Di Monica Guerra: ‘Entro fuori le mura’ (Arcipelago Itaca)

Per Missione Poesia, presentiamo l’ultimo libro di Monica Guerra che prendendo spunto da luoghi conosciuti, da fatti e personaggi del quotidiano ci fa riflettere sulle barriere che si ergono, o che noi stessi ergiamo – difficili da abbattere ma riconoscibili e da combattere perché in fondo sappiamo benissimo che ciò di cui siamo fatti è anche quello che potremmo diventare, e non solo quello che siamo.

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Monica Guerra (Faenza, 1972) è presente in antologie contemporanee e collabora con alcune riviste letterarie. Ha pubblicato Il respiro dei luoghi, saggio scritto a quattro mani con il sociologo Daniele Callini (Il Vicolo 2014), Semi di sé (Il Ponte Vecchio 2015), Sotto Vuoto (Il Vicolo 2016). La sua opera bilingue Sulla Soglia – On the Threshold (Samuele Editore 2017), auto tradotta con la collaborazione del poeta Patrick Williamson, ha ricevuto una Menzione d’onore alla XXXII edizione del Premio Lorenzo Montano, ed è stata pubblicata anche in lingua spagnola con il titolo En el umbral per Uniediciones Sello Editorial, per la traduzione di Antonio Nazzaro.
Nel 2018 Guerra ha tradotto in italiano una sezione dell’antologia Hundred Great Indian Poems curata da Abhay Kumar (Bloomsbury, India 2018); nel 2019, la sua silloge inedita Spezzare il pane ha ottenuto il Premio Arcipelago Itaca ed è stata pubblicata nel “Quarto Repertorio di Poesia Italiana Contemporanea” (Arcipelago Itaca); nello stesso anno la raccolta Expectations, in lingua inglese, è stata pubblicata con una prefazione del prof. Ernesto Livorni nel “Journal of Italian Studies”, sezione italiana, per il NeMLA (Northeast Modern Language Association). Nel gennaio 2020 esce Nella moltitudine (Il vicolo 2020), con prefazione di Francesco Sassetto; la sua ultima pubblicazione Entro fuori le mura (Arcipelago Itaca, 2021) esce con una post-fazione di Sandro Pecchiari e alcune fotografie realizzate per le sezioni del libro da Virginia Morini.
Ha ottenuto riconoscimenti in vari premi: “Poesia Onesta” (2020), Premio “Lorenzo Montano” (2020- 2019-2018), Premio “Parasio” (2020), Premio “Arcipelago itaca” (2019), Premio Letterario “Giovane Holden” (primo premio, 2017), Premio “Gutenberg” intitolato a “Luciana Notari” (primo premio, 2017), Premio città di “Martinsicuro” (2016) e Premio “Monti Lepini” (primo premio, 2014).
Cura dal 2016 la rassegna “Poetry” a Faenza e ha organizzato le prime due edizioni del Festival di Poesia “Tres Dotes”. È presidente dell’Associazione IndependentPOETRY. (www.independentpoetry.org).

Conosco Monica Guerra da diversi anni e, da sempre, la stimo molto per la sua capacità organizzativa, critica, di relazione e ovviamente per la sua capacità autoriale in poesia. Questa raccolta fonda le sue radici in un’etica filosofica di avvicinamento alla concezione umana di profonda solitudine che costringe l’uomo, sempre più spesso, ad allontanarsi dai suoi simili, a isolarsi – più o meno volontariamente – a interrompere quel filo relazionale di contatti e scambi che da sempre contraddistingue la specie. Non è una poesia senza speranza la sua, c’è una sorta di riscatto, di slancio finale verso la libertà e il recupero di ciò che conta certo, ma è una poesia che fa riflettere sul senso che vogliamo dare al nostro essere parte di questo mondo, e che ci attende, al di là o al di qua di quelle mura, per farsi parte integrante del viaggio e della sua destinazione.

Entro fuori le mura

Non appena si prende visione del libro di Monica Guerra, Entro fuori le mura (Arcipelago Itaca, 2021), la parola del titolo che ci colpisce all’istante è senza dubbio mura: le mura, o il muro sono infatti un elemento che tormenta, per certi versi, l’immaginario collettivo con una prevalenza di significato al negativo. Questa parola suscita immediatamente la visione di un qualcosa che si erge davanti a noi, che ci impedisce la vista di quello che c’è oltre, che ci imprigiona, ci soffoca, limita la nostra mente e i nostri sensi tutti.

Provate a chiudere gli occhi e a ripetervi mentalmente questa parola e vedrete che è così. La barriera che si erge davanti a noi, pensando alle mura – spesso anche se queste rappresentano quelle della nostra casa che per molti, purtroppo, non è solo rifugio, ma diventa prigione – è quindi origine di ansie, angosce, paure più o meno forti, più o meno spaventose. Simbolo di divisione, allontanamento, separazione, incomunicabilità, il muro, o le mura che dir si voglia, in modalità realistica o metaforica – comunque la mettiamo – sono un elemento con il quale ognuno di noi, prima o poi, ha dovuto o dovrà confrontarsi: e, poco cambia, che ci troviamo, o ci immaginiamo, fisicamente o mentalmente, dentro o fuori da questo elemento, al di qua o al di là della barriera perché difficilmente ci sentiremo in una comfort zone, non sapendo né come entrare in quello spazio né come uscirne. Forse, allora, uno dei modi più catartici in cui possiamo imbatterci per metabolizzare quest’immagine e questa forte emozione che ci assale quando la visualizziamo è, possibilmente, la poesia.

Monica Guerra, con questo libro, prendendo spunto da luoghi conosciuti, da fatti e personaggi del quotidiano – principalmente -, con sezioni ben specifiche della raccolta (La misura del vuoto, Istantanee, La paralisi del giorno, Nonostante), tutte precedute da imput suggeriti da versi di grandi maestri della letteratura (da Heaney a Rilke, da Simić a Porta, da Lucrezio a Handke), prova a farci riflettere su tutto questo e ad accompagnarci in un percorso fatto di incontri, di visioni, di pensieri – per la maggior parte calati nella realtà – per dimostrarci come le barriere che si ergono, o che noi stessi ergiamo – sono sì difficili da abbattere ma sono altresì riconoscibili e che, in fondo, dipende principalmente da noi il sapersi destreggiare nelle tortuosità della vita, osservando, interagendo, comprendendo: in fondo sappiamo benissimo che ciò di cui siamo fatti è anche quello che potremmo diventare, e non solo quello che siamo.

Un’altra riflessione che potremmo fare, inoltre, è che da sempre i poeti si sono confrontati con la tematica del muro e, a parte gli esempi dei già citati autori di riferimento di Monica Guerra, non possiamo non pensare allo “scalcinato muro” di Montale in Ossi di seppia limite invalicabile per l’uomo che non può scavalcarlo in quanto ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, metafora dell’impossibilità di attingere alla pienezza della vita, di conoscere la felicità, a meno che non si trovi il modo di fare come il falco, che vola in alto e non si interessa di ciò che accade sulla terra… ma il muro resta invalicabile. Non possiamo neanche non pensare al muro del Pascoli, quello che recinge l’orto di casa rendendolo un luogo protetto, difendendo ciò che è intimo e privato : ma il restare al di qua senza voler sapere cosa c’è al di là (al contrario di Leopardi che puntava a immaginare cosa ci fosse al di là della siepe) è comunque un volersi separare dal mondo attraverso una barriera. E poi ci viene in mente il muro di Joyce, ovvero l’incapacità di agire attribuita alla Gente di Dublino, che diventa sia fisica che morale nel momento in cui essi, pur non accettando la condizione in cui vivono, non riescono a rompere le catene affettive, politiche, religiose o culturali che siano, paralizzati come sono da blocchi interiori che creano una mancanza di forza di reazione.

Fatte queste premesse, entriamo dunque nel merito di Entro fuori le mura, per approdare alla prima sezione del libro, La misura del vuoto, laddove il vuoto interiore si riempie comunque delle presenze di persone note che vengono dal passato o vivono nel presente e che, con lo scorrere dei testi, sembrano sfumare in una dimensione puramente sensoriale che pure si manifesta in tutta la sua potenza per restare impressa nella memoria. Dei molti versi mi hanno colpito quelli dedicati a Giovanni (vivo per poesia) ospite di una casa protetta e, come molti, costretto all’isolamento per via del Covid. Qui, la dimensione della separazione dal resto del mondo, si fa più dura, quasi spietata, scandita a colpi di provvedimenti, qui si vive come in una bolla di sapone, sperando che non scoppi: […] Giovanni non esce da febbraio/il protocollo – ripetono/di mese in mese – in casa protetta/è un diluvio di cedimenti//sporadici e improvvisi refertano/ – nulla a che vedere/con l’artiglio dell’isolamento -.

Istantanee, è la sezione che fotografa momenti in cui l’autrice, attraverso una poesia costruita per frammenti e per visioni, racconta attimi di vita vera, comportamenti, parole, gesti che l’hanno colpita – e che immancabilmente colpiscono noi -: sono tutti flash che, se pur provenienti da interazione, contribuiscono ad un allontanamento da questa, riconducibile alla duplice esegesi di uno scarto dal valore del rapporto messo in scena e da quello che potrebbe nascere con l’osservatore, oltre che – per alcuni di questi – a una dimensione ancor più degenerativa perché rafforzata dal condizionamento d’immagine obbligato dall’uso dei social: le risate nude nelle foto ognuno/il suo profilo preferito stasera/nemmeno le amiche ma/l’abitino è succinto – al banco/qualcosa da bere -/sotto quel trucco un ragazzo/la camicia bianca da uomo – a casa/non c’è mai nessuno[…].

Nella sezione La paralisi del giorno ecco che il muro torna ad essere simbolo di una qualche protezione per sé stessi, anche se solo in apparenza. Compare qua e là qualche emblema rassicuratorio che, tuttavia, è ancora lontano da una certa serenità di visione se pure gli elementi più temibili, quelli che riportano alle paure, sembrano poter essere controllabili. Non sappiamo se questo dipenda da una minore forza di diramazione o da una nuova consapevolezza che permette alla donna – autrice – protagonista di sapersi difendere, sappiamo solo che compaiono versi con parole più capaci di irrigazioni positive che, se pure velati di malinconia e ancora di solitudine, sanno aprire spiragli: ma tu srotola le ciglia/scompiglia i nidi vergini//la verità freme libera/in una tana disabitata.

L’ultima sezione del libro, Nonostante, ci conduce nel porto quasi sicuro dell’accoglienza: ci siamo arrivati per un passaggio periglioso, stretto e malfermo, ma una luce si intravede sul fondo. Da ora in poi, ciò che faremo dovrà esulare dal risultato, e ignorare la presenza di quel vuoto inibitorio iniziale: tutti i sensi, nessuno escluso – sembra dirci l’autrice – saranno coinvolti per confortarci e farci apprezzare la bellezza che incontreremo: i giorni in piedi sul fondale/ – la vita sgomita nella piana -/l’innesto della solitudine/è un grumo di rumore/ e nonostante setacciamo/conchiglie fra le pene/sollevarsi è infilar l’onda/nel canto di ogni voce. Poi è il testo finale, l’appendice, che quasi detta le regole della poetica del libro, concludendolo e aprendolo a nuove interpretazioni. Luoghi noti e riflessi di altri luoghi, finzione e realtà, memoriali e liberazioni: tutto può accadere quando ci riconosciamo in qualcosa di vivo, di reale, di inaspettato che ci apre spazi di libertà. Ma la libertà si conquista attraverso il viaggio, stratificato in tempi, luoghi, e spesso con la consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere sempre una meta… lo aveva capito Giorgio Caproni che Nel muro della Terra (dantesco titolo che riporta al muro della città di Dite) ci ricorda che superare la dimensione dolorosa della vita, ovvero superare il muro della terra, non sembra essere cosa possibile per l’uomo.

Alcuni testi da: Entro fuori le mura

le idee come esuli in tempi di guardiani
ma qui è sparare a raffica all’orizzonte

tra le croci e le rose l’io superstite
entro le mura del cuore qualche mito utile

sporadiche razioni di luce e del resto
non vedere – poco importa –

fuori è rovo di un altrove tu che mormori
il vuoto non esiste rampicando solitudine

***

una domenica a nord della primavera
il thermos tra le dita sulla panchina

dietro il grido di un pavone
la voce si spezza con il pane

e allora è dissodare bene il giorno
sgranare le mani fra le briciole
per sentirsi a casa – chi a casa di chi? –

o per non sentirsi soli
la stessa razione di solitudine

una pietra il freddo ai piedi del giorno

(Faenza, Parco Bucci, 2017)

***

non un’orma fuori posto
entro le mura

la distanza è un confine
e nessun cedimento
qui tutto è vuoto e perfetto

il prato spinato
l’esilio di un fiore

***

le ore tremano tra i filari nudi
e il gelo reclama una croce
qui le voci non squillano più

ma questo sole a fette brucia
la parola brucia mentre tutto
fuori brucia lì sotto

si compie il miracolo
tra le pieghe una luna piena
implora l’armistizio

***

e la voce le mille voci
la fioritura della pietra
restiamo dove
non è il tempo là dove
lo spazio non è cosa

deludiamo i confini
e miele dai seni di ciliegio

diveniamo l’altro,
la stessa cosa

Bologna, 12 febbraio 2022
Cinzia Demi


“MISSIONE POESIA” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani. Biografie, poetica, note critiche, interviste, curiosità, ma soprattutto tanta poesia dei migliori poeti italiani del momento. QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito scrivendo in fondo a questa pagina un commento o direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinziademi@gmail.com

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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