Daniela Pericone in Missione Poesia con “Corpo contro”

Il primo articolo del mese di aprile su Missione Poesia, ripropone un’autrice già nota ai lettori della rubrica, Daniela Pericone, con il suo nuovo libro Corpo contro (Passigli, 2024): un viaggio nella continua ricerca di sé, un cammino mai facile nella similitudine tra la nascita, il desiderio di aggrapparsi alla vita, la consapevolezza della sua finitudine e il corpo che cerca momenti di rinascita, con un’esperienza finale che riporta alla visione dei corpi di opere caravaggesche.

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Daniela Pericone è nata a Reggio Calabria nel 1961 e vive a Torino. Le sue precedenti pubblicazioni in ambito poetico che hanno ottenuto diversi e importanti riconoscimenti, sono: Passo di giaguaro (Il Gabbiano 2000, nota di Adele Cambria), Aria di ventura (Book Editore 2005, prefazione di Giusi Verbaro), Il caso e la ragione (Book Editore 2010), L’inciampo (L’arcolaio 2015, prefazione di Gianluca D’Andrea e nota di Elio Grasso), Distratte le mani (Coup d’idée-Edizioni d’Arte di Enrica Dorna 2017, postfazione di Antonio Devicienti) e La dimora insonne (Moretti & Vitali 2020, postfazione di Alessandro Quattrone e nota di Giancarlo Pontiggia). Sue poesie sono tradotte in diverse lingue; del 2023 è la plaquette bilingue Lumină scrisă / Luce scritta, con traduzione in romeno di Eliza Macadan (Bucarest, Cosmopoli). Scrive testi di critica letteraria ed è redattrice di riviste e siti dedicati alla poesia. Il suo ultimo libro di poesia, vincitore del Premio Gozzano, porta il titolo di Corpo contro (Passigli 2024).

Per un approfondimento sulla poetica di Daniela Pericone, vedere anche il precedente articolo al link:
https://altritaliani.net/daniela-pericone-e-la-sua-raccolta-poetica-distratte-le-mani/

Corpo contro

Corpo controPer quest’ultimo libro di Daniela Pericone viene messa in evidenza ancora una volta, da quasi tutti coloro che ne hanno scritto, la particolarità della sua cifra stilistica. Del resto così feci anch’io quando scrissi di uno dei suoi libri precedenti, Distratte le mani, proprio in questa rubrica, annotando già allora questa stessa osservazione. Infatti, ovviamente, risulta inevitabile cominciare a parlare del suo lavoro senza partire proprio da questa dimensione “formale” che poi, a ben guardare, si lega perfettamente al dettato poetico dell’autrice.

Questa volta, tuttavia, facendo salve tutte le riflessioni sulla cifra stilistica dell’autrice, vorrei partire dal contenuto, da quello che mi arriva dai suoi versi come lettrice, dal ruolo del significato che mi sentirei di provare a dare ai testi, prima ancora del significante. Impresa complessa perché la brevità delle poesie e la gabbia strutturata ad arte, per dare l’impressione di una libertà espressiva (che invece è costruita centimetro per centimetro: si badi, è una cosa positiva!) indurrebbero a godersi solo la musicalità e le immagini evocate… e già questo basterebbe per apprezzarle alla lettura. Ma io voglio andare contro, come il Corpo evocato da Daniela Pericone, non voglio riconoscermi con chi afferma che: come pensi di aver capito cosa si cela fra i versi, il senso è già sfumato e ti accorgi che non era affatto così come pensavi o che, comunque, c’era anche altro. Forse sarà pure così, ma io un senso a ciò che leggo devo trovarlo, un significato che incida profondamente dentro di me, devo sentirlo. Specie per una lettura del genere, che so di sicuro averlo, e averlo – pur nella sua complessità – profondo e necessario, non so se condivisibile. O, forse ancora, l’equivoco, o l’indicazione presa come unica chiave interpretativa della visione, sta in parte della citazione che l’autrice pone a inizio libro, ovvero nella frase: Aspettiamo qualcosa la cui apparizione sarebbe il suo svanire presa da Mark Strand… sì ma questo autore in che contesto ha scritto questa frase? Intanto prima di aspettiamo Strand usa la parola pare quindi, quantomeno, propone una possibilità e non una certezza, poi continua con l’esempio del rumore di qualche foglia che cade e ancora dice che non c’è fine a quanto possiamo imparare… magari sarebbe più giusto pensare a un riflesso nella poetica che si riferisce allo sradicamento, alla nostalgia dei luoghi natii – se pure in Pericone è assolutamente rovesciata in senso negativo – alla ricerca di una lettura metafisica, provocando una deformazione della realtà per trovare un appiglio di salvezza: la memoria, ad esempio, ma anche il confronto, l’introspezione. Proviamo dunque a entrare nella visione della poetessa, senza pretesa alcuna, ma proviamoci.

Corpo contro, per chi vi scrive, è un viaggio a zig zag nella continua ricerca di sé stessi, fra il tempo dei ricordi e quello presente, nei luoghi di nascita e quelli di vita attuale, fra le persone familiari e l’umanità di cui facciamo parte… ed è così che, all’insegna di questo cammino mai facile, si susseguono le varie sezioni del libro, che sembrano essere, leggendole in sequenza, una la continuazione dell’altra, persino l’ultima, Turbamento, che nonostante tragga ispirazione da alcuni quadri di Caravaggio, non si discosta molto da questa direzione poematica, con un’insistente similitudine tra la narrazione del seme da spargere, l’inarrestabilità dell’aggrapparsi alla vita e alla sua rinascita con la sua inevitabile fine, la consapevolezza di una scadenza naturale che vale per tutta la natura e i suoi esseri.

Il viaggio inizia con la poesia di apertura che sembra contenere in sé la sintesi di buona parte della poetica del libro. Dall’intuizione con la quale l’autrice segna l’inizio del suo cammino, la prima tappa dell’esistenza: quell’appartenenza a regni trascurabili – fondamento di quei suoi luoghi originari di Calabria – dove l’ansia è confinata dentro gli occhi e la fatica s’intana tra le dita e dove c’è un ordine da ricomporre e non c’è una terra su cui contare, una dimensione drastica e drammatica dalla quale osservare che ovunque il mondo/contempla la sua fine. È davvero come se in questa poesia d’esordio, venissero idealmente enumerate tutte le direzioni nelle quali le persone si trovano quasi ad arrendersi, a non combattere per cercare una strada diversa, perché tutti gli sforzi sembrano vani. Metafora dell’inutilità del tutto, portavoce degli ultimi, ma anche di coloro che non credono in sé stessi, direzione già segnata dalla nascita, riflessione ricalcata da grandi maestri, che certo l’autrice frequenta nelle sue letture (Leopardi, Elliot, lo stesso Montale), questo testo apre la strada a ciò che segue, ai paesaggi assolati, alla salsedine che erode, ai fuochi ridotti in cenere, ai vestiti che non coprono le mancanze… non c’è bisogno di urlare a perdifiato la propria impotenza, basta accennarla, col garbo e la musica dei testi, e provare a contrastarla con ciò che di concreto resta. Come tanti autori prima di lei, Pericone si rifugia nella casa, unico vessillo di una possibile continuità, unico elemento atto alla custodia delle cose, anche delle più piccole, unico riparo per difendersi dallo smarrimento che provoca il passare del tempo. Ma di quale casa stiamo parlando? In quale luogo si trova questa casa? Un luogo antico, un luogo nuovo? L’autrice scrive solo: qui è la tua casa – ovunque sia… e ognuno può immaginare le coordinate che vuole.

La seconda sezione sembra alludere – è una costante del libro – alla velocità del tempo che scorre, o forse maggiormente a una fuga, magari premeditata a lungo. A grandi falcate, titolo della sezione, è una sorta di non luogo: prevalgono il freddo delle stagioni, persino di quella estiva: agosto è il più freddo dei mesi, ma anche l’ombra, la notte, e di nuovo gli anni che finiscono. E, naturalmente, s’impone il desiderio di partire, lasciarsi tutto alle spalle, ignorare il richiamo della nostalgia che già prevale su ciò che resta dietro di noi… ci vuole coraggio a perdere i riferimenti e a trovarne altri. Basterebbero quelle foto, gli occhi abbagliati, confitti nell’istante, nello sguardo che li ha colti… il pensiero di quella voce perduta, a farti restare. Ma non basta, purtroppo o per fortuna. Urge interrogarsi ancora, provare a capire se sul liminare delle contraddizioni è ancora possibile un’uscita di sicurezza, evitare l’inciampo che provoca quel salto fulmineo della lucertola, quel momento esatto in cui tutto può sparire. Oltre alla casa della prima partitura del libro, qui restano gli occhi, ovvero l’interiorità, la profondità dello sguardo che accompagna e sostiene il pensiero.

A guardia della notte, terza sezione, è un ulteriore passo verso la conoscenza di sé stessi. Lo scavo interiore si compie ancora nel pensiero di una casa, questa volta è quella sull’albero, nello scriversi qualcosa per parlare a noi stessi, nel guardarsi allo specchio per tentare di riconoscersi, darsi un’identità. La fine del danno, la caduta dalla gabbia, la rottura del patto di sottomissione sono tutte metafore che ancora tendono a insistere sul desiderio di fuga sulla possibilità di non stare in bilico tra l’una e l’altra via… sarà necessario accettare la presenza ineludibile della fine che ci fa sentire comunque soli, ma provare a godere di ciò che abbiamo, farlo quel salto dall’altra parte, se pure l’insidia del dubbio che non salva dall’errore è sempre pronta a coglierci di sorpresa, rendendo impotente anche la lingua, mentre nemmeno la poesia può dare rassicurazioni: scrivo senza nemmeno una voce o ancora la poesia che guarda da lontano/accogli come una cosa tra le cose. Di solitudine in solitudine, perché di questo si tratta, entriamo nella quarta sezione, Una forza impareggiabile, che delinea in fondo la potenza di questa stessa solitudine dove è possibile ascoltare o scegliere di non farlo… non è questa la realtà, quella tangibile realtà che ci circonda? La poetessa ci dice: eppure accado, e citando T.S. Eliot così si esprime: la troppa realtà non fa per l’uomo… insinuandoci ancora il dubbio di vivere nell’assenza di qualcosa, qualcosa che non si può spiegare e che ci introduce all’ultima sezione, a quella del turbamento.

L’ultima sezione, Il turbamento, prende spunto, come detto, da una ricerca sulla pittura naturalistica di Caravaggio, del resto già frequentata anche in altri libri da Pericone, sempre per sottolineare il tema del corpo, della materia che, questa volta, si scontra però con il tema dello spirito con il quale non si può rinunciare a fare i conti, forse proprio anche partendo dalla dimensione di solitudine a cui si accennava prima: Tutto converge a una solitudine/non sia turbato il silenzio/la sua compitezza. Le indicazioni sono equivalenti a quelle delle altre sezioni: attraverso le esperienze vissute, le vibrazioni di luci e ombre, la nostalgia e il desiderio pressante di fuga, si torna a rappresentare la finitudine di quella materia, di quel corpo tanto nominato, passando dalle similitudini con i dipinti del maestro, che pone la figura, il corpo del soggetto al centro di ogni cosa, raccontandocelo nei suoi giochi di chiaroscuri, e passando da quel eppure accado, che la poetessa esprime nella sezione precedente, a quell’Accado, nessuno lo sa di adesso… ovvero dall’impossibilità per l’uomo – e il suo corpo – di opporsi alla morte, tematica esistenziale che la poesia, può in ogni caso affrontare, con i suoi tempi e i suoi modi, con i suoi potenti strumenti, potenti quanto le immagini di Caravaggio, nel dubbio che da sempre pressa le nostre menti, anche senza il supporto della fede: Soli dinnanzi alla morte/che va in scena senza solennità/si confondono i volti con le ombre/non sanno se rivolgersi al cielo/o alle profondità della terra.

Alcuni testi da: Corpo contro

Quanti anni ci sono voluti
quanto lavorio e spinte
controvento per vedere le radici
confitte nella sabbia
sfilarsi a una a una – lanugine
e spine un intrico sottile
così malnutrito, pensavi
non si sopravvive al sale
che trasuda dalle pozze marine.
Ora le braccia e le gambe
sono troppo cresciute
per la vecchia seicento
celeste di cielo – era il colore
dilavato dell’infanzia
la guancia spaccata del sole.

*

La casa sull’albero
getta un’ombra
lontana sulla terra –
un riparo di foglie
e la pioggia sulle ciglia –
nel poco avere dimora.

*

Confida nel tempo
incline a sottrazione
e mutamento – sia salda
la distanza dai tragitti consueti
dai segni inessenziali –
confonditi nel battito che innalza
sgretola e ripara – senza sosta
apprendi il fiato e la cera –
la poesia che guarda da lontano
accogli come una cosa tra le cose.

*

Un albero nasce al primo sole
nessuno ne avverte l’espirio –
è inciso il desiderio
ovunque si espanda la sua gloria –
la radice incendia la chioma
timidezza e tenacia
per millimetrico avanzamento
aereo e sotterraneo – la forza
della terra spoglia di suoni umani
riassume i fuochi stellari.

*

Dopo il crollo ascolta i segnali
il buio è meno buio, il dolore
non più acuto, o forse meno ostile.
Anche lo spreco delle nostre vite
non sembra così grave, una variabile
fisica tutto sommato irrilevante –
la maglia rotta nella rete
delle possibilità.

Bologna, aprile 2025

Cinzia Demi

P.S.: “MISSIONE POESIA” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani di Parigi. Altri contributi e autori qui: https://altritaliani.net/category/libri-e-letteratura/missione-poesia/

 

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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