La voce è uno strumento primordiale, complesso e flessibile, cifra dell’umano che si fa giudice e arbitro nel creato. Ognuno di noi è nella propria voce e con essa crea le molteplici sfaccettature del proprio universo. La voce crea, cura, incanta, la voce insegna.
Non ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ma ho studiato sui suoi libri e sulle sue rappresentazioni viste e riviste, anatomizzandone toni, pause, fiato. Faccio l’insegnante e sono pienamente debitore all’arte vocale di Dario Fo.
Seguendo la più antica delle regole del teatro Dario Fo si esibiva da solo affrontando la difficoltà di indossare tutti i vari personaggi senza un reale mascheramento diverso da quello vocale. Viene in mente un passaggio di Mistero Buffo, relativo alla vestizione di Papa Bonifacio VIII quando Fo, da solo, interpreta e fa cantare un intero coro – stonature incluse-.
Sempre in Mistero Buffo gli spericolati vocalizzi sono in grado di chiamare sul palco angeli, ubriachi, bontemponi e una collettività indistinta che risponde a un maestro e a un ritmo che dal singolare si fa molteplice. Un palco brulicante di gente che compare, arretra, scompare e ritorna attraverso e per merito di una vocalità che si fa solida fisicità.
Alla nostra società ora manca quella voce, scomoda e stridula ad arte, dolcissima e straziante – penso al saluto a Franca Rame -. La società italiana è attraversata da forze telluriche che spostano e condizionano i punti di riferimento che sono e devono essere frutto di una coralità. La pluralità è una categoria sempre più temuta, l’alterità, la si vorrebbe silenziosa se non muta per evitare che venga interrotto il soliloquio tronfio di chi crede di proporre la sola partitura nuova degna di lustro.
Bastava un uomo – guitto per alcuni – per popolare mente e occhi del pubblico e lasciar passare un messaggio sottile: tante voci, tanti personaggi, un solo scopo, un incontro.
Dario Fo l’incontro, la comunicazione paritaria li ha cercati ovunque, non solo a teatro, ma anche nella militanza, nella pittura, nella canzone e nelle conversazioni cui non si è mai sottratto indipendentemente dall’interlocutore aspetto, questo, che mi induce a pensare quanto fosse “uomo d’altri orizzonti” per quel suo voler toccare nei sentimenti, negli affetti e nel pensiero. Gli saremo riconoscenti. “Ciao!”
Natalino Fioretto
Università per Stranieri di Perugia.