azioni di questi ‘eretici’ della storia culturale e politica della sinistra italiana, è difficile non convenire sulla loro validità e attualità.
Il 9 gennaio 2004, dieci anni fa, moriva Noberto Bobbio, l’autore del fortunatissimo « Destra e Sinistra », un inno all’uguaglianza quale discrimine tra destra e sinistra, categorie che tutti, anche a sinistra, ritenevano e ritengono obsolete e superate. « La discussione sul presunto superamento di concetti come ‘destra’ e ‘sinistra’ ha un difetto di fondo: quello di indurre a credere che, nel mondo di oggi, ci sia bisogno di meno politica di quello di una volta, ossia di meno ideologia, meno partiti, meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al cambiamento, inteso come generale progresso dell’umanità”, chiariva Bobbio, mentre invece “i problemi globali dimostrano che solo un intervento collettivo di sana governance puo’ mettere il nostro pianeta sulla strada giusta ».
Tre anni prima, nel 2001, si era ritirato a vita privata, aveva smesso di dire la sua sui fatti della cultura e della politica di un Paese, l’Italia, da cui si era dimesso, tanto se ne sentiva profondamente estraneo. A pesare e non poco, le incertezze della sinistra e le sue disfatte. La scomparsa del Partito socialista a cui, pur in modo assai sofferto, si era avvicinato, soprattutto alla rivista Mondo Operaio, travolto da Tangentopoli e dal bonapartismo di facciata di Bettino Craxi.
Ma la delusione venne anche sul versante di quel Pci verso il quale tenne sempre un atteggiamento di assoluto rispetto: “né con loro, né contro di loro”. La delusione di Bobbio, né filo né anti comunista, come l’a-comunista Lombardi ed in fondo come l’anti-stalinista Gramsci, fu, dopo il crollo del Muro di Berlino, che sanciva il fallimento del ‘mito’ dell’Urss e del comunismo storico, nel non aver saputo (o voluto?) cogliere l’occasione storica di costruire un grande partito progressista del socialismo europeo.
Poi, ineluttabilmente venne e non poteva essere altrimenti perché in politica un vuoto viene sempre colmato, la stangata finale: la “discesa in campo” dell’uomo di Arcore, Silvio Berlusconi, e con essa la sconfitta della cultura, della filosofia, della scienza della politica e persino della storia e si impose il mito di una modernità fatua e priva di valori.
Fu allora che il filosofo azionista tirò i remi in barca, quasi si rassegnò: “non c’è speranza […] l’Italia è un Paese di destra”, disse. Ma non fu il solo: l’economista Paolo Sylos Labini affidò il suo grido di dolore ad un pamphlet “Ahi, serva Italia!”.
A Bobbio, come a Sylos Labini, Berlusconi appariva, anzi era il figlio legittimo dell’Italia della televisione come unico sistema di valori, dell’Italia del marketing come metro universale di giudizio, dell’Italia del malaffare e insieme dell’avanspettacolo: era quella Italia a essere giunta, trionfalmente, al potere.
Era questo, il passaggio disastroso dalla Prima alla Seconda Repubblica, con la fine ingloriosa del Psi di Craxi e l’involuzione del vecchio Pci, ed il trionfo di Berlusconi, l’esito della lunga e tormentata storia per la quale si era spesa al prezzo di privazioni e umiliazioni fisiche e morali la sua generazione, fatta di uomini come Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Piero Calamandrei, Gioele Solari, Vittorio Foa, Riccardo Lombardi e tanti altri? Era questo l’esito della Resistenza e dell’antifascismo, del ‘vento del Nord’ e della ‘Repubblica’ che aveva scoperto il significato della “riforma intellettuale e morale” di Gramsci che volle accanto a se all’”Ordine Nuovo” Gobetti?
Ora l’assenza di onestà e rigore intellettuale, di coerenza morale e politica, non poteva produrre alcun vero e duraturo cambiamento nella direzione dell’affermazione di quel valore per Bobbio insopprimibile ed inalienabile: l’uguaglianza che, nel legarsi con l’altro valore altrettanto insostituibile, la libertà, è e resta, al di là delle elucubrazioni intellettuali dell’intellighenzia neoliberista montante di stampo blairiano, proveniente oltre Manica, “il nucleo irriducibile, ineliminabile e come tale sempre risorgente, insieme ideale, storico ed esistenziale”. Come, “quello che importa, in questo riaffiorare di miti consolatori ed edificanti, è di impegnarsi a illuminare con la ragione le posizioni in contrasto, a porre in discussione le pretese dell’una e dell’altra, di resistere alla tentazione della sintesi definitiva, o della opzione irreversibile, di restituire, insomma, agli uomini, l’un contro l’altro armati da ideologie in contrasto, la fiducia nel colloquio, di ristabilire insieme col diritto della critica il rispetto dell’altrui opinione”.
Il contrasto fra le due idee d’Italia non poteva essere più netto. Nell’Italia di Bobbio e della sua generazione è sempre prevalso il rispetto assoluto dello Stato di diritto e dei cittadini: la democrazia come valore in sé è stato, infatti, uno dei principi basilari, formali, non formalistici, che Bobbio e la sua generazione ci hanno lasciato ma che purtroppo veniva e viene sottoposto a scorribande continue da parte dei sedicenti nuovi ‘liberali’ e ‘democratici’ in nome della “modernizzazione” e sotto le mentite spoglie delle “riforme”, divenute l’esatto contrario di leva per il miglioramento delle condizioni di vita dei più deboli, degli ultimi, di coloro che chiamò, “gli schiacciati dai grandi potentati economici”.
Uomo del dubbio, e non delle certezze, come del resto gli altri due, Bobbio non venne meno alla sua trasparenza e colse un po’ tutti di sorpresa, nel 1999, quando in una intervista al ‘Foglio’ per la prima volta parlava di quella parte del suo passato, legata agli inizi della carriera universitaria e ricostruiva i tempi della ‘doppiezza’, in cui era stato “fascista con i fascisti e antifascista con gli antifascisti”, rifiutando di accettare la lettura storica comune secondo cui tutti o quasi gli intellettuali italiani avevano condiviso un percorso del genere. E citò il suo maestro, Gioele Solari, o il suo amico l’azionista Leo Valiani, ed il coraggio di tanti che non si erano arresi: finiva insomma col ribadire le proprie responsabilità.
Non contento, mandò un articolo dal titolo « Io e il fascismo, lasciatemi dire », al quotidiano che ospitava una sua rubrica con i lettori, ‘La Stampa’ della sua Torino, in cui spiegava di non essere stato vittima di alcun tranello o trappola ma di aver avvertito un autentica voglia di liberarsi del peso che lo aveva oppresso per tanti anni.
Carlo Patrignani