Democrazia diretta o rappresentativa: L’Italia un anno dopo le elezioni del 4 marzo 2018

Alberto Toscano, per decenni obbiettivo corrispondente, è ora chiamato continuamente a Parigi nei centri giornalistici e di studi politici per descrivere la situazione italiana. “C’est compliqué en Italie” è la frase che si è sentita più spesso da quei francesi troppo beneducati, non spintisi oltre finanche dopo il momentaneo richiamo del loro ambasciatore a Roma. Ma ciò che appare complicato spesso non lo è più dopo che la “Fondation pour l’innovation politique” (“think-tank” di successo inversamente proporzionale alle proprie disponibilità finanziarie) pubblica dei volumi di poche decine di pagine su vari argomenti (politici, religiosi o scientifici).

Diventa più chiara la situazione italiana se si legge “Un an de populisme italien”, scritto da Toscano per questa collana, dopo che la stessa aveva pubblicato nel 2018 “L’Italie aux urnes” di Sofia Ventura (del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna), “Retraites: leçons des réformes italiennes” di Michel Martone (ex Vice Ministro del Lavoro del Governo Monti, Docente di Diritto del Lavoro alla LUISS) e dopo che nel 2017 Plon nella raccolta dal titolo “Où va la démocratie? Une enquête internationale de la Fondation pour l’innovation politique” aveva compreso le considerazioni su “Un violent malaise démocratique” di Marc Lazar.

Toscano parte dalla riforma “Rosato” della Legge elettorale nel 2017 con la divisione dei seggi parlamentari per un 1/3 in uninominale/maggioritaria e 2/3 di nomina proporzionale legata alle liste, e dal quadro delle due coalizioni di destra e sinistra e del M5S fino alle elezioni del 4 marzo 2018, di fronte in particolare all’immigrazione, la sicurezza, la pressione fiscale e le prospettive d’abbassamento dei requisiti minimi per le pensioni e il reddito di cittadinanza.
I numerosi dati statistici riportati sono utili e non appesantiscono la lettura. Cosi come quelli sul debito pubblico, che Toscano paragona a una nuvola divenuta sempre più grande sulla testa degli italiani (dal 60% nell’81 al 120% nel 93 del PIL), senza sapere se questa rimarrà tale o si trasformerà prima o poi in grandine. Seguono le descrizioni della coalizione “inedita” del patto di governo Lega/M5S, dei suoi provvedimenti anti-immigratori e della sua finanziaria per il 2019 con i rischi endogeni dell’ulteriore deficit dopo i provvedimenti d’anticipo delle pensioni e del reddito di cittadinanza, ed esogeni di fronte ai richiami dell’UE e dei suoi membri più virtuosi.

Il volume si conclude con la descrizione degli ulteriori successi elettorali locali della Lega anche sul M5S, e sulle sue alleanze con partiti affini sul fronte anti-immigratorio per le prossime elezioni al Parlamento europeo, mentre i 5S rimangono eventualmente nella necessità di completare la trasformazione da movimento in partito e in quella di cercare accordi in Europa con forze più frammentate (“gilets jaunes”), dopo che sono venuti meno anche quelli con l’UKIP, contemporaneamente all’uscita dell’Inghilterra dall’UE.

Sciences Po Altritaliani

Il volume di Toscano è stato opportunamente distribuito alla giornata di studi “4 mars 2018 – 4 mars 2019: l’Italie un an après” organizzata a Sciences Po da Marc Lazar, con il contributo di Paolo Modugno e gli interventi, della politologa bolognese Sofia Ventura, di Sergio Fabbrini (Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS), Giovanni Orsina (Direttore della “School of government” della LUISS), Marcello Messori (Direttore della “School of European Political Economy” della LUISS), Ilvo Diamanti (del Dipartimento di Economia, Società, Politica dell’Università d’Urbino ed eminente sondaggista dei principali quotidiani), Ferdinando Nelli Feroci (Presidente dell’”Istituto Affari Internazionali”, ex Ambasciatore e brevemente Commissario presso l’UE ed ex docente alla LUISS, l’Orientale di Napoli e la Harvard University), ed Ettore Recchi (professore d Sociologia a Sciences Po). Tra i “francesi” oltre a Lazar sono intervenuti: Catherine Wihtol de Wenden (del “Centre de Recherches Internationales” di Sciences Po), Nicolas Bauquet (Ricercatore dell’Institut Montaigne ed ex Addetto all’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede) e Dominique Reynié (Direttore della “Fondation pour l’innovation politique” che già nel 2011 aveva pubblicato da Plon “Populismes: la pente fatale”).

Marc Lazar

Se, come ha accennato Marc Lazar (presiedendo l’incontro non solo da Docente a Sciences Po e alla LUISS ma anche da massimo editorialista dell’Italia nei principali giornali francesi e italiani), le antitesi politiche di oggi nel bene e nel male non sono più “la destra” e “la sinistra” ma” il vecchio” e “il nuovo”, del “nuovo” fanno ora parte le “divergenze” anziché le “convergenze parallele” (attribuite da Scalfari su “L’Espresso” a Moro quando questi operò per un avvicinamento al PCI di Berlinguer). “Le divergenze parallele” è il titolo del libro d’Ilvo Diamanti, scritto con Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini e pubblicato da Laterza nel 2018, in cui il termine “divergenze” è più forte per marcare la differenza tra la Lega e il M5S nel disprezzare i sistemi istituzionali, ma parallelo rimane il loro interesse ad agire uniti nel contratto di governo. “Vecchio” e “nuovo” allora si manifestano non solo nelle definizioni geometriche, ma anche in quelle sociopolitiche: la “popolocrazia” si sostituisce alla “democrazia”; e nel “nuovo” attacco ai poteri “neutri” (es.: ISTAT, Bankitalia, Consob e altri organi “di e non del” governo che finora hanno avuto la ragione d’essere nella loro indipendenza) di “vecchio” rimane solo (e anzi è rafforzata) l’abitudine di determinarne le nomine ai vertici. Per reazione, “nuove” sono anche le manifestazioni contro il governo delle Confindustrie regionali per strada, come a Torino o a San Giovanni a Roma insieme ai sindacati. “Vecchio” ma solido e incrollabile rimane comunque il ruolo di garante del Presidente della Repubblica.

Angelo Panebianco

Le opposizioni all’immigrazione e l’antieuropeismo con la loro crescente diffusione costituiscono una nuova cultura?
La politica anti-immigratoria non ha costi, oppure li riduce, dunque continua a essere uno slogan quasi gratuito per la Lega, mentre l’antieuropeismo è conseguente alle reazioni dell’UE alla finanziaria con i costi del reddito di cittadinanza e delle riduzioni dei requisiti pensionistici voluti dal M5S, il quale anche per i riflessi economici dei rispettivi programmi si distingue allora dalla Lega. Questa “dicotomia”, secondo Orsina, è da tener presente anche se il chiasso sul crollo del ponte di Genova, o sul TAV Torino-Lione o sulle reazioni negative dell’UE o della Francia finisce con il rafforzare Salvini di fronte sia ai leaders del M5S che alle opposizioni, in conseguenza dei loro frazionamenti interni: in Forza Italia come nel PD fintantoché i rispettivi “leaders” non sono più riconosciuti tali, o fintantoché quelli nuovi: es. Toti o Zingaretti non si affrancano completamente dai precedenti: rispettivamente: Berlusconi o Renzi, come ha sostenuto Ventura, secondo la quale non si è pertanto manifestata in Italia un’evoluzione ai vertici dei partiti storicamente paragonabile ad esempio a quella del partito gaullista, e secondo la quale la parte delle donne rimane ancora insufficiente.
Di fronte al rafforzamento della Lega conviene allora al M5S assumere una struttura più partitica, ossia meglio organizzata per la formulazione dei singoli programmi, anziché fare uscire questi principalmente dagli slogans (del resto il riconoscimento come partito è già avvenuto quando Mattarella ha chiamato i leaders per le consultazioni dopo il voto).

“Vecchio” anziché “nuovo” con gli “slogans” rimane comunque il debito pubblico: la “lotta alla povertà” con il reddito di cittadinanza che entra in funzione alla vigilia delle elezioni europee e la riduzione dei requisiti pensionistici non sostituiscono la lotta alla disoccupazione in quanto con l’aumento del deficit aumentano sul mercato i tassi ossia i costi degli investimenti privati e pubblici per la produzione e dunque l’occupazione. Inoltre, come ha ricordato Messori, la variazione negativa del PIL e quella del rapporto deficit/PIL al di là del limite convenuto con l’UE, oltre a essere dovuta alla recessione è accompagnata da insufficienti riduzioni fiscali a favore degli investimenti, e dai disincentivi anche fiscali alle banche, le quali rimangono ancora numericamente troppe a livello locale e con una quota in portafoglio di titoli di Stato per i quali vale la raffigurazione della nuvola di Toscano. Infine il clima economico non sarebbe favorito se l’aumento dei tassi, seppur minimo rispetto allo spread di quelli dei titoli di Stato, fosse deciso per l’euro in conseguenza di quello per il dollaro in quanto l’inflazione di questo fosse superiore agli attuali criteri keynesiani di sostegno della domanda.

Se oggi oltre alla geometria può essere violato il dizionario, vecchia ma sempre nuova rimane in questo contesto la capacità imprenditoriale italiana che mantiene le esportazioni di buona parte delle PMI dei settori manifatturiero, meccanico e alimentare ai migliori livelli. Anche laddove nel nord e nord-est i consensi per la Lega e il governo attuale rimangono tanto alti quanto li ha stimati Diamanti, che li ha evidenziati, come Recchi, non di più dei valori che anche in quelle province sono considerati più solidi dei tamburi puramente politici: la figura del Capo dello Stato, il funzionamento della scuola, l’eccellenza d’altre figure professionali come nell’università, in medicina, in altri settori scientifici o agricoli o alimentari, per cui (come per il paesaggio artistico e culturale) gli italiani non hanno più ragioni di essere più scontenti dei francesi. L’articolo successivo di Diamanti su “La Repubblica” sull’afflusso alle primarie del PD conferma infine che gli italiani più partecipativi alla vita politica sono quelli più anziani con un livello d’istruzione maggiore, mentre i più giovani sono, oltreché meno numerosi, condizionati di più dalla rete.

Riguardo all’immigrazione e alla politica estera, dopo i dati statistici esposti da Wihtol de Wenden che tengono conto della riduzione degli arrivi dall’Africa iniziata da Minniti, Nelli Feroci ha osservato che gli sfoghi anti-francesi e anti-europeisti sono dovuti allo squilibrio tra il peso politico dei due vice presidenti del Consiglio e quello del Ministro degli Esteri Moavero Milanesi. Nei tempi “vecchi” ci si lamentava che questo Ministro fosse una personalità più di partito che tecnica (basti pensare al numero degli ex Presidenti del Consiglio che hanno avuto quella carica: Pella, Fanfani, Segni, Moro, Rumor, Colombo, Andreotti, Dini e D’Alema); nei tempi “nuovi” ci si lamenta invece che il Ministro tecnico non può che ricucire gli strappi dovuti agli sbandamenti dei suoi colleghi di governo. Così anche nel rapporto con l’UE, quando la critica di questa è sì giustificata dalle sue lentezze d’adattamento (per esempio del trattato di Shengen alla condivisione dell’immigrazione), ma la condivisione della sovranità non può che essere mantenuta con un lavoro costante di conciliazione e non d’attacco. Ciò vale anche per il Ministro dell’Economia Tria, altro tecnico, teso a ridurre gli strappi della finanziaria con l’UE.

Le elezioni europee sono quest’anno considerate più importanti delle precedenti anche come specchio delle politiche interne, com’è stato affermato nelle considerazioni finali di Bauquet, Fabbrini, Finchelstein e Reynié. La realtà dell’UE si è però manifestata anche nel voltafaccia di Tsipras e della sua maggioranza in Grecia, quando le lacrime sono state asciugate dopo i doppi sudori: quello caldo della gara politica e quello freddo quando proprio la stessa realtà è riapparsa come vertigine.

participative directe

È dunque la “Popolocrazia la metamorfosi delle nostre democrazie”, come dal titolo del libro di Lazar e Diamanti (ed. “Tempi nuovi” Laterza, 2018 in corso di pubblicazione da Gallimard)? Una risposta a questa domanda si è tentata nell’ambito del ciclo d’incontri “Quale futuro per … ” organizzato dal Direttore Fabio Gambaro all’Istituto di Cultura Italiano di Parigi. Quello del 7 marzo con Lazar, Modugno e Angelo Panebianco (Politologo all’Università di Bologna nonché editorialista del “Corriere della Sera”). Proprio Panebianco ha parlato di cause “strutturali” poiché nel passato non s’è tenuto abbastanza conto, a livello mondiale, del fattore demografico finché questo non si è rimanifestato dappertutto con le nuove immigrazioni. A cio’ si aggiungono cause “congiunturali” come le crisi sorte nel mondo per effetto della globalizzazione
Né si può ritenere, secondo Lazar, che il titolo del libro suo e di Diamanti non valga anche per il mondo anglosassone, sia per il risultato e le conseguenze del referendum della Brexit che per l’influenza avuta nell’elezione di Trump, poiché ovunque e anche lì, agli effetti della globalizzazione si uniscono quelli dell’immigrazione, da considerare nei diversi Paesi insieme alle rispettive diminuzioni dei tassi di natalità.
La democrazia partecipativa rimane comunque imperfetta: sia a est poiché ad esempio in Ungheria tra un’elezione e quella successiva è praticamente impedita da regolamenti sempre più vincolanti sui funzionamenti delle istituzioni; sia ad ovest dove Macron, ad esempio, l’ha riscoperta solo recentemente con il “grand débat national”. D’altronde neanche nei cantoni della Svizzera questa democrazia è scorrevole, poiché anche lì i referendum sono indetti solo dopo un lungo passaggio della rispettiva materia per gli organi di governo e le assemblee locali.

Ma la democrazia “immediata” o diretta (nelle “camere dell’eco”, ossia “on line”, nei “talk-shows”, ecc., con le “chiusure cognitive” vittime della fretta) può valere quanto la “democrazia rappresentativa”?
Questa domanda conclusiva degli interventi accademici giustifica tutta l’attenzione che questi temi hanno meritato.

Lodovico Luciolli

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Lodovico Luciolli
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